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mercoledì 21 febbraio 2024

“Quando Tolstoj divenne vegetariano” di Davide Romano, giornalista


La riflessione sulle motivazioni etico-religiose e antropologiche di una scelta vegetariana è al centro di questo breve scritto del 1892, che fu a lungo noto con il titolo Il primo gradino, allusiva metafora dietro cui compare quell’ideale di ascetismo che Lev Tolstoj volle far proprio, a partire da un certo momento della sua vita. Il primo di un numero infinito di gradini di una colossale scalinata, la cui faticosa e travagliata ascesa costituisce l’unica via che conduce alla virtù.

 È noto a tutti quanto sia stata ricca di contraddizioni, di passioni, di pensieri e sentimenti la straordinaria esistenza di Lev Tolstoj. Quando, all’indomani di un’infanzia dorata, trascorsa nella lussuosa tenuta di famiglia a Jàsnaja Poljàna, dopo aver perso prematuramente i genitori, Tolstoj si trasferì in città, allora ebbe inizio quello che lui stesso definì “l’orribile ventennio di dissolutezza e di schiavitù all’ambizione, alla vanità e soprattutto alla carne”, un periodo di totale abbandono a ogni sorta di piacere, a cui si aggiunse poi l’esperienza della vita militare.

A questa giovanile immersione nella mondanità appagante e sensuale si contrapporrà, negli anni della maturità, un’intensa e mai placata tensione ascetica, un tormentato bisogno di purificazione interiore, di cui la scelta vegetariana rappresentò solo un aspetto. Per moltissimi anni, a partire dagli anni del suo rivolgimento spirituale, fra il 1870 e il 1880, e fino alla sua morte, avvenuta nel 1910, Tolstoj si nutrì esclusivamente di verdure, pane e legumi. Alla base di una simile risolutezza stavano delle profonde motivazioni filosofiche e ideologiche, in cui lo stoico distacco dalle passioni, di tradizione pagana, incontrava l’ideale cristiano del sacrificio e della rinuncia, e si fondeva con esso in un unico principio filosofico, secondo cui l’astinenza si pone come primo passo di un lungo percorso di elevazione spirituale.

Ma c’è un’altra ragione per cui lo scrittore di Jàsnaja Poljàna si dichiara convinto sostenitore della scelta vegetariana, ed è il suo rifiuto della violenza o, in senso più ampio, il suo intimo e inestinguibile sentimento di amore per la vita, la sensazione di potersi appropriare del significato pieno e profondo dell’esistenza proprio attraverso il conseguimento di un’armonia con la natura.

L’ideale nonviolento tolstojano, com’è noto, fu di ispirazione a Gandhi, il quale dichiarò di aver creduto nella nonviolenza proprio grazie alla lettura, nel 1894, del saggio Il Regno di Dio è in voi. Tutto il sistema di pensiero di Tolstoj trae origine dall’ansia religiosa che lo anima, e l’intera sua produzione letteraria, dagli anni Settanta in poi, risente di questa sua disposizione interiore. Il fervore della sua religiosità è la chiave per interpretare non soltanto la sua produzione saggistica ed esegetica, ma anche quella narrativa, nonché l’intera sua complessa spiritualità, la sua filosofia, il suo stile di vita, fino alle sue scelte nell’alimentazione.

La questione del vegetarianismo era stata centrale nel dibattito culturale europeo dell’Ottocento, come attesta il grande interesse riscosso, in tutto il vecchio continente, dall’opera dell’inglese H. Williams, The Ethics of Diet, pubblicata nel 1878. Il presente saggio apparve qualche anno dopo, nel 1892, proprio come prefazione all’edizione russa dell’opera di Williams. In una prosa dal tono sospeso fra la semplicità di un apologo e la letterarietà di certi riferimenti colti, la prospettiva etica di Tolstoj balzava in primo piano, nel fermo rifiuto dell’aberrante e innaturale atto di violenza di cui il consumo di carne è inglorioso corollario.

