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mercoledì 21 febbraio 2024

La storia dei Valdesi in quattro volumi per gli 850 anni del Movimento

 


 

Il grande progetto editoriale ideato dalla Società di Studi Valdesi con l'editrice Claudiana

Per gli 850 anni della nascita del movimento dei valdesi - nato nel 1174 come rinnovamento spirituale detto dei "Poveri di Lione" su iniziativa di un certo Valdo che, ancora prima di Francesco d'Assisi, auspicava il ritorno a un cristianesimo pauperista - Claudiana, editrice di riferimento del mondo protestante in Italia, ha realizzato il grande progetto editoriale ideato dalla Società di Studi Valdesi de La storia dei valdesi, che arriva in libreria con i primi due dei quattro volumi complessivi (gli altri due volumi sono attesi entro la fine di marzo).

Si tratta di una grande opera scientifica collettiva, inter-generazionale e inter-disciplinare, frutto degli ultimi cinquant'anni di studi e ricerche compiuti secondo una pluralità di sguardi e approcci metodologici da parte di un centinaio di storici e storiche nonché studiose e studiosi (solo in minoranza di estrazione valdese) di sociologia, antropologia, linguistica, letteratura, teologia e altre discipline coordinati da quattro curatori, specialisti dei diversi periodi trattati - rispettivamente Francesca Tasca per il Medioevo, Susanna Peyronel Rambaldi per il Cinque e Seicento, Gian Paolo Romagnani per il Settecento e l'Ottocento fino alla Breccia di Porta Pia e Paolo Naso dalla fine dello Stato pontificio al 1990 - e organizzata in quattro volumi suddidivisi cronologicamente per raccontare 850 anni di storia valdese, dalla nascita all'adesione alla Riforma protestante, dalle persecuzioni alla concessione dei diritti civili, fino alla piena cittadinanza nell'Italia democratica.

Come spiega Gian Paolo Romagnani, presidente della Società di Studi Valdesi e curatore del terzo volume dell'opera, "quest'impresa è stata concepita allo scopo di aggiornare la narrazione, sostanzialmente ferma alla vecchia Storia dei valdesi di Amedeo Molnar, Augusto Armand Hugon, Valdo Vinay, pubblicata fra il 1974 e il 1980, rileggendo le vicende di 850 anni di storia valdese alla luce della storiografia internazionale più aggiornata e fuori da ogni approccio confessionale o identitario, grazie alla collaborazione di quasi cento autori, per lo più esterni al mondo valdese. Con quest'opera, la Società di Studi Valdesi ha inteso fornire sia un contributo al dibattito storiografico internazionale, sia un'occasione di riflessione per il mondo evangelico italiano ed europeo".

Nata dalla necessità di ripensare la storia valdese, la nuova Storia dei Valdesi si pone quindi come sintesi importante dei migliori studi e approfondimenti degli ultimi cinquant'anni e come lavoro culturale volto ad abbandonare schemi precostituiti e proporre nuove interpretazioni derivanti dall'esplorazione di nuove fonti documentarie, nuovi temi, nuove correnti storiografiche e nuove sensibilità.

Il presidente Claudiana, Eugenio Bernardini, commenta: "Fin dalle origini, la chiesa valdese attribuisce grande importanza all'istruzione e alla cultura, strumenti indispensabili affinché chiunque possa leggere autonomamente la Bibbia e formare le proprie opinioni in ogni campo. La casa editrice Claudiana, che è punto di riferimento per la cultura protestante nel nostro Paese, ha il compito di tradurre in carta stampata questa convinzione, per cui era inevitabile che si impegnasse in questa grande impresa editoriale: le chiese e i movimenti religiosi hanno bisogno di una ricerca storica rigorosa su cui basare la consapevolezza che il proprio presente non nasce nell'oggi e che il proprio futuro non può non tenere conto dei legami con il passato. Se non si fondano su una solida base storica e scientifica, le grandi narrazioni collettive che nutrono le scelte culturali, politiche e sociali sono pura ideologia, propaganda di parte. Assumendo la storiografia preesistente, questa Storia lavora sulle principali tesi storiografiche degli ultimi decenni, su nuovi ambiti di ricerca e cerca di allontanarsi da una rappresentazione talora un po’ compiaciuta del valdismo".

