venerdì 26 luglio 2024

Chiesa, Suore Collegine, Madre Alongi confermata superiora generale

 


Si è concluso nei giorni scorsi, a Palermo, il XVII capitolo generale ordinario delle Suore Collegine, dedicato al tema “Che nulla vada perduto…” (Gv 6,12). La madre generale, Eleonora Francesca Alongi, ha invitato la congregazione a riflettere su questo tema che rappresenta il filo conduttore dell’assemblea capitolare e mira a ravvivare la speranza delle suore. Il tema, ispirato dal miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, sottolinea l’importanza di raccogliere e valorizzare ogni risorsa.

Sr. Alongi ha spiegato che il carisma educativo, trasmesso dal venerabile fondatore, il cardinale Pietro Marcellino Corradini, riflette – riferisce una nota – lo stile di vita della Santa Famiglia di Nazareth e possiede una rilevanza contemporanea tutta da scoprire. Il capitolo ha visto un’intensa fase di ascolto, con la presentazione di diverse relazioni: dalla madre generale, all’economa generale, dalla delegata dell’Africa orientale e dalle comunità in Polonia e Messico.

Durate il capitolo, iniziato lo scorso 17  luglio, si sono tenute le elezioni del consiglio direttivo. Madre Eleonora Francesca Alongi è stata riconfermata come madre generale, proseguendo il suo mandato iniziato sei anni fa. Il nuovo consiglio direttivo è composto da: sr. Anna Oliveri, vicaria generale; sr. Magreth Moya, seconda consigliera; sr. Rosa Maira, terza consigliera; sr. Jolande Marku, quarta consigliera; sr. Rosetta Scarpello, economa generale; e sr. Gaetana Scarlata, segretaria generale.

L’arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace, mons.  Vincenzo Bertolone ha offerto alcune meditazioni durante le giornate del capitolo che si è concluso con un pellegrinaggio a Maria Santissima di Trapani. Madre Eleonora Francesca Alongi, ispirandosi alla mistica carmelitana Edith Stein, ha evidenziato che “L’amore è qualcosa di così positivo, di così forte, di così vero che, per chi ama, soffocare il proprio sentimento sarebbe come togliersi la vita. La vita mi è diventata molto cara e sono felice di amare. La mia vita e il suo amore sono una cosa sola. Penso che nulla più del vero amore possa svegliarci alla realtà della vita”.

Papa Francesco risponde al giornalista Davide Romano: “Coraggio e fiducia”





Nei giorni scorsi, Papa Francesco ha inviato una toccante lettera al giornalista Davide Romano, che aveva confidato al Pontefice le sue difficoltà personali, il percorso di fede e la ricerca di un progetto di vita. La risposta del Santo Padre, intrisa di calore e spiritualità, rappresenta un significativo gesto di vicinanza paterna e sostegno.

Davide Romano aveva scritto a Papa Francesco per condividere la sua sofferta vicenda personale e le sue speranze, chiedendo un segno di conforto. La risposta del Santo Padre non si è fatta attendere. Papa Francesco ha espresso la sua gratitudine per il gesto di fiducia dimostratogli da Romano, invitandolo a osservare con fede quanto il Signore permette nella vita per rafforzare la volontà e discernere il cammino da seguire.

Papa Francesco ha assicurato a Romano il suo ricordo nella preghiera, invocando lo Spirito Santo affinché lo illumini e lo guidi a comprendere e accogliere con docilità la volontà divina. Questo gesto di preghiera e di benedizione apostolica è esteso anche alle persone care a Romano, sottolineando l’importanza del sostegno comunitario e dell’amore familiare nei momenti di difficoltà.

Nella sua lettera, il Pontefice ha lodato il percorso di discernimento intrapreso da Romano, riconoscendo il coraggio, la fiducia e la generosità necessari per affrontare le sfide della vita. L’incoraggiamento del Papa è un invito a non arrendersi, ma a continuare con determinazione e speranza, sapendo che il cammino spirituale è accompagnato dalla vicinanza e dalla preghiera della Chiesa.

La lettera di Papa Francesco a Davide Romano non è solo un gesto di vicinanza personale, ma anche un messaggio di speranza e di incoraggiamento per tutti coloro che attraversano momenti di difficoltà. La figura del Santo Padre emerge come quella di un pastore attento e premuroso, capace di ascoltare e di offrire sostegno spirituale a chiunque ne abbia bisogno.

In un mondo spesso segnato da incertezze e sofferenze, le parole di Papa Francesco risuonano come un invito a riscoprire la fede, la preghiera e la comunità come risorse fondamentali per affrontare le sfide della vita. La benedizione apostolica impartita dal Papa a Davide Romano e ai suoi cari è un simbolo di questo abbraccio spirituale che si estende a tutti coloro che cercano conforto e guida nel loro percorso di fede.

 


XVII Capitolo Generale delle Suore Collegine: Un richiamo a "Che nulla vada perduto"



Palermo, 26 luglio 2024 - Dal 17 al 27 luglio si sta svolgendo a Palermo il XVII capitolo generale ordinario delle Suore Collegine, dedicato al tema “Che nulla vada perduto…” (Gv 6,12). La madre generale, Eleonora Francesca Alongi, ha invitato la congregazione a riflettere su questo tema, che rappresenta il filo conduttore dell'assemblea capitolare e mira a ravvivare la speranza delle suore. Il tema, ispirato dal miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, sottolinea l'importanza di raccogliere e valorizzare ogni risorsa.

