lunedì 5 febbraio 2024

“Affrontare la tristezza cristianamente” di Davide Romano, giornalista

Affrontare la tristezza cristianamente può essere un approccio più efficace di quelli che vanno più di moda al momento. Ecco alcuni consigli ispirati agli insegnamenti di uomini e donne di fede nei secoli per affrontare la tristezza:

Prega e rifletti: Molti insegnamenti spirituali enfatizzano l'importanza della preghiera e della riflessione. Dedica del tempo a pregare o a meditare, cercando consapevolezza e pace interiore.

Pratica la gratitudine: Molte tradizioni spirituali insegnano l'importanza di essere grati per ciò che si ha. Concentrati su ciò che è positivo nella tua vita, anche nei momenti difficili.

Coltiva la compassione: Sii compassionevole verso te stesso e verso gli altri. I santi spesso incoraggiano la compassione come un modo per alleviare la sofferenza.

Cerca il significato: Rifletti sul significato più profondo della tua vita. Chiediti quali valori sono davvero importanti per te e cerca di allinearti con essi.

Pratica l'umiltà: L'umiltà è una virtù insegnata da molte tradizioni religiose. Accetta la tua umanità e la tua vulnerabilità, riconoscendo che tutti affrontano sfide.

Condividi le tue preoccupazioni: Parla con qualcuno di fiducia, che sia un amico, un familiare o un leader spirituale. La condivisione può alleggerire il peso della tristezza.

Fidati del processo: I santi spesso insegnano la fiducia in un piano più grande. Anche se non comprendi completamente il motivo della tua tristezza, cerca di fidarti del processo della vita.

Pratica la carità: Coinvolgiti in attività caritatevoli o di volontariato. L'atto di dare agli altri può portare gioia e un senso di realizzazione.

Trova consolazione nelle Scritture: Molte tradizioni religiose contengono testi sacri che offrono conforto e saggezza. Leggere le Scritture può essere una fonte di ispirazione.

Cerca la comunità: Unisciti a una comunità spirituale o religiosa. Essere circondato da persone con valori simili può fornire sostegno e condivisione.

“Orrore senza fine. Diffusi i dati sulla pedofilia nella Chiesa evangelica tedesca” di Davide Romano, giornalista

La recente diffusione dei dati relativi agli abusi sui minori all'interno della Chiesa evangelica in Germania ha scosso profondamente l'opinione pubblica. I risultati dell'ampio studio commissionato dalla chiesa protestante tedesca indicano un numero sconcertante di oltre 9.000 minori coinvolti in episodi di abusi dal 1946 fino ai giorni nostri.

La vescova Kirsten Fehrs, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania (Ekd), ha emesso un mea culpa significativo di fronte a questi allarmanti risultati. Ha espresso la sua scioccante consternazione per la violenza inflitta ai bambini, inclusa quella perpetrata negli asili nido, evidenziando l'assenza di protezione e giustizia da parte della Chiesa. Fehrs ha riconosciuto apertamente il massiccio fallimento nel prevenire e affrontare gli abusi, sia al momento in cui si sono verificati che successivamente, quando le vittime hanno avuto il coraggio di farsi avanti.

Lo studio fa parte di un pacchetto di misure adottato dal Sinodo Ekd nel novembre 2018 per proteggere da abusi e molestie sessuali. La Chiesa evangelica ha istituito un consiglio consultivo per la protezione contro la violenza, commissioni indipendenti nelle chiese regionali e ha incorporato la protezione contro la violenza nei regolamenti legali, rappresentando un tentativo tangibile di affrontare il problema.

I dati emersi sono sconcertanti: almeno 2.200 vittime accertate, ma il numero totale di minori coinvolti potrebbe superare i 9.000, coinvolgendo oltre 3.000 presunti abusatori. Di questi, circa un terzo sarebbero pastori e vescovi, mentre gli altri sarebbero operatori legati alle organizzazioni della Chiesa, in particolare Diaconia. Questi numeri spiazzanti mettono in luce la necessità di un'azione immediata e radicale.