La straordinaria modernità del pensiero del grande filosofo russo si allaccia con forza alle più calde questioni che percorrono, a più di un secolo di distanza, la nostra società. L’attualità delle rivendicazioni del movimento animalista o il dilagante favore che incontra in questi nostri anni la scelta di un’alimentazione vegetariana rappresentano posizioni ideologiche estremamente affini alle istanze così appassionatamente caldeggiate dal vegliardo di Jàsnaja Poljàna, testimone lungimirante e intuitivo del suo secolo, un secolo di profondi rivolgimenti culturali, in cui il vecchio mondo dell’ancien régime, con tutti i suoi sentimenti e i suoi valori, tramontava, per lasciare spazio alla sensibilità nuova della società che nasceva.

 

Lev Nikolàevič Tolstoj nacque nel 1828 a Jàsnaja Poljàna, nella tenuta di proprietà della nobile famiglia materna, nei pressi della città di Tula. Dopo la perdita di entrambi i genitori, trascorse gli anni dell’adolescenza tra Mosca e Kazan, dove iniziò gli studi universitari. Nel 1851 ebbe inizio la sua avventura al fronte, nel Caucaso; sono questi gli anni in cui Tolstoj inizia a scrivere, e da lì a poco vedrà la luce il suo primo romanzo, Infanzia, pubblicato nel 1852, cui seguirà nel 1856I racconti di Sebastopoli, ispirato proprio all’avventura nell’esercito. Intorno ai trent’anni, Tolstoj decise di far ritorno a Jàsnaja Poljàna, dove rimase per gran parte della sua vita. Nel 1862 sposò Sonja Andrèevna Bers, e negli stessi anni pubblicò le opere che lo hanno reso immortale: Guerra e pace è del 1869, Anna Karenina del 1877. Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, Tolstoj attraversò un periodo di profonda crisi spirituale, dalla quale uscì grazie alla religione. Da questo momento, tutta la sua produzione letteraria, narrativa e saggistica risentì di una rinnovata prospettiva filosofica ed etico-religiosa. L’opera completa di Tolstoj è raccolta in 90 volumi, non ancora integralmente tradotti in italiano.


Il libro: Lev Nikolàevič Tolstoj, “Riflessioni di un vegetariano”, Prefazione e cura di Davide Romano, Edizioni EL


sabato 18 novembre 2023

“Padre Giovanni Semeria tra amore per i poveri e istanze moderniste” di Davide Romano

 


“L'abito di Lev Tolstoj, simile a quello di un contadino russo, e il suo pasto semplice e frugale delineano un quadro della sua vita quotidiana”. Si offre in questo modo ‘autore di “Guerra e pace” ai suoi visitatori. Fra questi, il padre Giovanni Semeria che però offre un giudizio aspro sul grande scrittore russo, sottolineando che la differenza tra Tolstoj e il contadino russo è equiparabile a quella tra la polenta che un ricco gusta per svago una volta all'anno e quella che un povero consuma per necessità ogni giorno della sua vita.

Nell'estate del 1903, il barnabita padre Giovanni Semeria si avventura in Russia insieme all'amico don Salvatore Minocchi con l'intento di visitare Jasnaja Poljana, la tenuta del settantacinquenne scrittore Tolstoj. Quest'ultimo è diventato un punto di riferimento culturale per i credenti che aspirano a un impegno più profondo nel riscatto dei poveri e auspicano una Chiesa più dinamica e attenta alle emergenze sociali. Durante il loro viaggio attraverso Vienna e San Pietroburgo, vengono calorosamente accolti da Tolstoj a Jasnaja Poljana.