Madre Eleonora Francesca Alongi ha spiegato che il carisma educativo, trasmesso dal venerabile fondatore, cardinale Pietro Marcellino Corradini, riflette lo stile di vita della Santa Famiglia di Nazareth e possiede una rilevanza contemporanea tutta da scoprire. Il capitolo ha visto un’intensa fase di ascolto, con la presentazione di diverse relazioni: dalla madre generale, dall’economa generale, dalla delegata dell'Africa orientale e dalle comunità in Polonia e Messico. Le suore hanno esaminato e discusso questi documenti, esprimendo le loro reazioni e contribuendo alla riflessione collettiva.

Il 21 luglio, presso la casa generalizia di Palermo, si sono tenute le elezioni del consiglio direttivo. Madre Eleonora Francesca Alongi è stata riconfermata come madre generale, proseguendo il suo mandato iniziato sei anni fa. Il nuovo consiglio direttivo è composto da: Sr Anna Oliveri, vicaria generale; Sr Magreth Moya, seconda consigliera; Sr Rosa Maira, terza consigliera; Sr Jolande Marku, quarta consigliera; Sr Rosetta Scarpello, economa generale; e Sr Gaetana Scarlata, segretaria generale.

Il capitolo, composto da 37 membri (otto di diritto, 28 delegate e una rappresentante speciale), ha proseguito i lavori dal 22 luglio con sessioni di studio su vari temi fondamentali per il futuro della congregazione. Tra questi, la presentazione della Ratio Formationis, dello statuto della delegazione e del percorso di riorganizzazione della governance dei Collegi di Maria, con la guida di esperti.

Monsignor Vincenzo Bertolone, che da anni supporta spiritualmente e apostolicamente la congregazione, ha offerto la sua guida durante le giornate del capitolo. L'evento si concluderà il 27 luglio con un pellegrinaggio a Maria Santissima di Trapani, un momento di raccoglimento e di preghiera che rappresenta il culmine dell'assemblea.

Madre Eleonora Francesca Alongi, ispirandosi alla mistica carmelitana Edith Stein, ha dichiarato: “L’amore è qualcosa di così positivo, di così forte, di così vero che, per chi ama, soffocare il proprio sentimento sarebbe come togliersi la vita. La vita mi è diventata molto cara e sono felice di amare. La mia vita e il suo amore sono una cosa sola. Penso che nulla più del vero amore possa svegliarci alla realtà della vita”.

In questo periodo di rinnovamento, le Suore Collegine riaffermano il loro impegno a vivere e trasmettere il carisma educativo, affrontando le sfide contemporanee con la freschezza di una nuova umanità, guidate dall’eredità del cardinale Corradini.

 

Davide Romano


giovedì 4 luglio 2024

“Il silenzio e la pace tra le mura. Un mese in un monastero cattolico” di Davide Romano, giornalista

 


C’era una volta, nel cuore di un mese silenzioso, un viaggio che mi condusse tra le mura antiche di un monastero cattolico. Era un rifugio di pietra e di pace, immerso in un mare di verdeggiante solitudine, dove il tempo sembrava essersi fermato e il frastuono del mondo svaniva come un’eco lontana.

Ogni mattina, il sole sorgeva lento, tingendo di oro le vetrate colorate, proiettando ombre sacre sulle pareti di pietra grezza. L’aria era intrisa del profumo della terra umida e del canto degli uccelli, un’armonia naturale che invitava alla contemplazione e alla preghiera. Era come se la creazione stessa si unisse al coro delle lodi, elevando un inno di silenziosa adorazione.

Nel chiostro, un giardino nascosto rivelava i suoi segreti solo ai pellegrini attenti. I fiori sbocciavano con timida grazia, e le foglie degli alberi sussurravano storie di tempi antichi. Camminando su quei sentieri, sentivo il peso delle parole non dette, delle preghiere sussurrate, delle meditazioni profonde. Ogni passo era un invito a scoprire il sacro nell'ordinario, a vedere l'infinito nel piccolo.

Le giornate erano scandite dal ritmo delle campane, un dolce richiamo che segnava le ore di preghiera, di lavoro, di riposo. La regola benedettina "Ora et labora" si incarnava in ogni gesto, in ogni respiro. La preghiera del mattino, la lectio divina, il lavoro nei campi, tutto era permeato da un senso di sacralità. La vita monastica era un poema di semplicità e dedizione, un inno alla bellezza dell'essere presenti.

La sera, il crepuscolo avvolgeva il monastero in un abbraccio di tenerezza. Le stelle emergevano, una ad una, come lanterne sospese nel firmamento, e il silenzio diventava ancora più profondo. Le candele accese nelle celle illuminavano i volti dei monaci, riflettendo la luce interiore di anime consacrate. La comunità si riuniva per la preghiera notturna, una veglia che sembrava sfidare l’oscurità, riempiendola di speranza e di luce.

Ricordo le conversazioni sussurrate nei corridoi, i sorrisi gentili, gli sguardi che parlavano più delle parole. C’era una comunione di spiriti, un senso di appartenenza a qualcosa di più grande, di eterno. Ogni momento era un dono, un'opportunità di immergersi nel mistero della fede, di trovare pace nella preghiera, di scoprire Dio nella quiete.

Quel mese trascorso nel monastero cattolico fu un viaggio nell’anima, un ritorno alle radici della spiritualità. Fu un tempo di rinnovamento, di introspezione, di riscoperta della bellezza del silenzio e della preghiera. Come disse San Bernardo di Chiaravalle: “Troverai più nei boschi che nei libri; gli alberi e le rocce ti insegneranno ciò che nessun maestro potrà mai dirti.”