Il presidente di Diakonie Deutschland, Rüdiger Schuch, ha riconosciuto il fallimento dell'istituzione Diakonie nel proteggere le persone e si è impegnato a collaborare con le vittime per affrontare i casi e promuovere ulteriori progressi. L'apertura a riconoscere il proprio errore è un passo importante verso un cambiamento effettivo.

I risultati dello studio, che indicano solo la "punta dell'iceberg", sono ora in fase di valutazione nel forum di partecipazione, coinvolgendo tutti i membri della Chiesa e le persone interessate. Dorothee Wüst, portavoce dei rappresentanti della chiesa nel forum, ha sottolineato la necessità di affrontare il fallimento istituzionale e personale evidenziato dallo studio, sottolineando che è essenziale un approccio correttivo tempestivo e accurato.

Il forum di partecipazione prevede di presentare un piano d'azione con conseguenze concrete nel novembre 2024, in collaborazione con i ricercatori dello studio. Detlev Zander, portavoce delle persone colpite, ha sottolineato la necessità di cambiamenti istituzionali significativi nella chiesa e nelle organizzazioni diaconali per smantellare le strutture di potere che favoriscono la violenza sessuale. Ha evidenziato l'importanza di un impegno comune e personale per garantire un cambiamento radicale nell'approccio della Chiesa alla protezione dei minori.

 

Lev Tolstoj, “Vita di Gesù e altri scritti”, prefazione e cura di Davide Romano, Ed. Ex Libris

 


“L’esigenza di superare la frammentarietà delle interpretazioni teologiche fu dunque all’origine dell’intenso lavoro di rilettura-riscrittura dei quattro Vangeli che Tolstoj iniziava e portava a termine nell’arco di due anni, fra il 1880 e il 1881, proprio allo scadere del decennio cruciale degli anni Settanta – si legge nella prefazione del libro -. Ne veniva fuori l’Unificazione e traduzione dei quattro Vangeli, cui seguiva alcuni anni dopo la pubblicazione di un compendio divulgativo, la Breve esposizione dell’Evangelo”.

“L’idea centrale dell’insegnamento evangelico è rappresentata, nella concezione tolstojana, dal Discorso della montagna, in cui Gesù pronuncia il grandioso messaggio delle beatitudini. (…) Avviene così la genesi della Vita di Gesù proposta in questa pubblicazione. La natura umana del Cristo tolstojano balza in primo piano; ma l’accento è posto sulla parola di Gesù, sulla semplicità del suo messaggio, sulla naturalezza con cui egli indica la via verso il bene, con cui cerca di orientare l’umanità, smarrita nella ricerca di un significato. Le parole di Cristo costituiscono la base anche del secondo scritto, La felicità, ma in una forma che è più quella di una piccola prosa filosofica, in cui la valenza etica dell’insegnamento cristiano viene esplicitata fino a diventare un modello comportamentale: in tal senso, forse, può apparire evidente la straordinaria attualità, o meglio, l’immortalità del messaggio religioso, così come ci viene consegnato dall’impareggiabile scrittore russo”.

sabato 20 gennaio 2024

Giornata della memoria, “Incontrare Anne Frank oggi” è il tema del confronto che il giornalista Davide Romano avrà con gli alunni dell’istituto Marcellino Corradini di Palermo



“Incontrare Anne Frank oggi” è il tema del confronto, organizzato in occasione della Giornata della Memoria, che il giornalista Davide Romano avrà con gli alunni dell’istituto Marcellino Corradini, gestito dalle suore Collegine della Sacra Famiglia, a Palermo.

 

“Una vita breve e preziosa quella di Anne Frank – spiega suor Anna Oliveri, vicaria generale della congregazione e dirigente scolastico dell’istituto – che vogliamo ricordare attualizzandola nel confronto con gli alunni della nostra scuola. Anche quest’anno, infatti, non sfugge alla scuola Marcellino Corradini l’appuntamento con la Shoah. È un evento troppo grande ed importante perché venga dimenticato o sottovalutato. Quest’anno anche la Shoah verrà illuminata dal tema progettuale: ‘La memoria di ciò che siamo libera melodie inaspettate’”.