(Fonte: Repubblica.it)

 

domenica 17 settembre 2023

"Il cristiano non può essere mafioso. Dal pastore valdese Pietro Valdo Panascia a don Pino Puglisi il lungo cammino delle Chiese” di Davide Romano

 


“Il cristiano non può essere mafioso”. Con queste parole, pronunciate quale anno fa da papa Francesco a Palermo, nel contesto del ricordo di Padre Puglisi, la Chiesa cattolica romana ha segnato una nuova consapevolezza nella sua lotta contro la mafia. Questa affermazione, semplice ed immediata nella sua ovvietà, è stata accolta da molte parti come un segno di cambiamento all'interno della Chiesa di fronte al fenomeno mafioso. Questo cambiamento è il risultato di un percorso discontinuo e complesso, iniziato in territori periferici e con esperienze pastorali di minoranza all'interno della cristianità.

Già nel lontano 1963, dopo la strage mafiosa di Ciaculli, il pastore valdese Pietro Valdo Panascia lanciò un appello “a quanti hanno la responsabilità civile e religiosa del nostro popolo” per “la formazione di una più elevata coscienza morale cristiana”. In quel momento, la Chiesa cattolica reagì in modo più lento attraverso la lettera pastorale dell'Arcivescovo di Palermo, il cardinale Ernesto Ruffini, intitolata "Il vero volto della Sicilia". Questa risposta fu giudicata da molti insoddisfacente e fu ritardata dalla divergenza di vedute tra il Papa Paolo VI e lo stesso Ruffini, che respingeva l'idea che la mentalità mafiosa potesse avere alcuna connessione con quella religiosa.

Per assistere a una nuova presa di posizione della Chiesa cattolica siciliana contro la mafia, dobbiamo aspettare il periodo dei grandi delitti eclatanti, che ebbe luogo tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta del secolo scorso. Il cardinale Salvatore Pappalardo, con le sue celebri omelie, rappresentò la disponibilità della Chiesa siciliana postconciliare a collaborare con lo Stato per promuovere una coscienza comune, sia civica che legale, basata sulla legalità. Questa fase fu descritta da alcuni come "la rivoluzione degli onesti", un tentativo di opporre la "propria giustizia personale" all'ingiustizia perpetrata da molti.

Tuttavia, questa stagione di impegno ebbe una durata relativamente breve. Quando divenne evidente che la lotta della Chiesa contro la mafia richiedeva una riformulazione politica del sostegno dell'episcopato nazionale al partito cattolico unico e la rimozione delle connivenze tra mafia e poteri dello Stato, spesso protette da figure nominalmente cattoliche, si tornò a una difesa apologetica basata sull'identità culturale cristiana astratta del popolo siciliano, ignorando le radici del problema mafioso.

L'assassinio di Padre Puglisi, il 15 settembre del 1993, avvenne in un periodo in cui il tema della lotta alla mafia era in gran parte assopito nel dibattito interno della Chiesa. La morte del prete che aveva promosso pratiche pastorali innovative e una visione rinnovata dell'evangelizzazione popolare del territorio rappresentò un momento significativo. Tuttavia, questo avvenimento fu preceduto dal famoso "grido" contro la mafia di Papa Giovanni Paolo II, che, utilizzando un linguaggio apocalittico, spostò la sfida dalla sfera dell'analisi socio-politica e culturale a quella espressamente escatologica.

Oggi è evidente che il fenomeno mafioso, considerato come un'espressione di un'antropologia distorta, ha anche rilevanza morale e teologica. Tuttavia, è difficile non notare che questa nuova consapevolezza collettiva arriva più di cinquant'anni dopo, alla fine di un percorso non lineare di auto-riflessione della comunità ecclesiale di fronte all'ostinata contraddizione tra la mafia e il Vangelo.

Anche se, davanti al riemergere sulla scena politica locale e nazionale di alcuni personaggi, in precedenza condannati per gravi reati inerenti ai loro rapporti con le mafie, e che si richiamano direttamente al magistero cattolico, ci si chiede se la riflessione della comunità ecclesiale sia davvero giunta a una qualche maturazione. Altrimenti, non si spiega il consenso politico e di opinione di cui ancora godono. 


mercoledì 13 settembre 2023

“I Valdesi: Una Passione per la Fede e la Libertà” di Davide Romano



Nel cuore delle maestose Alpi italiane, tra scenari montani mozzafiato e una ricca storia di perseveranza, troverete i Valdesi. Questo gruppo di cristiani, noto anche come Chiesa Valdese, è animato da una passione profonda per la fede, la libertà e la giustizia.

I Valdesi affondano le loro radici in una tradizione di resistenza e ricerca della verità. Nel Medioevo, in un'epoca in cui la Chiesa Cattolica esercitava un controllo rigoroso sulla fede cristiana, i Valdesi si ribellarono coraggiosamente. Essi credevano in una fede semplice e autentica, basata sulla lettura diretta della Bibbia. La passione per la verità li spinse a tradurre la Bibbia in lingue comprensibili, rendendo la Parola di Dio accessibile a tutti.