E così, alla fine di quel mese, lasciai il monastero con il cuore colmo di gratitudine e serenità, portando con me la saggezza del silenzio, la bellezza della preghiera e la consapevolezza che, a volte, bisogna perdersi per davvero ritrovarsi.

lunedì 1 luglio 2024

“Perché l’Islam è una religione di pace” di Davide Romano, giornalista

 

 

L'Islam, una delle grandi religioni monoteiste del mondo, è fondato sui principi di pace, compassione e giustizia. È una fede che insegna il rispetto per tutte le creature e promuove una vita di armonia e equilibrio. So che è un’affermazione che molti non condivideranno ma è ciò che emerge chiaramente da una lettura non ideologica e intellettualmente onesta del suo testo sacro, il Corano.

Il termine "Islam" stesso deriva dalla radice araba "s-l-m," che significa pace e sottomissione alla volontà di Dio. Come recita il Corano: "O voi che credete! Entrate tutti nella pace (Islam)" (Corano 2:208). Questo versetto sottolinea l'invito universale alla pace che è al cuore della fede islamica.

Il profeta Maometto (pace e benedizioni su di lui) è un esempio luminoso di come l'Islam incoraggia la pace e la tolleranza. In un famoso hadith, egli disse: "Il musulmano è colui dal cui linguaggio e dalle cui mani gli altri musulmani sono al sicuro; e il credente è colui dal quale la gente sente sicura la propria vita e i propri beni" (Sunan al-Nasa'i). Questo insegnamento riflette l'importanza che l'Islam attribuisce alla non violenza e al rispetto per la vita e la proprietà altrui.

La giustizia è un altro pilastro fondamentale dell'Islam. Il Corano ordina: "O voi che credete! Siate perseveranti nella giustizia, testimoni per Allah, anche contro voi stessi o i genitori e i parenti stretti" (Corano 4:135). Questo impegno per la giustizia è essenziale per costruire una società pacifica e armoniosa.

L'Islam insegna anche la misericordia e la compassione. Il Corano esorta: "E non mandammo te [O Muhammad], se non come una misericordia per i mondi" (Corano 21:107). Questo versetto rivela l'intenzione divina di diffondere misericordia attraverso il messaggio islamico, che deve essere un faro di speranza e bontà per tutta l'umanità.

Un altro importante aspetto dell'Islam è il rispetto per la diversità. Il Corano afferma: "O uomini, in verità vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e vi abbiamo fatti popoli e tribù affinché vi conosceste a vicenda" (Corano 49:13). Questo versetto celebra la diversità umana come una fonte di arricchimento reciproco e comprensione, piuttosto che come motivo di divisione.

Quindi, l'Islam è una religione che promuove la pace, la giustizia, la misericordia e il rispetto per la diversità. Le sue scritture e i suoi insegnamenti esortano i fedeli a vivere in armonia con gli altri e a costruire un mondo basato sull'amore e sulla compassione. La vera essenza dell'Islam risiede nella ricerca della pace e nella costruzione di ponti di comprensione tra tutte le persone e non nella propaganda folle dei tagliagole e nel cinico pragmatismo di qualche emiro del Golfo.

 

Davide Romano

Giornalista da sempre attivo nel mondo del volontariato e appassionato di studi religiosi, lavora da molti anni nell’ambito della comunicazione politica, culturale, religiosa e sindacale.

Ha scritto e scrive per numerose testate, tra le quali: Il Giornale di Sicilia, Il Mediterraneo, La Repubblica, Centonove, Antimafia2000, L’Ora, La Rinascita della Sinistra, Jesus, Avvenimenti, L’Inchiesta Sicilia, Narcomafie e Riforma. E' stato anche fondatore e direttore responsabile del bimestrale di economia, politica e cultura “Nuovo Mezzogiorno” e del mensile della “Funzione Pubblica Cgil Sicilia Forum 98”.

Ha pubblicato, tra l’altro:  "L'amore maldestro", Palermo 2001; “La linea d’orizzonte tra carne e Cielo”, Prefazione di Paolo Scrima, Palermo 2003; “La buriana e altri racconti”, Prefazione di Maurizio Rizza, Palermo 2003; “Nella città opulenta. Microstorie di vita quotidiana”, Prefazione di Diego Novelli, Palermo 2003, 2004; “L’anima in tasca”, Prefazione di Antonio Riolo, Palermo 2004; “Piccola guida ai monasteri e ai conventi di Sicilia”, Palermo 2004; “Il santo mendicante. Vita di Giuseppe Benedetto Labre”, Palermo 2005; “25 e non li dimostra. Storia della Funzione pubblica Cgil-Sicilia”, Palermo 2005; “Dicono di noi. Il Belpaese nella stampa estera”, Presentazione di Rosalinda Camarda, Prefazione di Pino Apprendi, Palermo 2005; “La pagliuzza e la trave. Indagine sul cattolicesimo contemporaneo”, Presentazione di Marcelle Padovani, Prefazione di Anna La Rosa, Con un contributo di don Vitaliano della Sala, Palermo 2007; “A mio padre con rabbia” in Aa. Vv., “Specchio poetico. Raccolte in dialogo”, Sant’Arcangelo di Romagna (Rn) 2008;“Bagnarsi di sole, nutrirsi d’arte. L’Italia vista dai russi”, Palermo 2010, 2015;(con Fabio Bonasera) “Inganno padano. La vera storia della Lega Nord”, Prefazione di Furio Colombo, Palermo 2010, 2011; “Uno spettro s'avanza. Globalizzazione, mafie, diritti e nuova cittadinanza”, Presentazione di Paolo Ferrero, Prefazione di Daniele Gallo, Palermo 2011, 2013.

Ha curato, fra gli altri, i seguenti volumi: Girolamo Li Causi, “Terra di Frontiera. Una stagione politica in Sicilia 1944–1960”, Presentazione di Italo Tripi, Prefazione di Oliviero Diliberto, Palermo 2009; Ines De Benedetti, “Poesia nascosta. Le ricette della cucina tradizionale ebraica italiana”, Palermo 2013, 2015, 2017;Tatiana Kalinina, "Non solo caviale. Le ricette della cucina tradizionale russa”; Lev Tolstoj, “Riflessioni di un vegetariano”, Palermo 2017; Lev Tolstoj, “Vita di Gesù e altri scritti”, Palermo 2017.