In seguito a lunghe conversazioni, Semeria matura l'idea che sostenere chi è nel bisogno non può rimanere un'ideologia o un atteggiamento culturale, ma deve permeare la vita e l'attività della Chiesa nel cuore e nel midollo. Non basta limitarsi a un impegno intellettuale, come fa Tolstoj, il quale, secondo Semeria, sembra completamente assorbito dal problema morale e religioso. Se si vuole che il "umanitarismo" di Tolstoj si trasformi in "vero cristianesimo", ovvero in carità, occorre scendere in campo e sporcare le mani. Concetti che, 76 anni dopo, a Puebla, verranno chiamati "opzione preferenziale per i poveri". Questi concetti, oggi parte integrante del racconto quotidiano della Chiesa di Francesco, all'epoca di Semeria erano rivoluzionari e già anticipati in una sua corrispondenza per il Cittadino, scritta durante la sua esperienza in Russia. Nel corso degli anni, Semeria sviluppa e fa propri questi concetti fino a farli diventare il cuore della sua stessa esistenza.

Genocchi, d'altra parte, non condivide questa posizione e mantiene intatta la sua ammirazione per l'intelletto e la critica di Tolstoj. Le loro vie nella Chiesa, in un contesto modernista, si dividono rapidamente: Genocchi, sospeso a divinis, abbandona l'abito talare e diventa docente alla Sapienza, mentre Semeria, pur avendo ricevuto offerte da prestigiose università protestanti europee, dichiara piena fedeltà alla Chiesa. Dopo l'aspra esperienza della Prima guerra mondiale, diventa apostolo della carità e servo degli orfani, giungendo al punto di sacrificare la propria vita in condizioni di estrema difficoltà pur mantenendo la promessa fatta ai loro padri nelle trincee del fronte orientale.

Semeria, nato orfano di padre e cresciuto con una madre costretta a emigrare in Piemonte per sopravvivere, diventa uno dei preti più noti della sua epoca. La sua eloquenza e modernità nell'approccio lo rendono in grado di comunicare con le folle, intellettuali laicisti, soldati poveri al fronte e persino bambini ospitati nelle case fondate con don Giovanni Minozzi negli anni Venti.

Giovan Battista Montini, a Brescia, è uno degli esempi in cui il prete ha lasciato un segno significativo. Paolo VI stesso ricorda come Semeria abbia confortato i genitori preoccupati per Montini durante il suo periodo di formazione in seminario, predicendo che un giorno sarebbe diventato "vescovo e anche di più". Nelle discussioni successive alla morte, si è parlato ampiamente delle simpatie moderniste di Semeria, del suo ruolo come cappellano militare nella Grande Guerra, della sua vasta cultura e delle sue relazioni con i letterati più famosi. Tuttavia, la sua "opzione per i poveri", teorizzata in tempi rivoluzionari e messa in pratica con l'aiuto di don Giovanni Minozzi attraverso la fondazione dell'Opera Nazionale per il Mezzogiorno d'Italia per assistere gli orfani di guerra, è rimasta in secondo piano. La sua devozione al Sacro Cuore e a Maria, insieme al costante richiamo all'esempio della croce e alla sua ardente spiritualità, sono aspetti spesso trascurati della sua figura.

Se durante le sue grandi predicazioni a Roma e Genova Semeria plasmava "ogni parola nella preghiera", negli ultimi anni della sua vita scriveva conferenze e libri con l'unico scopo di raccogliere fondi per sfamare i suoi "figli". Questo sforzo, compiuto di notte mentre era inginocchiato a terra con il foglio appoggiato su una sedia, rappresenta un'ascesi che si fonde perfettamente con la sua carità. Sempre più viveva per i poveri, più il suo sguardo si rivolgeva a Cristo. Una figura autentica e profetica della fede moderna, che ha sperimentato la depressione durante gli orrori delle trincee, ma è emerso più forte di prima. Il suo modo di affrontare la disperazione è in sé una profezia che ha lasciato alla Chiesa e al nostro tempo.

“Accogliere senza giudicare. La forza della compassione e dell'empatia” di Davide Romano, giornalista

Nell'ampio spettro della convivenza umana, la diversità brilla come una gemma dai molteplici colori. Ogni individuo è unico nel suo insi...