 

E continua: “Il protagonista di the Giver, Jonas, trova, per certi versi, il suo alter ego femminile, da cui ovviamente differisce per una serie di ragioni. La storia di Anne Frank è realmente accaduta. Ella consegna a chi si avvicina con apertura e con stupore i ricordi di una vita che sogna un futuro migliore, ricco di valori: in primis il rispetto dell’altro e l'accoglienza della diversità. Il suo background è connotato dalla sopraffazione e dalla violenza. Tuttavia tra le mura del nascondiglio di famiglia si dispiega la sua crescita, la sua adolescenza”.

 

“Quest’anno – conclude la religiosa - il giornalista Davide Romano aiuterà i nostri alunni della secondaria di primo grado a cogliere come Anne Frank possa aiutarli a vivere la loro giovinezza trasformando ogni difficoltà in opportunità di crescita. Un grazie speciale a Romano per la sua disponibilità a condividere le sue riflessioni con i nostri ragazzi. È un tassello molto prezioso che si aggiunge alla formazione umana, culturale e spirituale dei nostri alunni”.


giovedì 11 gennaio 2024

Emarginazione. C’era una volta in America: «Così muore il sogno a stelle e strisce»

 



Il 12% degli abitanti degli Stati Uniti vive in stato di bisogno Il sociologo Desmond: «Per ogni dollaro speso nell’assistenza sociale, solo 22 centesimi vanno ai poveri»

Gli Stati Uniti sono la nazione più ricca al mondo. Gli Stati Uniti possono permettersi di eliminare la povertà dal suo territorio e sanno come farlo. Ma quasi il 12% della popolazione americana vive nel bisogno. Per 38 milioni di persone, cibo a sufficienza, acqua pulita, un’abitazione adeguata o vestiti puliti sono un lusso spesso inaccessibile.

Javier Marquez è uno di loro. Pulisce uffici in un grattacielo di San Diego nove ore al giorno, sei giorni alla settimana, e dorme in un furgone parcheggiato nella periferia della metropoli californiana. «Chi proviene da una famiglia privilegiata spesso non capisce che cosa vuol dire crescere in povertà — dice il 30enne —. È una battaglia che dura tutta la vita contro cattive condizioni di salute, poca istruzione, cibo scarso. È svegliarsi con una maglietta sporca e andare a letto affamati. Da quando avevo 14 anni lavoro sodo, ma per il 90% del tempo non sono stato in grado di soddisfare i miei bisogni».

Il paradosso tutto americano della lotta per la sopravvivenza in mezzo alla ricchezza non è radicato in misteriose alchimie economiche o incomprensibili cause sociali. Le sue ragioni sono state studiate e puntano tutte a una tesi tanto scomoda quanto evidente. Una larga fetta di americani vive nel bisogno perché al resto della popolazione conviene che sia così. L’ultimo a portarla a galla è Matthew Desmond, sociologo alla Princeton University e vincitore del Premio Pulitzer, che l’ha illustrata nel libro Poverty, by America, dove sottolinea non solo la responsabilità delle multinazionali e di Wall Street, ma anche di tutti gli americani che hanno raggiunto la sicurezza economica e, per mantenerla e goderne i benefici, approfittano dei connazionali che stentano a restare a galla.

«Alcune vite sono ridotte in modo che altre possano crescere», spiega Desmond a L’economia civile, indicando una nuova prospettiva: concentrarsi meno sui poveri e più sui comportamenti che radicano la povertà e sull’imperativo morale di non tollerare le privazioni. Desmond non ha del tutto scelto di occuparsi di disagio. Si è aggrappato al tema per dare un senso alla sua storia personale. Cresciuto in una famiglia dove i soldi erano pochi, ha visto i genitori perdere la casa e finire in una roulotte quando era all’università. «È stato un periodo di grande tumulto. All’università ho visto così tanti soldi. Ho iniziato a passare del tempo con i senzatetto, facendo amicizia. Mi ha aiutato a dare un senso alla mia confusione».

Sulle strade di Tempe, in Arizona, Desmond ha visto una povertà «e crudele», fatta di anziani senza riscaldamento che passano l’inverno sotto le coperte e bambini che vivono sui marciapiedi. E ha scoperto che molti luoghi comuni sono falsi. Il primo è che la povertà sia la conseguenza di dipendenze da droga o alcool: «Ho incontrato molti senzatetto che sono caduti nella dipendenza da oppiacei per anestetizzare il trauma di non avere una casa. Molti usano le metanfetamine perché vivere per strada fa paura. Ma la maggior parte delle persone sotto la soglia di povertà non fanno uso di droghe e non bevono. I ricchi bevono molto di più dei poveri».