Ha fondato la comunità informale di cristiani La Compagnia del Vangelo per il servizio degli ultimi.

lacompagniadelvangelo.blogspot.com

“Studiare senza smettere mai secondo la Bibbia e il Talmud” di Davide Romano, giornalista


Nel corso dei secoli, la tradizione e la saggezza delle Scritture bibliche e del Talmud ebraico, uno dei testi sacri della religione israelitica, hanno illuminato il valore profondo dello studio come strumento di crescita personale, comprensione spirituale e trasformazione sociale. In questo articolo esploreremo come queste fonti sacre ci insegnano non solo l'importanza della conoscenza, ma anche il potere trasformativo dello studio nella nostra vita quotidiana.

 

La bellezza dello studio nella Bibbia

La Bibbia, in molte occasioni, celebra la ricerca della conoscenza come un cammino verso la saggezza e la comprensione più profonda della volontà di Dio e della natura umana. Nel Libro dei Proverbi, troviamo numerosi versetti che enfatizzano il valore della saggezza e dello studio:

Proverbi 2:6-7: "Poiché il Signore dà la sapienza, dalla sua bocca vengono la conoscenza e la comprensione. Egli riserva il successo per i giusti, è uno scudo per coloro che camminano rettamente." Questo passaggio sottolinea che la conoscenza proviene da Dio stesso e che cercare la sua saggezza ci guida verso un cammino di integrità e successo.

Proverbi 18:15: "Il cuore dell'intelligente cerca la conoscenza, ma la bocca degli stolti si nutre di stupidità." Questo versetto esorta coloro che sono inclini allo studio ad accrescere la loro comprensione, distinguendo chiaramente tra la saggezza e la superficialità.

Giovanni 8:32: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi." Questo insegnamento di Gesù sottolinea che cercare la verità attraverso lo studio e la conoscenza porta alla libertà spirituale e intellettuale.

 

La bellezza dello studio nel Talmud

Il Talmud, una delle opere centrali della letteratura ebraica, enfatizza anche l'importanza dello studio come mezzo per comprendere la legge divina, approfondire la spiritualità e guidare un'esistenza etica. Gli insegnamenti del Talmud invitano gli individui a unire lo studio intellettuale con l'azione pratica per migliorare la società e vivere una vita in armonia con i principi morali.

Pirkei Avot (Etica dei Padri), Capitolo 4:1: "Chi ha imparato molte tradizioni non è come uno che agisce; uno che agisce è come uno che ha imparato molte tradizioni." Questo passaggio sottolinea l'importanza di non limitarsi allo studio teorico, ma di mettere in pratica ciò che si impara, rendendo così la conoscenza viva e significativa.

Pirkei Avot, Capitolo 6:6: "Chi studia la Torah per sé stesso è come colui che trova tesori nascosti." Questa citazione enfatizza il valore spirituale e personale dello studio della Torah, suggerendo che ogni ricerca di conoscenza porta a una scoperta personale e preziosa.

 

Come abbiamo potuto vedere, seppur assai brevemente, è che sia la Bibbia che il Talmud ci insegnano che lo studio non è solo un atto di acquisizione di conoscenze, ma un cammino spirituale e morale verso la saggezza e la verità. Attraverso lo studio, celebriamo la bellezza della conoscenza divina e ci avventuriamo verso un futuro in cui la ricerca di verità continua a illuminare le nostre menti e a trasformare il mondo che ci circonda. Che possiamo tutti essere ispirati dalle antiche saggezze delle Scritture e del Talmud a perseguire la conoscenza con umiltà, integrità e un desiderio profondo di crescita personale e collettiva.

giovedì 6 giugno 2024

Morto a 98 anni Jürgen Moltmann, gigante della teologia contemporanea

 


Dalla Teologia della Speranza alla riflessione teologica sulla croce, dall’ecumenismo fino all’impegno ecologico e molto altro in una vita colma di riflessioni e incontri

«Nella vita cristiana la priorità appartiene alla fede, ma il primato alla speranza. Senza la conoscenza di Cristo che si ha per la fede, la speranza diverrebbe un’utopia sospesa in aria. Ma, senza la speranza, la fede decade divenendo tiepida e poi morta. Per mezzo della fede l’uomo trova il sentiero della vera vita, ma soltanto la speranza ve lo mantiene» (“Teologia della Speranza”, 1964).

 

È morto a Tubinga in Germania lunedì 3 giugno, e la famiglia lo ha comunicato ieri, Jürgen Moltmann,  uno dei più grandi teologi del nostro tempo. La sua “Teologia della speranza“, pubblicata nel 1964, è stata tradotta in numerose lingue e ha influenzato i cristiani di tutto il mondo. Aveva 98 anni.

L’attuale presidente del consiglio della Chiesa evangelica in Germania (Ekd), Kirsten Fehrs, ha elogiato Moltmann come un «dono unico» per la Chiesa protestante.  «La Chiesa deve a Moltmann una quantità infinita di doni ricevuti: ampiezza di cuore ecumenica, una buona dose di radicalismo scientifico, coraggio politico e speranza illimitata».

«Io stessa ho sempre ammirato il suo modo speciale di entrare in altri contesti in modo del tutto semplice e di rendere comprensibile la teologia in mondi a lui estranei», ha aggiunto Fehrs. 

