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giovedì 2 maggio 2024

Perduto e ritrovato dall’amore di Dio



Sono nato in una famiglia cattolica come tante. Da bambino ho frequentato l’oratorio dei Salesiani e poi gli scout, il grande amore della mia vita. Dopo il liceo e la lettura di tanti testi religiosi, ho anche studiato teologia. Avevo fame di mondo e di vita. Sono anche diventato giornalista e ho viaggiato molto.

Cercavo di essere un buon cristiano e pensavo di cercare sinceramente il Signore. Ma, in verità, lo cercavo con paura e con rabbia. Forse dentro di me Dio era come mio padre, un uomo di formazione militare. A Dio, come a mio padre, bisognava solo ubbidire e l’obbedienza non era mai perfetta. Ubbidivo a Dio ma non lo amavo. Dentro di me anzi lo detestavo e lo maledicevo.

Mio padre era un uomo violento. E per me Dio era come lui. Per quanto mi sforzassi, non avrei mai meritato il suo amore. Mi sono sentito spesso come un cane randagio, costretto a mendicare carezze e cibo. Fuggivo da Dio così come avevo passato l’infanzia e l’adolescenza a fuggire dall’umore imprevedibile di mio padre. Pensavo di conoscere Dio, in fondo avevo studiato teologia! Ma lo conoscevo “per sentito dire”, come Giobbe (42,5). In verità, ero morto dentro. Formalmente un buon cristiano, vivevo una vita disordinata. Priva di amore, in continua e sorda ribellione.

Ma il Signore mi ha messo nel cuore una grande nostalgia e mi ha dato la forza di volgere i miei passi verso di Lui. Nell’estate del 2018 durante un corso di esercizi spirituali ho meditato la parabola del figliol prodigo. Ho urlato a Dio tutta la mia rabbia. Ma all’improvviso mi sono accorto della bellezza che mi circondava: il cielo terso, la luce dorata del sole, il mare e le colline. E ho sentito forte, avvolgente il suo amore che mi sanava il cuore. Scoppiavo di gioia!  Il Signore mi aveva riportato in vita. Mi aveva fatto sentire di essere figlio sempre amato, che Lui c’era sempre stato e che dovevo solo aprirgli la porta perché Lui entrasse nella mia vita e prendesse tutto il mio dolore e la mia rabbia.

Più di trent’anni fa, mio padre era spirato fra le mie braccia chiedendomi di perdonarlo per il male che mi aveva fatto. Lo avevo assistito, fin sulla soglia della morte, combattuto da sentimenti contrastanti. Non ero stato capace di perdonarlo. Solo oggi, a distanza di tanto tempo, posso di dire di averlo veramente perdonato.

Dal giorno della mia conversione, ho desiderato solo vivere e parlare di questo amore. Spero che la mia storia sia una piccola luce per chi ancora vive nelle tenebre della disperazione.

 

Davide Romano, giornalista

(Credere, n. 17, 28 aprile 2024)

lunedì 31 luglio 2023

"'Voi mi cercherete e mi troverete’. Storia breve di una conversione” di Davide Romano


 

"Voi mi cercherete e mi troverete perché mi cercherete con tutto il vostro cuore". (Geremia 29, 13)

Sono nato in una famiglia cattolica come tante altre. Quando ero piccolo, con mio padre e  mia sorella minore Laura arrivavamo sempre alla fine della messa, giusto in tempo per salutare il prete. Quasi un omaggio domenicale a quel presbitero. Non so perché.

Da bambino ho frequentato l’oratorio gestito dai buoni padri salesiani e poi, crescendo, gli scout. Il grande amore della mia vita.

Penso di essere stato sempre religioso e naturalmente cristiano. Dopo il liceo e appassionate letture dei padri della Chiesa, in particolare di Agostino d’Ippona, e di testi teologici e di storia delle religioni, sotto la guida amorevole del mio coltissimo e inquieto nonno materno, ho anche studiato teologia.

 Da giovane avevo fame di mondo e di vita. E di vita e di mondo ne ho divorati tanti da allora. Sono anche diventato giornalista, mi occupavo soprattutto di Vaticano e questioni attinenti alla religione. Poi di mafia e di politica. Ho viaggiato molto, ho attraversato mondi.

A un certo punto, dopo una lunga riflessione, sono uscito dalla Chiesa cattolica, la Chiesa che amavo, per aderire alla Chiesa valdese. La mia ricerca teologica, la mia fame di Verità mi aveva portato fin là. Cercavo di essere un buon cristiano, un cittadino responsabile e impegnato, e pensavo di cercare sinceramente il Signore. Ma, in verità, lo cercavo con paura e con rabbia. Forse dentro di me Dio era come mio padre, un uomo di formazione militare. A Dio, come a mio padre, bisognava solo ubbidire e l’obbedienza non era mai perfetta. Ubbidivo a Dio ma non lo amavo. La mia obbedienza era puramente mentale. Dentro di me lo detestavo e lo maledicevo. Mi aveva dato un’esistenza difficile e, a tratti, orribile.