Un altro pregiudizio che sfata è che i poveri stiano molto meglio oggi rispetto a 30 anni fa, perché spesso hanno un cellulare o un televisore. «Non puoi mangiare un telefono, non puoi scambiare un televisore per un salario dignitoso. Il costo dei prodotti di massa è diminuito, mentre elettricità e cibo sono aumentati del 115% dal 2000. Il calo del prezzo dei tostapane non è un progresso nella lotta alla povertà».

Negli Stati Uniti esistono programmi governativi per i meno abbienti, ma sono diminuiti radicalmente rispetto agli anni ’60, quando il welfare di Lyndon Johnson ha dimezzato la povertà in 10 anni. «Erano programmi ambiziosi che non hanno ridotto la crescita economica americana, anzi. Gli Stati Uniti possono sradicare la povertà senza andare sul lastrico», assicura Desmond. L’ultimo esempio è la pandemia. Per due anni l’Amministrazione Biden ha versato a tutte le famiglie della classe lavoratrice assegni fra i 3.000 e 3.600 dollari per figlio all’anno, che sono bastati a dimezzare la povertà infantile. Una soluzione alla povertà in America secondo il sociologo sono dunque i programmi pubblici di facile accesso. «Per ogni dollaro che spendiamo per l’assistenza solo 22 centesimi finiscono nelle tasche di una famiglia povera. Perché gli Stati hanno molta discrezione e spesso tengono i soldi da parte per le emergenze. Inoltre solo un americano su cinque che ha diritto ai buoni pasto li riceve davvero e uno su sei non chiede crediti fiscali. Perché sono difficili da ottenere, nascosti sotto strati di burocrazia».

L’altra soluzione è un lavoro dignitoso. In America la maggior parte delle persone che vivono in povertà lavora moltissime ore. Ashley Jones, ad esempio, ha 18 anni e ogni giorno passa 8 ore da McDonald’s e 8 in un’azienda di latta per vivere in un piccolo appartamento in Arizona con la madre e il fratello di nove anni. Non è un’eccezione. Una ricerca del Mit calcola che il salario di sussistenza per una famiglia di quattro persone è di 24,16 dollari l’ora, mentre il salario minimo federale è fissato a 7,25 dollari. Con quello stipendio, due genitori con due figli devono lavorare 98 ore alla settimana ciascuno per sopravvivere.

Non è sempre stato così. Negli anni ’60, un lavoratore Usa su tre era sindacalizzato. Ma nel corso degli anni il potere dei dipendenti è diminuito. «Questo è sfruttamento — accusa Desmond — dobbiamo chiamarlo con il suo nome. Decine di milioni di americani non sono poveri per condotta personale. La povertà persiste perché molti lo vogliono».

Per far cogliere l’urgenza morale del problema, il sociologo spesso al posto della parola «povertà» — troppo teorica, troppo generica — parla dei suoi effetti: morte, violenza, paura, fame, freddo, insicurezza. E indica i comportamenti che tutti possono cambiare per sradicarla. Il primo è dire no alla segregazione, a vivere in comunità benestanti che concentrano i servizi e creano sacche di povertà. «Dobbiamo andare alla riunione di urbanistica della nostra città e dire di no a regole che impediscano ai più poveri o ai neri di abitare nel nostro quartiere, che desideriamo maggiore integrazione». Un altro muro da abbattere è quello dell’istruzione, dando ai genitori la scelta di mandare i loro figli alla scuola che vogliono, non solo a quella di quartiere. «I ragazzi che frequentano scuole integrate e con maggiore diversità economica e razziale se la cavano molto meglio, tutti», dice Desmond, che spiega come la discriminazione del mercato del lavoro nei confronti dei neri non è cambiata in 30 anni. «La fine della povertà è un traguardo assolutamente raggiungibile per gli Stati Uniti, senza aumentare le tasse — conclude —. Se il 10% che guadagna di più pagasse le tasse che deve, senza sconti, potremmo raccogliere 175 miliardi di dollari in più all’anno: abbastanza per tirare fuori tutti dal bisogno. Ma per farlo, dobbiamo riconoscere che la povertà è un abominio e che ci trascina tutti verso il basso».