 

Moltmann era nato ad Amburgo l’8 aprile 1926, figlio di una famiglia di insegnanti, ed è stato prima pastore a Brema e poi professore di storia dogmatica all’Università ecclesiale di Wuppertal prima di essere nominato a Bonn nel 1963. Dal 1967 fino al suo pensionamento nel 1994 ha insegnato a Tubinga. Era sposato con la teologa femminista Elisabeth Moltmann-Wendel, morta nel 2016.

La sua prima opera “Teologia della speranza” del 1964 è stata considerata una svolta nella teologia dell’epoca.

 

«Con il suo lavoro teologico Jürgen Moltmann ha influenzato la Chiesa e la società a livello internazionale – recita il sito della Chiesa evangelica in Germania -. Soprattutto la “Teologia della speranza” ha influenzato numerosi teologi sin dalla sua pubblicazione negli anni ’60 e ha innescato dibattiti che si sono irradiati ben oltre la Chiesa protestante. Basata sulla speranza cristiana della risurrezione, la teologia di Moltmann, potente sia nel pensiero che nel linguaggio, continua ancora oggi a fornire impulsi per un concreto impegno di emancipazione. Successivamente, tra l’altro, diede importanti contributi per una teologia ecumenica sul Creato e la sua tutela.

Per l’occasione riprendiamo una biografia scritta dal professor Fulvio Ferrario,  docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia di Roma.

Il testo è tratto dal sito www.credereoggi.it:

 

Moltmann nasce nel 1926 ad Amburgo in una famiglia protestante liberale alquanto secolarizzata, nella quale, a suo dire, Lessing (1729-1781), Goethe (1749-1832) e persino Nietzsche (1844-1900) sono più letti della Bibbia. I suoi interessi culturali adolescenziali vertono soprattutto sulla fisica.

Prima però di potersi iscrivere all’università viene arruolato nella Wehrmacht e nel luglio 1943 vive, come addetto a una batteria contraerea, il violento bombardamento di Amburgo. Il commilitone che gli è accanto cade ucciso, esperienza questa spesso menzionata negli scritti autobiografici della maturità e che determina riflessioni drammatiche.

 

Dopo un’esperienza al fronte, viene fatto prigioniero nel 1945 e trascorre tre anni nei campi di concentramento alleati, prima in Belgio e poi in Scozia. Nei tre anni di prigionia nasce e si approfondisce l’interesse per la fede cristiana, naturalmente articolato intorno alle grandi domande sulla vita e la morte, la colpa individuale e collettiva, la presenza di Dio nella storia. Legge intensamente la Bibbia, dialoga con compagni di prigionia e cristiani britannici, matura una vocazione cristiana.

 

Rientrato in Germania nel 1948, si iscrive alla facoltà di teologia di Gottinga e matura la decisione di diventare pastore evangelico, pur non avendo alle spalle l’educazione ecclesiastica e la frequentazione della chiesa allora normali tra i candidati al ministero. A Gottinga conosce Elizabeth Wendel (1926-2016), come lui studentessa in teologia e che diverrà sua moglie, nonché partner decisiva del suo itinerario teologico. Tra i docenti sono particolarmente importanti le figure di Otto Weber (1902-1966), discepolo di Karl Barth (1886-1968), e di Hans Joachin Iwand (1899-1960), esponente di rilievo della chiesa confessante negli anni del nazionalsocialismo.

 

Diventato pastore, Moltmann presta servizio nella comunità di Bremen-Wasserhorst. I cinque anni di pastorato determinano l’attenzione nei confronti di quella che egli chiama «teologia del popolo», cioè delle esigenze spirituali della cosiddetta «gente comune», allora particolarmente provata dalla guerra e dalle sue conseguenze. Moltmann sottolinea spesso che la sua successiva produzione teologica rimarrà legata all’esperienza pastorale: egli non appartiene a quel tipo di teologi che intende separare la cattedra dal pulpito, il che non è senza rapporto col dato di fatto che i suoi sono tra i testi teologici più letti in assoluto in tutto il mondo. Il lavoro pastorale non gli impedisce di conseguire il dottorato in teologia e, nel 1958, egli accetta l’incarico di docente nella facoltà ecclesiastica (non appartenente, cioè, a un’università statale) riformata di Wuppertal.

 

Qui nasce l’opera che lo renderà famoso, la Teologia della speranza: un testo audace e innovatore che, egli afferma, non avrebbe potuto essere scritto nell’ambiente accademicamente più pretenzioso delle facoltà statali. In questi anni Moltmann si confronta con la «teologia dell’Antico Testamento» di Gerhard Von Rad (1901-1971), Walther Zimmerli (1907-1983), Hans Walter Wolff (1911-1993), Hans-Joachim Kraus (1918-2000) e, naturalmente, con il pensiero di Rudolf Bultmann (1884-1976), allora dominante.

Ma è soprattutto nel discepolo e critico di Bultmann, Ernst Käsemann (1906-1998), che egli trova le idee esegetiche fondamentali per la sua opera teologica. Secondo Käsemann l’apocalittica, lungi dall’essere un’escrescenza mitologica sul terreno dell’annuncio cristiano, pone la domanda teologicamente decisiva, quella della signoria di Dio in questo mondo, sottolineando così la valenza drammaticamente politica dell’escatologia.

 

Decisivo è poi l’incontro con il pensiero di Ernst Bloch (1885-1977), mediante un’intensa lettura estiva del Principio speranza, opera che lo affascina al punto di impedirgli la contemplazione delle montagne svizzere tra le quali trascorreva la vacanza. Nel 1963 accetta una chiamata all’università di Tubinga, dove rimarrà fino al termine dell’insegnamento.