Mio padre era un uomo violento. E per me Dio era come lui. Per quanto mi sforzassi, non avrei mai meritato il suo amore. Lui avrebbe sempre trovato un motivo per punirmi con la stessa ferocia che avevo sperimentato da parte di mio padre la cui ira scoppiava all’improvviso, come una tempesta, e si placava solo dopo essersi scaricata con tutta la sua forza su di me. La sua violenza era anche psicologica. Raramente mio padre era fiero di me, ricordo solo pochi apprezzamenti, quasi sulle dita di una sola mano. Per il resto, solo rimproveri, insulti. Mi sono sentito spesso come un cane randagio che nessuno vuole, scacciato da tutti, venuto al mondo quasi per caso, che non si rassegna a morire, costretto a mendicare carezze e cibo. Così ero io. Solo e non voluto, non amato.

Quindi, pur pensando di cercarlo, in verità, fuggivo da Dio così come avevo passato l’infanzia e l’adolescenza a fuggire dall’umore capriccioso e imprevedibile di mio padre.

Uno scrittore un giorno ha detto che l’inferno sono gli altri. Per me l’inferno in terra era mio padre.

E così, pensavo di conoscere Dio, in fondo avevo studiato teologia! Ma lo conoscevo “per sentito dire” (cfr. Giobbe 42, 5). Solo a livello mentale. In verità, ero morto dentro. Mi ero allontanato da Dio, come avevo passato la vita ad allontanarmi a fuggire da mio padre. Pur essendo formalmente un buon cristiano, vivevo una vita disordinata. Priva di amore, in continua e sorda ribellione.

Come il figliolo della parabola, anch’io mi sono perso. E, mentre giacevo a terra, reso quasi impotente e stremato per le percosse della vita, il Signore mi ha messo nel cuore una grande nostalgia e la forza di volgere i miei passi e la mia speranza verso di Lui e la sua casa.

Estate 2018. Corso di esercizi spirituali. Meditazione sulla parabola del figliol prodigo. Ero nella mia stanza, ma mi sentivo soffocare. Il cuore mi batteva forte. Sono uscito in giardino e gli ho urlato contro tutta la mia rabbia. Basta! Adesso schiantami, gli ho detto, distruggimi, riprenditi questa vita che non voglio più perché è solo dolore e solitudine, annientami, riducimi in cenere e che il vento disperda per sempre anche il ricordo di me. Maledico Te e la mia vita!

Il cielo era terso. La luce del sole dorava il paesaggio: il mare davanti a me e le colline intorno. Silenzio. Un silenzio assoluto, solido, palpabile. A tratti assordante. Mi sono accorto all’improvviso della bellezza che mi circondava. Un dono. E ho sentito forte, avvolgente il suo amore che mi abbracciava e mi sanava il cuore. L’amore che spezza ogni parola. Che brucia i sensi di colpa. E il cuore quasi mi scoppiava di gioia!

Poco prima ero morto. E all’improvviso il Signore mi aveva riportato in vita. Mi aveva fatto sentire di essere figlio sempre amato, che Lui c’era sempre stato e che dovevo solo aprirgli la porta perché lui entrasse nella mia vita e prendesse tutto il mio dolore, la mia rabbia… il peso della mia intera esistenza.

Ero perduto e Lui mi aveva ritrovato. Pensiamo di cercare Dio e invece è Lui che non smette mai di cercare noi. Ognuno di noi.

“Gli sono venuto incontro da lontano e gli ho detto: ‘Ti ho sempre amato e per questo continuerò a mostrarti il mio amore incrollabile’” (Geremia 31,3).

Ho capito, ho sentito che Dio ama ognuno di noi di un amore speciale e unico. Per ognuno di noi, per la gioia dei nostri occhi, ricreerebbe ogni giorno il mondo con tutti i suoi profumi e colori e l’universo intero con tutte le sue galassie. Solo perché siamo figli amati e non servi chiamati a un’ubbidienza cieca. E, per quanto facciamo, nessuno di noi sarà mai lontano dal suo amore. Niente e nessuno potrà mai separarci dal suo amore. (Cfr. Rm 8, 35-39)

Da allora ho desiderato solo vivere e parlare di questo amore, servirlo con quello che rimane della mia vita. Non importa quanti giorni ancora il Signore mi concederà, desidero che ogni giorno che Lui mi donerà sia speso solo per la sua gloria e per servire i fratelli. Sia una piccola luce per chi ancora vive nelle tenebre della disperazione, un segno del suo amore.

Un giorno nei tuoi cortili val più che mille altrove. Io preferirei stare sulla soglia della casa del mio Dio, che abitare nelle tende degli empi”. (Salmo 84, 10)

 


“Accogliere senza giudicare. La forza della compassione e dell'empatia” di Davide Romano, giornalista

Nell'ampio spettro della convivenza umana, la diversità brilla come una gemma dai molteplici colori. Ogni individuo è unico nel suo insi...