(Fonte: Avvenire.it)

Roma 25-27 gennaio, la Chiesa Luterana Confessionale d’Italia organizza il convegno “Roma e la giustificazione”








Una tre giorni intensa di studio, riflessione e discussione, ma anche di preghiera, dal titolo “Roma e la giustificazione”, è quella che organizza la Chiesa Luterana Confessionale d’Italia, a Roma. Mentre i lavori del convegno si svolgeranno, a partire dal pomeriggio del 25 gennaio fino al pomeriggio del 27, presso i locali della Chiesa Evangelica Breccia di Roma, sita in via di sant’Eufemia 9, i culti si terranno, invece, presso il tempio della Chiesa Evangelica Battista di via Teatro valle 27.

“Questo convegno teologico – spiega il pastore luterano Tyler McMiller, organizzatore dell’evento – ha lo scopo di presentare compiutamente la dottrina luterana della giustificazione  biblicamente fondata nelle sue varie declinazioni. Le relazioni saranno o in italiano o in inglese con traduzione in italiano. Per collegarsi mediante ZOOM, si può scrivere un’e-mail a me (tyler.mcmiller@lcms.org). L’evento sarà anche trasmesso mediante la nostra pagina Facebook ‘Chiesa Luterana Confessionale d’Italia’ (https://www.facebook.com/luteranaConfessionale)  e  caricato sul nostro canale Youtube (https://www.youtube.com/@revtylermcmiller1614)”.

La Chiesa Luterana Confessionale d’Italia (CLCI) è una missione della Chiesa Luterana del Sinodo Missouri (LCMS) degli Stati Uniti che ha come scopo quello di diffondere il messaggio evangelico secondo la più autentica dottrina luterana. Pur essendo presente solo da pochi anni nel nostro Paese, sta già riscontrando un notevole interesse.

La missione è stata affidata al pastore Tyler McMiller che abita a Roma, con la sua famiglia, dove cura una parrocchia di lingua italiana nel centro storico della città (il culto è ogni sabato alle 17).

Pur essendovi soltanto un pastore per tutta la penisola, tre uomini (Joshua Salas, Lorenzo Murrone e Luiz Lange) stanno attualmente studiando per diventare ministri di culto (due a Roma, uno a Padova) attraverso un seminario online con base a Riga, in Lettonia, chiamato Luther Academy. Altri candidati al pastorato sono attualmente in una fase di discernimento vocazionale.

Per condividere il Vangelo con una comunità così diffusa sul territorio, il pastore McMiller, che ha alle spalle una lunga esperienza missionaria in America Latina, condivide ogni domenica mattina una trasmissione online di una funzione di preghiera e uno studio biblico.

Inoltre, viaggia per tutta la Penisola, con missioni a Padova, Piacenza, Firenze, Roma e Salerno, per amministrare l’eucaristia. Mediante il sito web, ancora non del tutto operativo, www.luteranaconfessionale.it  lavora per distribuire i testi classici del luteranesimo in Italiano.

Per info si può contattare il pastore Tyler McMiller: tyler.mcmiller@lcms.org; cell. +39 3463270882


L'addetto stampa, 

Davide Romano

venerdì 5 gennaio 2024

“La nobile arte e il sogno di una vita diversa” di Davide Romano

 


Gaetano ha solo otto anni, dei pantaloncini blu sdruciti, una canottierina a coste che un giorno, forse non lontano, fu bianca e indossa un paio di guantoni rossi, troppo grandi, che gli arrivano quasi ai gomiti, ma picchia duro contro il sacco di sabbia.