 

Il lavoro accademico, che si condensa soprattutto nelle due opere Il Dio crocifisso (1972) e La chiesa nella forza dello Spirito (1975) è nutrito da una serie di esperienze culturali e spirituali. Menzioniamo anzitutto il dialogo tra cristiani e marxisti, nel quale viene approfondita la valenza politica della fede cristiana, tema al quale Moltmann era già in precedenza molto sensibile; in questo quadro si colloca anche l’incontro con Johann-Baptist Metz (1928-), cattolico e allievo di Karl Rahner (1904-1984): insieme a lui Moltmann elabora una «teologia politica» europea.

Essa è in dialogo serrato, ma non acritico, con le teologie della liberazione latinoamericana, nera e con la teologia minju sudcoreana. Più tardi diventerà centrale anche il confronto con il femminismo, che per Moltmann comincia in famiglia. La grande simpatia del teologo nei confronti di queste esperienze di pensiero provenienti da altri contesti non gli risparmia critiche anche piuttosto aspre in quanto, gli si dice, egli, con tutto il suo progressismo, rimarrebbe un teologo accademico del mondo ricco, non inserito in quella che ci si compiace di chiamare «la concretezza della prassi di liberazione». Moltmann reagisce con compostezza, anche se a volte non senza dispiacere, semplicemente rilevando che, se nessuno può sfuggire alla propria storia, si può tuttavia fare in modo che essa si lasci interrogare criticamente.

 

Molto importante inoltre il confronto interconfessionale, condotto anche in quanto membro della commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC). In tale ambito Moltmann incontra e approfondisce, oltre a quella cattolica, la teologia ortodossa (in particolare nella persona del rumeno Dumitru Stǎniloae [1903-1993]), che influenzerà profondamente la seconda fase della sua produzione.

Importante anche il dialogo con il pensiero ebraico (Franz Rosenzweig [1886-1929], Gershom Scholem [1897-1982], Schalom Ben-Chorin [1913-1999], Pinchas Lapide [1922-1997] soprattutto), in vista dell’elaborazione di una teologia «dopo Auschwitz». Mi permetto di ribadire a questo punto un elemento già menzionato: questa molteplicità di orizzonti mutuati dalla storia (liberazione, ecumenismo, ecologia, ebraismo) può far pensare a un’affannosa e un po’ patetica rincorsa dell’attualità. Non è il caso. Certo, il rapporto di Moltmann con le sollecitazioni storiche non è consapevolmente (e polemicamente) implicito, come ad esempio quello della teologia di Barth, bensì assolutamente vistoso e ripetutamente dichiarato e tematizzato. Tuttavia l’autonomia del pensiero teologico è garantita da una competenza di altissimo livello e la sintesi di «militanza» e «scientificità» è in qualche modo lo specifico dell’autore.


Nel 1980 inizia quella che possiamo definire la seconda fase del pensiero moltmanniano. Se fino ad allora il teologo aveva svolto «l’intera teologia in un punto focale» (di volta in volta: l’escatologia, la croce, un’ecclesiologia pneumatica), ora egli propore una «teologia in movimento, dialogo, conflitto», percorrendo alcuni punti nodali della dogmatica cristiana in quelli che egli chiama «Contributi sistematici di teologia», una serie di sei volumi dedicati rispettivamente: alla dottrina trinitaria, alla creazione, alla cristologia, alla pneumatologia, all’escatologia e al metodo teologico.

Si tratta di opere al tempo stesso molto dense e assai leggibili, non destinate soltanto al pubblico degli addetti ai lavori, pur non rifuggendo dagli aspetti tecnici del lavoro teologico.

 

L’interesse politico e quello ecumenico si arricchiscono di nuovi orizzonti, come quello ecologico, e sono organizzati intorno alla centralità del pensiero trinitario. La produzione scientifica del teologo è accompagnata da un’intesa attività di conferenziere e dall’appassionata partecipazione alle vicende del proprio tempo: dalla contestazione studentesca, durante la quale egli critica la legislazione di emergenza introdotta in Germania, alle lotte di liberazione, all’evoluzione dei rapporti Est-Ovest fino al crollo del muro di Berlino, fino, come si è detto, all’imporsi del movimento delle donne e del femminismo.

 

La pastora valdese Sara Heinrich solo pochi anni fa in occasione del convegno organizzato alla Evangelische Akademie a Bad Boll in occasione del 95° compleanno di Moltmann ci ha ricordato che  «La Teologia della speranza è nata negli anni 60 come proposta cristiana per realizzare un mondo capace di resistere ai sistemi totalitari mettendo al centro la questione della giustizia e della pace, ed è diventata punto di riferimento per un’intera generazione. Ancora a 95 anni Jürgen Moltmann ci tiene a ricordare che è stato consacrato di fronte al testo della Dichiarazione teologica di Barmen. Moltmann afferma, anche durante il convegno, «La speranza è la fondamentale forza della resistenza».

 

Il contesto socio-politico in cui è nata la Teologia della speranza è senza dubbio diverso dal contesto di oggi, ma comunque il bisogno di una teologia della speranza che riesca a resistere alle fake news, alle teorie del complotto e ai dualismi semplicistici del populismo non è venuto meno.

 

È stato il presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca (Ekd) Heinrich Bedford-Strohm a indicare nella sua predicazione su Matteo 5, 38-48 uno dei campi concreti in cui la Teologia della speranza può e deve dare orientamento per il nostro agire. Ha parlato della situazione nel mare Mediterraneo dove i governi europei tollerano la morte di uomini, donne e bambini, come anche della violenza che subiscono i migranti ai confini del Europa. Si potrebbero aggiungere ancora altre crisi del nostro tempo, come il cambiamento climatico, che richiede un nostro agire deciso e coraggioso, come lo descrive Jürgen Moltmann nella sua Teologia della speranza: «Il regno di Cristo risorto che sta per avvenire non si può solo sperare ed attendere. Questa speranza e attesa caratterizza la vita, l’agire e soffrire nella storia della società umana […] Non diventare uguale a questo mondo non significa solo cambiare dentro noi stessi ma significa anche cambiare il mondo nella resistenza e nella attesa creatrice in cui crediamo, speriamo e amiamo».