La fede è il cuore pulsante della vita Valdese. La passione per Dio e la profonda connessione spirituale attraverso la lettura e lo studio della Bibbia sono le chiavi della loro identità. Essere Valdesi significa coltivare una relazione personale e appassionata con Dio, alla ricerca costante della verità spirituale.

La passione dei Valdesi si estende all'accoglienza della diversità. Questa comunità ha sempre aperto le porte a persone di diverse culture, credenze e stili di vita. L'inclusività è un segno distintivo della loro fede, dimostrando che l'amore per il prossimo supera qualsiasi barriera.

Essere Valdesi significa anche abbracciare l'impegno sociale e la giustizia. Questa comunità non si limita a vivere la propria fede nei confini delle chiese, ma s’impegna attivamente per migliorare il mondo che li circonda. Dall'assistenza ai bisognosi alla difesa dei diritti umani, i Valdesi incarnano la passione per la giustizia e la compassione.

L'essere parte della comunità Valdese è come essere parte di una grande famiglia. La solidarietà e il sostegno reciproco sono valori fondamentali. Nelle gioie e nelle sfide della vita, i Valdesi sono lì per gli altri, creando un legame che va al di là delle semplici appartenenze religiose.

Infine, la passione dei Valdesi si riflette nel loro impegno per la pace e la nonviolenza. Sono fermamente convinti che la pace sia un valore fondamentale del cristianesimo e lavorano instancabilmente per promuovere la comprensione e la conciliazione tra le persone.

Essere Valdesi, pertanto, è abbracciare una passione profonda per la fede, la libertà, la giustizia e l'amore per il prossimo. Questa comunità ha attraversato secoli di sfide, ma la loro passione per la verità e la ricerca spirituale continua a guidarli. Sono una testimonianza vivente di come la fede possa essere un faro luminoso nella notte, una guida per la vita e una fonte inesauribile d’ispirazione.


lunedì 31 luglio 2023

"'Voi mi cercherete e mi troverete’. Storia breve di una conversione” di Davide Romano


 

"Voi mi cercherete e mi troverete perché mi cercherete con tutto il vostro cuore". (Geremia 29, 13)

Sono nato in una famiglia cattolica come tante altre. Quando ero piccolo, con mio padre e  mia sorella minore Laura arrivavamo sempre alla fine della messa, giusto in tempo per salutare il prete. Quasi un omaggio domenicale a quel presbitero. Non so perché.

Da bambino ho frequentato l’oratorio gestito dai buoni padri salesiani e poi, crescendo, gli scout. Il grande amore della mia vita.

Penso di essere stato sempre religioso e naturalmente cristiano. Dopo il liceo e appassionate letture dei padri della Chiesa, in particolare di Agostino d’Ippona, e di testi teologici e di storia delle religioni, sotto la guida amorevole del mio coltissimo e inquieto nonno materno, ho anche studiato teologia.

 Da giovane avevo fame di mondo e di vita. E di vita e di mondo ne ho divorati tanti da allora. Sono anche diventato giornalista, mi occupavo soprattutto di Vaticano e questioni attinenti alla religione. Poi di mafia e di politica. Ho viaggiato molto, ho attraversato mondi.

A un certo punto, dopo una lunga riflessione, sono uscito dalla Chiesa cattolica, la Chiesa che amavo, per aderire alla Chiesa valdese. La mia ricerca teologica, la mia fame di Verità mi aveva portato fin là. Cercavo di essere un buon cristiano, un cittadino responsabile e impegnato, e pensavo di cercare sinceramente il Signore. Ma, in verità, lo cercavo con paura e con rabbia. Forse dentro di me Dio era come mio padre, un uomo di formazione militare. A Dio, come a mio padre, bisognava solo ubbidire e l’obbedienza non era mai perfetta. Ubbidivo a Dio ma non lo amavo. La mia obbedienza era puramente mentale. Dentro di me lo detestavo e lo maledicevo. Mi aveva dato un’esistenza difficile e, a tratti, orribile.