Sogna di diventare un pugile famoso, uno di quelli che guadagnano «un mare di soldi», che hanno le foto sui giornali e abitano in grandi case colorate con il prato intorno. Così potrebbe aiutare sua madre che fatica tutto il giorno per una paga da fame. Gaetano si allena ogni giorno per un'ora, dopo aver finito i compiti, in una piccola palestra in quartiere popolare, come tanti, in una città del Sud, ma non è il solo. Con lui altri venti ragazzi, fra i dieci e i diciotto anni, ogni pomeriggio s'incontrano per boxare, imparare quella che una volta si chiamava «la nobile arte» e sognare una vita diversa in un quartiere in cui la povertà più che essere una condizione è spesso una malattia ereditaria, che si tramanda di generazione in generazione.

Ad allenarli c'è Salvatore, capelli brizzolati, un po' stempiato, una passione forte per il pugilato e la sua gente, che lo ha spinto a mettere da parte per anni i soldi degli straordinari e a tirar su dal nulla, qualche anno fa, una palestra, nella canonica di una delle infinite chiese abbandonate che affollano il centro storico della sua città, con ring regolamentare, pesi e sacchi di sabbia.

«La boxe è come le donne – dice Salvatore –, o ci s'innamora a prima vista o niente, non ci sono vie di mezzo. Sono entrato per la prima volta in una palestra a tredici anni per accompagnare un amico più grande – racconta – e da allora non ne sono più uscito. A quattordici anni e mezzo ho fatto il primo incontro e non mi ricordo più neanche se l'ho vinto o perso, quanto tempo e passato, – sorride – erano gli anni Settanta del secolo scorso e c'era la fame. Io lavoravo di giorno e la sera mi allenavo, quando dovevo combattere mi davo malato, per questo motivo sono stato anche licenziato due volte. Talvolta – continua – tornavo al lavoro ammaccato e dovevo inventare un sacco di scuse per giustificare i lividi».

Poi son venuti il matrimonio, i figli e la necessità di non rischiare il posto di lavoro. Salvatore è costretto ad appendere i guantoni al chiodo, ma continua ad allenarsi ogni sera, organizzare piccoli tornei e frequentare l'ambiente.

Un giorno un amico, che gestisce una palestra in un piccolo centro della provincia, gli chiede se gli va di dargli una mano ad allenare qualche ragazzo che promette bene, accetta. Comincia quella che lui stesso chiama la «fase due» della sua vita sportiva. «Ho scoperto – dice – che questo modo di vivere la boxe mi piaceva di più. Allenare un adolescente, infatti, e anche in un certo senso educarlo, accompagnarlo in un tratto di strada che è o è stato, in fondo, il più difficile per tutti. E in questo senso – continua –, la boxe e una scuola straordinaria perché t'insegna ad autodisciplinarti, a controllare la tua aggressività, ad imparare a studiare chi hai di fronte per indovinare le sue mosse. Insomma, ti sveglia».

Un pomeriggio, poi, mentre torna a casa dal lavoro, si ferma ad osservare due ragazzini che mimavano a fare i pugili, non si scambiano pugni, stanno immobili l'uno di fronte all'altro e cercano di anticipare, parandosi con le braccia, i colpi del compagno.

«Una tecnica quasi perfetta – ricorda –, quei due erano dei veri boxeurs. Il campione, infatti, non mira a far male all'avversario, ma a dimostrargli con l'agilità dei movimenti la sua superiorità. Ho pensato: peccato che nessuno si accorgerà mai di questi due, magari potrebbero anche sfondare. Non ci ho dormito la notte. La mattina dopo – conclude –, avevo già deciso, cercai un locale e misi su una vera palestra tutta per loro, per levarli dalla strada, per non fargli venire strane tentazioni e per invogliarli e, per favorire le famiglie, non ho mai chiesto un euro. Qualche volta mi chiedono se sono credente, per me credere significa semplicemente questo: insegnare a questi ragazzi quello che possono diventare, persone migliori».