 

A questo link è disponibile l’intervista che il capo redattore della trasmissione televisiva Protestantesimo Marco Davite fece a Moltmann nel 2018, quando il teologo si trovava in Italia per partecipare al convegno ecumenico “Un Creato da custodire”. Qui di seguito un piccolo estratto:

Lei è padre della teologia della speranza. Se ci guardiamo intorno, ci sono poche ragioni per essere ottimisti: c’è ancora spazio per la speranza oggi?

«Se noi guardiamo al “contesto” attuale, non c’è speranza. Ma se siamo credenti, allora dobbiamo guardare al “Testo”, quello con la T maiuscola, la Bibbia. Quel testo è pieno di promesse e di speranza. È la speranza di una nuova creazione, che non è proiettata nell’al di là ma è iniziata con la resurrezione di Cristo. Lo Spirito della vita viene versato su tutta l’umanità, e la speranza guarda al nuovo cielo, alla nuova terra e alla giustizia. Ed è con questa speranza che vogliamo impegnarci per difendere la natura dalla distruzione, dal riscaldamento globale, che non sommergerà solo il Myanmar ma anche la mia città natale, Amburgo. È questa speranza che ci spinge a fare tutto quello che è nelle nostre possibilità per permettere ai nostri figli, e ai figli dei figli, di vivere».

 

L’edizione italiana della «Teologia della speranza»

L’edizione italiana della Teologia della speranza uscì per i tipi dell’editrice cattolica Queriniana (1970) nella traduzione del pastore valdese Aldo Comba, come ha opportunamente ricordato anche Marco Ventura nel supplemento «La lettura» del Corriere della sera (24 marzo).

 

Aldo Comba, a cui si deve anche la traduzione del Lutero di R. Bainton (Einaudi, 1960) e la prima edizione italiana dell’Etica di D. Bonhoeffer (Bompiani, 1969), ricorda quel lavoro nelle pagine del suo racconto autobiografico Finestre sul mondo (a c. di M. G. Borgarello, Claudiana, 2017): «Il tedesco di Moltmann non era particolarmente difficile da tradurre (…), ma il suo pensiero è denso e profondo, quindi il problema è di renderlo in un italiano leggibile e scorrevole, che inviti il lettore a proseguire (…) L’edizione italiana della Teologia della speranza ha poi ottenuto, verso il 1970, il premio letterario “Isola d’Elba” e Moltmann, fraternamente, mi ha detto: “Se l’edizione italiana ha vinto il premio, sarà anche merito del traduttore!”, e ha condiviso con me il premio».

 

Sul testo di Moltmann, in particolare, il pastore Comba aggiunge: «A me sembra che il tema della speranza non soltanto sia esplicitato in questo lavoro, ma sottenda in un certo senso tutta l’opera di Moltmann. È un tema estremamente evangelico (…). Quando, talvolta, nelle celebrazioni funebri, si parla della “speranza certa della vita eterna”, non c’è una contraddizione tra speranza e certezza: la vita eterna è una certezza che non hai ancora toccato con mano. La speranza è dunque uno degli elementi fondamentali della spiritualità e della vita cristiana. Per Moltmann il fondamento della speranza è il Risorto. E su questo punto insiste a fondo (…). Meditare sulle pagine di Moltmann aiuta, senza dubbio, ad avere una più chiara visione di certi aspetti essenziali della fede e della vita cristiana. Molti credenti farebbero bene a riprendere questo volume e a leggerlo senza fretta, riflettendo con calma su quanto esposto». 

 

Fra gli altri libri del teologo

Oltre alla Teologia della speranza, l’editrice Queriniana ha pubblicato nel 1973 Il Dio crocifisso, uscito in Germania l’anno precedente; al filosofo Ernst Bloch (autore del Principio speranza, ultima ed. italiana Garzanti 1994), che aveva compiuto 90 anni nel 1975, Moltmann dedicò In dialogo con Ernst Bloch (1975); seguono ancora L’avvento di Dio. Escatologia cristiana (Queriniana 1998); Dio nel progetto del mondo moderno. Contributi per una rilevanza pubblica della teologia (1999); Scienza e sapienza. Scienza e teologia in dialogo (2002/2003), mentre il tema centrale nella sua teologia, ripreso con Nella fine l’inizio. Una piccola teologia della speranza (2003/2004) ritorna poi ancora con Etica della speranza (2010/2011).

 

Un’autobiografia di Jürgen Moltmann è uscita nel 2006 in originale, e tre anni dopo in italiano, sempre per Queriniana, con il titolo Vasto spazio. Storia di una vita. La casa editrice Claudiana ha pubblicato nel 1986 un saggio dal titolo Diaconia. Il servizio cristiano nella prospettiva del Regno di Dio, e Passione per Dio. Teologia a due voci (2005), scritto con la moglie Elisabeth Moltmann-Wendel e, in ultimo, Teologia politica del mondo moderno (2022). Un bello studio dedicato al teologo si deve a Daria Dibitonto: Dio nel mondo e il mondo in Dio. Jürgen Moltmann tra teologia e filosofia, per conto del Centro studi “Luigi Pareyson” di Torino (Trauben, 2007).

