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martedì 15 agosto 2023

"L’eremita delle Madonie" di Davide Romano

Una manciata di case gettata sulla catena montuosa siciliana delle Madonie, poche migliaia di anime un tempo dedite quasi esclusivamente alla coltivazione e alla raccolta della manna.

Castelbuono, un centro che dista poco più di cinquanta chilometri da Palermo, oggi e una località segnalata in quasi tutte le guide turistiche soprattutto per il suo magnifico castello, i ristoranti rustici e i suoi alberghi. Ma non solo. Nell’articolata geografia religiosa dell’Isola il piccolo comune madonita è da tempo noto anche come vivaio di vocazioni alla vita consacrata. E, in particolare, per una speciale forma di quest’ultima: quella eremitica. C’è infatti una lunga tradizione di uomini in fuga dal mondo e gelosi della propria solitudine.

L’ultimo in ordine di tempo è un giovane di poco più di trent’anni, minuto, il volto scavato, gli occhi piccoli e accesi, una folta barba e i capelli rasati. Quasi raggomitolato nel suo abito di panno rozzo, sembra emergere da un’altra epoca.

Si chiama frate Rosario Leonarda, e originario della stessa Castelbuono e vive in un piccolo eremo in pietra viva ai margini del paese messogli a disposizione dal vescovo di Cefalù.

Mi accoglie in una stanzetta buia. «La luce non ce l’ho – mi dice subito –, dobbiamo aspettare che si alzi il sole». All’interno qualche candela, un letto di assi, un tavolo con sopra un cucinino e, accanto a questo, una radio. «Ascolto solo Radio Maria» si giustifica.

Poi s’informa: «Sei venuto per parlare? No? Dovrei raccontarti la mia vita? Ma a chi può interessare? E una vicenda normale come tante altre».

Lo convinco che è piuttosto singolare che, nell’era della comunicazione globale, un uomo decida di vivere da solo tagliando i ponti con la società. «Se pensi che possa aiutare qualcuno ad avvicinarsi a Dio, allora va bene: ti racconto la mia storia».

Nato nel maggio del 1967, ultimo di sei figli di una famiglia semplice e contadina, in paese lo descrivono come un bambino sveglio e vivace. Come molti suoi coetanei, dopo le medie, frequenta l’istituto alberghiero.

«A diciotto anni ho fatto la prima esperienza presso un convento di frati». Poi i ricordi si fanno più confusi, nel racconto del “piccolo eremita” qualcosa non quadra. Parla di due anni di permanenza a Corleone nel noviziato dei Francescani rinnovati, ma non sa collocare con precisione il periodo nel tempo.

La gente di Castelbuono racconta, invece, la storia di un giovane allegro partito come volontario per il Libano, durante il servizio militare, e tornato, qualche anno dopo, con uno sguardo spento, attraversato da strane visioni di morte. La gente parla ancora di un giovane tornato vecchio, rimasto per mesi segregato in silenzio a casa sua e partito all’improvviso una mattina, quasi di nascosto, per farsi frate.

«Mentre ero a Corleone – riprende Rosario, – mi sentivo chiamato a vivere con Dio nella solitudine. Ma non è come pensano le persone che si entra in monastero e si decide. È necessario fare un lungo discernimento per capire cosa Dio vuole da noi». Alla vigilia dei voti, decide di uscire dal convento. Va allora in Svizzera a lavorare per qualche anno come cuoco.

«Avevo bisogno di chiarirmi le idee», spiega. «Per chi ha vissuto in un ambiente protetto come una comunità religiosa, il mondo è una giungla violenta. Lavorando, però, ho riscoperto la realtà della vita materiale, ho imparato che nella fatica d’ogni giorno è possibile incontrare Dio».

Nel 1991 altra decisione apparentemente repentina. Si licenzia e torna a casa. «Me ne sono andato quando ho capito che la mia esperienza lì era finita. Sono cose che senti, è inutile spiegare come avvengono», chiosa.

Un giorno, passeggiando per i boschi che circondano il paese, incontra frate Gabriele, un eremita figlio di un diplomatico argentino in Italia che, dopo aver passato più di dieci anni sepolto in un monastero cistercense vicino Roma, si era stabilito in un piccolo rifugio sui monti a pochi chilometri da Castelbuono.

«Rimasi subito affascinato dal suo ideale di radicalismo evangelico, – continua – ma avevo paura. Non mi sentivo pronto. Non sempre puoi fare quello che desideri. Ci sono tempi e momenti per ogni cosa. Quando il tempo è maturo, la cosa non ti costa fatica. Nella vita ho imparato che bisogna sapere attendere che i fiori sboccino da soli. Forzandoli, li si uccide solamente».

Dopo un anno, torna un’altra volta in convento a Corleone. Ma lì capisce finalmente qual è la sua strada. Va, quindi, dal suo vescovo per chiedergli consiglio. «Il mio pastore è un uomo molto buono e molto saggio. Mi affidai a lui e promisi nelle sue mani di essere povero, casto e obbediente per tutta la vita».

Da allora vive nel piccolo eremo ai bordi del centro abitato.

«Conduco una vita normale», dice. «Mi alzo alle otto. Sì, lo so è un po’ tardi. Prima mi ponevo il problema. Dopo ho pensato che, se anche dormo un po’ di più, Dio mi vuole bene lo stesso. O no?». Il resto della giornata lo dedica a fabbricare piccoli oggetti in legno o in gesso e a dipingere icone.

«Lavoro dalle quattro alle sei ore al giorno se nessuno viene qui a trovarmi. Molta gente vuole che l’ascolti. Oggi nessuno ne ha più il tempo. In quanto alla pittura, ho imparato da solo osservando alcuni monaci. Le cose che faccio le regalo».

Sul suo tavolo ci sono alcune tavolette e dei fogli incolonnati. Li prende e ci spiega la complessa esegesi delle figure sacre. Notiamo che i volti, stranamente, si assomigliano un po’ tutti e ricordiamo quello che la gente va dicendo in proposito su di lui. Qualcuno segnandosi narra, infatti, che una notte frate Rosario pregando ha parlato con Dio e l’ha anche visto…

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I fioretti di fra Rosario

«Vivo nel presente, giorno per giorno. Il domani appartiene a Dio solo. Perché allora preoccuparsene?»

«Leggo solo la Bibbia, le opere di Santa Teresa d’Avila e di San Giovanni della Croce. Da qualche tempo anche i mistici orientali. I documenti del magistero? Io non ne so di teologia, non li capisco…»

«Quelli che nella Chiesa fanno carriera diventando magari vescovi o cardinali, quelli che in nome di Dio si arricchiscono morendo lordati di denaro… mi provocano solo compassione e misericordia perché hanno perso di vista l’unica cosa essenziale nella loro vita: Dio e il suo amore per tutti gli uomini. Sono stati abbagliati dalla gloria del mondo e dal demonio. Io non ho paura di giudicare chi si comporta così. Ogni cristiano, infatti, è chiamato a scegliere il bene e a scartare il male, anche nella Chiesa. E poi l’ha detto Gesù: non chi dice “Signore, Signore” è cristiano anche se monsignore o cardinale»

«L’universo è nulla in confronto al mondo interiore d’ogni uomo, al suo cuore». 

“Accogliere senza giudicare. La forza della compassione e dell'empatia” di Davide Romano, giornalista

Nell'ampio spettro della convivenza umana, la diversità brilla come una gemma dai molteplici colori. Ogni individuo è unico nel suo insi...