Adesso Salvatore ogni pomeriggio, alle cinque, scende da casa e va ad aprire il locale della vecchia canonica dove s'insegna la «nobile arte», dietro di lui una torma di ragazzini spinge e si precipita dentro a sognare di essere Rocky Balboa che non ha paura di nessuno, neppure dei mafiosi, sconfigge i malvagi e abita in una grande casa colorata con il prato intorno. E chissà che un giorno la favola per qualcuno non si avveri.


venerdì 22 dicembre 2023

“Giuseppe Benedetto Labre, il santo mendicante” di Davide Romano, giornalista

 

"Sii povero e ama la povertà. Ricorda che niente siamo, che niente possediamo, che niente vale la pena tranne Dio." - Giuseppe Benedetto Labre

La storia di Giuseppe Benedetto Labre, santo per la Chiesa cattolica romana, nonostante le sue radici francesi, si intreccia in modo indelebile con il nostro Paerse, dove ha vissuto gran parte della sua vita dedicandosi alla preghiera, all'adorazione eucaristica e a un profondo senso di povertà e di condivisione con i più poveri ed emarginati. Nato il 26 marzo 1748 ad Amettes, un piccolo villaggio nella diocesi di Boulogne-sur-Mer, in Francia, Labre ha incarnato la spiritualità attraverso una vita di rinuncia e servizio.

Labre proveniva da una famiglia di agricoltori, ma fin dalla giovinezza, il suo cuore era orientato verso la vita spirituale. A soli sedici anni, intraprese il cammino della rinuncia alle ricchezze materiali, desiderando dedicare la sua vita a Dio. Tuttavia, i primi tentativi di ingresso in ordini religiosi come i Cappuccini e i Trappisti furono infruttuosi.

Nel 1770, Labre giunse a Roma, la Città Eterna, alla ricerca della sua vocazione spirituale. Qui iniziò il capitolo più significativo della sua vita, caratterizzato da una profonda devozione e povertà. La sua giornata era un perpetuo atto di adorazione, passata pregando nelle chiese e nutrendo una vita ascetica. La sua testimonianza di vita divenne presto una fonte di ispirazione per coloro che lo incontravano.

"Sii come il pane: il pane è per tutti e si dà a tutti. Sii anche tu per tutti." - Giuseppe Benedetto Labre

La vita di Labre era segnata da estrema povertà. Dipendeva interamente dalla carità degli altri, eppure la sua gioia interiore e la sua pace lo rendevano un faro di speranza per i poveri e gli emarginati di Roma. Indossava abiti logori e digiunava quasi ininterrottamente, dimostrando che la vera ricchezza risiede nella consacrazione a Dio.

Labre trascorse gli ultimi anni della sua vita peregrinando tra le chiese di Roma e compiendo pellegrinaggi a luoghi sacri. Nel periodo della Quaresima del 1783, la sua salute peggiorò notevolmente, e il 16 aprile di quell'anno, a trentacinque anni, chiuse gli occhi sulla terra. La sua morte fu accolta con una mistura di tristezza e riconoscenza per la testimonianza di vita offerta.

La fama di santità di Giuseppe Benedetto Labre si diffuse rapidamente. Il suo spirito di sacrificio e la sua dedizione alla povertà ispirarono molte persone. La Chiesa Cattolica lo canonizzò il 8 dicembre 1881, riconoscendo ufficialmente la sua santità.

"Il mio unico desiderio è quello di essere santo." - Giuseppe Benedetto Labre

Oggi, San Giuseppe Benedetto Labre è venerato come il patrono dei senzatetto, dei pellegrini e dei giovani in cerca di direzione nella vita. La sua vita di totale abbandono a Dio continua a ispirare milioni di persone in tutto il mondo, insegnando che la vera ricchezza è nel dono di sé e nell'amore per il prossimo.


sabato 16 dicembre 2023

“John Henry Newman tra fede e ragione” di Davide Romano, giornalista

 


 

John Henry Newman, noto teologo, cardinale e scrittore del XIX secolo, è una figura chiave nella storia della Chiesa cattolica e del pensiero religioso. La sua vita, caratterizzata da una profonda ricerca spirituale e intellettuale, ha influenzato il panorama religioso e filosofico del suo tempo. In questo articolo, esploreremo la vita straordinaria di John Henry Newman, dalle sue origini alla sua canonizzazione nel 2019.

Nato il 21 febbraio 1801 a Londra, Newman proveniva da una famiglia di ascendenza olandese e fu battezzato nella Chiesa anglicana. La sua educazione iniziale fu eccezionale, distinguendosi per la sua intelligenza e il suo talento accademico. Si diplomò a Oxford nel 1821 e divenne un Fellow presso Oriel College.