 

 

FOTO: BY MAETERLINCK – OWN WORKCC BY-SA 4.0, HTTPS://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG/W/INDEX.PHP?CURID=47596265

(Fonte: https://riforma.it/2024/06/05/morto-a-98-anni-jurgen-moltmann-gigante-della-teologia-contemporanea/)

Roma domenica 16 giugno, Si presenta il volume “Ritratto di Agostino in trenta pennellate” di padre Gabriele Ferlisi oad

 


 

Appuntamento domenica 16 giugno, alle 19 e 30, presso la chiesa di Santa Maria della Consolazione, in piazza Ottavilla 1, a Roma, per la presentazione del volume del padre agostiniano scalzo Gabriele Ferlisi, “Ritratto di Agostino in trenta pennellate”, mandato in questi giorni in libreria dalla casa editrice ‘Ancora. L’incontro sarà preceduto dalla celebrazione della sanata messa, alle ore 18 e 30, presieduta dallo stesso autore.

 

Trenta brevi capitoli, trenta «pennellate» per dipingere il ritratto umano e spirituale di un grande protagonista della storia del cristianesimo e del pensiero occidentale. Ne è autore un «figlio di sant’Agostino» che ha dedicato tutta la vita allo studio e alla divulgazione appassionata del lascito di Agostino per l’uomo di oggi: «Queste pennellate – scrive padre Ferlisi – saranno certamente poche a confronto di quelle che servirebbero per delineare in maniera più definita il ritratto di Agostino uomo, convertito, monaco, mistico, pastore, teologo, padre; comunque spero che queste trenta riescano a far amare di più quest’uomo che l’iconografia rappresenta con un cuore fiammeggiante trafitto dalla freccia della Parola di Dio, e che è universalmente riconosciuto come uno straordinario dono di Dio alla Chiesa e all’umanità».

«Non sono un pittore e non ho mai preso un pennello in mano, ma ora ci voglio provare, perché ardo dal desiderio di abbozzare un ritratto di sant’Agostino come lo immagino io: bello, luminoso, umano, vicino a ciascuno per sussurrargli al cuore la parola giusta che incoraggia, conforta, consiglia, ammonisce». (Gabriele Ferlisi)

Gabriele Ferlisi è sacerdote agostiniano scalzo. Ha conseguito la licenza in Filosofia e la laurea in Teologia dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Direttore della rivista «Presenza agostiniana», è autore di numerosi saggi sul pensiero e la spiritualità di sant’Agostino.

 

Davide Romano,

giornalista

 

domenica 5 maggio 2024

“Accogliere senza giudicare. La forza della compassione e dell'empatia” di Davide Romano, giornalista

Nell'ampio spettro della convivenza umana, la diversità brilla come una gemma dai molteplici colori. Ogni individuo è unico nel suo insieme di esperienze, valori e prospettive. Accogliere senza giudicare diventa, quindi, una virtù imprescindibile, un atto di gentilezza che illumina il cammino della convivenza armoniosa. Come disse la scrittrice Maya Angelou, “Possiamo essere l'unica nota di conforto in un mondo di caos e confusione. E non c'è niente di più confortante che essere accolti con gentilezza”.

La diversità è la tela su cui dipingiamo il mosaico della nostra società. Ogni individuo, con la sua storia unica, contribuisce ad arricchire il panorama culturale e sociale. Come affermò una volta il filosofo Johann Wolfgang von Goethe, “La diversità nella creazione è il risultato dell'amore infinito di Dio”. Accogliere la diversità significa riconoscere il valore intrinseco di ogni essere umano, indipendentemente da razza, religione, orientamento sessuale o background socio-economico.

Il giudizio, spesso radicato nei preconcetti e negli stereotipi, costituisce una barriera alla vera comprensione e inclusione. “Giudicare una persona non ti definisce; ti definisce come una persona”, affermò una volta la scrittrice e attivista Emma Goldman. Quando ci lasciamo influenzare dai nostri pregiudizi, ci priviamo dell'opportunità di conoscere realmente gli altri e di imparare da loro. Accogliere senza giudicare richiede un atto di volontà consapevole per superare le nostre barriere mentali e aprirci alle esperienze e alle prospettive degli altri.

Le istituzioni sociali, dalle scuole ai luoghi di lavoro, hanno un ruolo fondamentale nell'incoraggiare un ambiente di accettazione e tolleranza. “La vera diversità è poter accettare le persone per chi sono, senza giudicare o etichettare”, sottolineò la psicologa e autrice Ellen J. Langer. Promuovere la diversità e l'inclusione attraverso politiche e pratiche inclusive non solo crea un clima più positivo e produttivo, ma trasmette anche un messaggio importante: tutti sono benvenuti e valorizzati per ciò che sono.

L'empatia, la capacità di comprendere e condividere i sentimenti degli altri, è al cuore dell'accoglienza senza giudicare. “L'empatia è vedere con gli occhi degli altri, sentire con il cuore degli altri, e comprendere con la mente degli altri”, disse una volta Alfred Adler, psicologo e psichiatra austriaco. Mettersi nei panni degli altri ci permette di apprezzare le loro esperienze e sfide, e ci aiuta a sviluppare una connessione più profonda e autentica con loro. Praticare l'empatia ci rende più aperti e compassionevoli, e ci avvicina a una visione più inclusiva del mondo.

Accogliere senza giudicare non è solo un atto di gentilezza, ma una necessità morale e sociale. In un mondo spesso diviso da conflitti e divisioni, l'accettazione e il rispetto reciproco sono le fondamenta su cui costruire una società più giusta e solidale. Ogni giorno, possiamo fare la nostra parte per promuovere un ambiente di inclusione e tolleranza, in cui ogni individuo si senta accolto e rispettato per chi è. Come disse una volta il leader spirituale Dalai Lama, “La compassione è la nostra vera natura umana”.



“Italia un Paese di scrittori (che non leggono)” di Davide Romano

L'Italia, si dice spesso, è il Paese dei santi, poeti e navigatori. Ma oggi, forse, sarebbe più corretto aggiornarlo così: il Paese de...