Mio padre era un uomo violento. E per me Dio era come lui. Per quanto mi sforzassi, non avrei mai meritato il suo amore. Lui avrebbe sempre trovato un motivo per punirmi con la stessa ferocia che avevo sperimentato da parte di mio padre la cui ira scoppiava all’improvviso, come una tempesta, e si placava solo dopo essersi scaricata con tutta la sua forza su di me. La sua violenza era anche psicologica. Raramente mio padre era fiero di me, ricordo solo pochi apprezzamenti, quasi sulle dita di una sola mano. Per il resto, solo rimproveri, insulti. Mi sono sentito spesso come un cane randagio che nessuno vuole, scacciato da tutti, venuto al mondo quasi per caso, che non si rassegna a morire, costretto a mendicare carezze e cibo. Così ero io. Solo e non voluto, non amato.

Quindi, pur pensando di cercarlo, in verità, fuggivo da Dio così come avevo passato l’infanzia e l’adolescenza a fuggire dall’umore capriccioso e imprevedibile di mio padre.

Uno scrittore un giorno ha detto che l’inferno sono gli altri. Per me l’inferno in terra era mio padre.

E così, pensavo di conoscere Dio, in fondo avevo studiato teologia! Ma lo conoscevo “per sentito dire” (cfr. Giobbe 42, 5). Solo a livello mentale. In verità, ero morto dentro. Mi ero allontanato da Dio, come avevo passato la vita ad allontanarmi a fuggire da mio padre. Pur essendo formalmente un buon cristiano, vivevo una vita disordinata. Priva di amore, in continua e sorda ribellione.

Come il figliolo della parabola, anch’io mi sono perso. E, mentre giacevo a terra, reso quasi impotente e stremato per le percosse della vita, il Signore mi ha messo nel cuore una grande nostalgia e la forza di volgere i miei passi e la mia speranza verso di Lui e la sua casa.

Estate 2018. Corso di esercizi spirituali. Meditazione sulla parabola del figliol prodigo. Ero nella mia stanza, ma mi sentivo soffocare. Il cuore mi batteva forte. Sono uscito in giardino e gli ho urlato contro tutta la mia rabbia. Basta! Adesso schiantami, gli ho detto, distruggimi, riprenditi questa vita che non voglio più perché è solo dolore e solitudine, annientami, riducimi in cenere e che il vento disperda per sempre anche il ricordo di me. Maledico Te e la mia vita!

Il cielo era terso. La luce del sole dorava il paesaggio: il mare davanti a me e le colline intorno. Silenzio. Un silenzio assoluto, solido, palpabile. A tratti assordante. Mi sono accorto all’improvviso della bellezza che mi circondava. Un dono. E ho sentito forte, avvolgente il suo amore che mi abbracciava e mi sanava il cuore. L’amore che spezza ogni parola. Che brucia i sensi di colpa. E il cuore quasi mi scoppiava di gioia!

Poco prima ero morto. E all’improvviso il Signore mi aveva riportato in vita. Mi aveva fatto sentire di essere figlio sempre amato, che Lui c’era sempre stato e che dovevo solo aprirgli la porta perché lui entrasse nella mia vita e prendesse tutto il mio dolore, la mia rabbia… il peso della mia intera esistenza.

Ero perduto e Lui mi aveva ritrovato. Pensiamo di cercare Dio e invece è Lui che non smette mai di cercare noi. Ognuno di noi.

“Gli sono venuto incontro da lontano e gli ho detto: ‘Ti ho sempre amato e per questo continuerò a mostrarti il mio amore incrollabile’” (Geremia 31,3).

Ho capito, ho sentito che Dio ama ognuno di noi di un amore speciale e unico. Per ognuno di noi, per la gioia dei nostri occhi, ricreerebbe ogni giorno il mondo con tutti i suoi profumi e colori e l’universo intero con tutte le sue galassie. Solo perché siamo figli amati e non servi chiamati a un’ubbidienza cieca. E, per quanto facciamo, nessuno di noi sarà mai lontano dal suo amore. Niente e nessuno potrà mai separarci dal suo amore. (Cfr. Rm 8, 35-39)

Da allora ho desiderato solo vivere e parlare di questo amore, servirlo con quello che rimane della mia vita. Non importa quanti giorni ancora il Signore mi concederà, desidero che ogni giorno che Lui mi donerà sia speso solo per la sua gloria e per servire i fratelli. Sia una piccola luce per chi ancora vive nelle tenebre della disperazione, un segno del suo amore.

Un giorno nei tuoi cortili val più che mille altrove. Io preferirei stare sulla soglia della casa del mio Dio, che abitare nelle tende degli empi”. (Salmo 84, 10)

 


“Accogliere senza giudicare. La forza della compassione e dell'empatia” di Davide Romano, giornalista

Nell'ampio spettro della convivenza umana, la diversità brilla come una gemma dai molteplici colori. Ogni individuo è unico nel suo insi...