La carriera accademica di Newman fiorì ad Oxford, dove divenne noto per la sua brillantezza intellettuale e le sue riflessioni teologiche. Nel 1833, fondò il movimento Tractarian, noto anche come Oxford Movement, un gruppo di intellettuali che cercavano di rinnovare la Chiesa anglicana tornando alle sue radici cattoliche. Questo fu il primo passo significativo verso la sua conversione al cattolicesimo.

Dopo anni di intensa ricerca teologica e spirituale, Newman si convertì al cattolicesimo nel 1845. Questa decisione radicale lo portò a rinunciare alla sua posizione a Oxford e a intraprendere una nuova vita come sacerdote cattolico. La sua conversione non fu priva di controversie, ma fu un atto di profonda sincerità nella sua ricerca della verità religiosa.

Dopo la sua conversione, Newman divenne uno dei teologi cattolici più eminenti del suo tempo. Le sue opere, tra cui l'influente "Essay on the Development of Christian Doctrine" e "Apologia Pro Vita Sua," riflettevano la sua dedizione alla fede e la sua abilità di comunicare idee complesse in modo accessibile.

Nel 1879, Papa Leone XIII nominò Newman cardinale, riconoscendo la sua straordinaria contribuzione alla Chiesa e il suo impegno per il dialogo tra fede e ragione. Questo fu un momento significativo nella sua vita, poiché divenne il primo cardinale inglese dai tempi della Riforma.

Il 13 ottobre 2019, Newman è stato canonizzato da Papa Francesco. La sua santità è stata riconosciuta non solo per la sua erudizione teologica, ma anche per la sua vita di preghiera, umiltà e carità.

Oggi, l'eredità di John Henry Newman continua a vivere attraverso le sue opere e l'influenza che ha avuto sulla teologia cattolica. La sua ricerca della verità, la sua dedizione alla fede e la sua abilità di adattarsi ai cambiamenti della società lo rendono un esempio per i credenti di tutte le epoche.

La vita di John Henry Newman è un racconto avvincente di ricerca spirituale, conversione e impegno per la verità. La sua canonizzazione è un riconoscimento della sua santità e della sua influenza duratura sulla Chiesa cattolica.

sabato 9 dicembre 2023

Palermo, la Compagnia del Vangelo lancia l’iniziativa “Aggiungi un posto a tavola. A Natale dona anche tu un pasto completo a un povero”

Natale, tempo gioioso di regali e di auguri, tempo per le cene in famiglia all’ombra di alberi pieni di luci. Ma non per tutti. Sempre più persone, infatti, anche all’interno delle nostre società opulente, fanno fatica a mangiare tutti i giorni. La Compagnia del Vangelo, in collaborazione con le suore Serve dei Poveri del Boccone del Povero del Capo, a Palermo, lancia l’iniziativa “Aggiungi un posto a tavola”.

“Il Natale è ormai alle porte e molte famiglie si preparano a celebrare la festività con cene e regali – scrive in una nota il giornalista Davide Romano, responsabile della comunità La Compagnia del Vangelo -. Sarebbe bello se, soprattutto in un giorno così speciale per tutti, non ci dimenticassimo dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in difficoltà”.

E aggiunge: “Insieme alle suore del Boccone del Povero al Capo di via piazzetta san Marco 8, nel popolare quartiere del Capo a Palermo, abbiamo così pensato di organizzare il pranzo di Natale per chi è senza famiglia o vive per strada. Persone che le ottime suore servono già durante tutto l’anno con la mensa che gestiscono insieme a un gruppo di volontari, ma che non vogliono lasciare sole soprattutto nel giorno in cui ricordiamo la nascita del Signore in mezzo a noi”.

“Chi volesse dare un contributo, offrendo un pasto o il proprio aiuto come volontario – conclude Romano -, può contattare la superiora del convento suor Rosalia al numero 329 491 9286 o recarsi direttamente sul posto”.


“Italia un Paese di scrittori (che non leggono)” di Davide Romano

L'Italia, si dice spesso, è il Paese dei santi, poeti e navigatori. Ma oggi, forse, sarebbe più corretto aggiornarlo così: il Paese de...