“Valdesi, l'ombra di un passato glorioso” di Davide Romano


 

C'era una volta un popolo che sapeva dire di no. Un popolo che per ottocento anni ha tenuto testa a papi e re, che ha resistito alle crociate e alle conversioni forzate, che ha preferito l'esilio alla sottomissione. Erano i valdesi, gli eretici delle valli alpine che dal XII secolo hanno incarnato la più antica forma di resistenza religiosa d'Europa. Ma di quella tempra, di quella fierezza che fece tremare le cancellerie vaticane e i palazzi sabaudi, cosa resta oggi?

Poco, molto poco. Anzi, quasi nulla. Dove un tempo risuonavano gli inni della fede riformata nelle baite di montagna, dove si nascondevano i barbetti sfuggiti alle persecuzioni, dove si tramandavano di generazione in generazione i versetti biblici tradotti in volgare, oggi siedono circa 30 mila valdesi in territorio italiano, concentrati principalmente nelle valli del Piemonte. Trentamila anime disperse in un oceano di secolarizzazione, numero che fa impallidire persino le comunità ebraiche italiane.

Il paradosso è stridente: proprio nel momento in cui i valdesi hanno raggiunto la piena legittimità sociale e istituzionale, quando nessuno più li perseguita e quando perfino il Papa ha chiesto loro perdono nel 2015, essi si dissolvono come neve al sole. Non li elimina l'Inquisizione, non li piega la repressione sabauda, non li distrugge il fascismo: li consuma la normalizzazione, li erode l'indifferenza, li spegne quella modernità che pure avevano contribuito a preparare con la loro battaglia per la libertà di coscienza.

Il declino demografico che affligge l'Italia intera ha colpito i valdesi con particolare durezza. Non è solo questione di numeri: è la scomparsa di un'identità. Nelle valli un tempo roccaforti del protestantesimo italiano, i giovani emigrano verso le pianure e le città, attratti dalle opportunità che la montagna non può più offrire. I matrimoni misti con cattolici si moltiplicano, e spesso sono i figli a scegliere la religione maggioritaria. Le chiese si svuotano, i pastori invecchiano, le tradizioni si perdono.

Eppure, paradossalmente, mai come oggi la Chiesa valdese è stata così presente nel dibattito pubblico. 3620 sono state le richieste totali pervenute nel 2024 per accedere ai fondi dell'otto per mille valdese, cifra che dimostra quanto il loro impegno sociale sia riconosciuto. La loro opzione preferenziale per i poveri, per i migranti, per i diritti civili li ha resi interlocutori privilegiati di una società che cerca risposte ai propri dilemmi etici. Ma è un successo che sa di congedo, come quello di un attore che riceve l'Oscar alla carriera quando ormai non gira più film.

La modernizzazione teologica che ha investito la Chiesa valdese negli ultimi decenni - dall'ordinazione femminile alla benedizione delle coppie omosessuali - ha certamente avvicinato questa confessione alla sensibilità contemporanea. Il sinodo valdese, a larga maggioranza, ha deliberato in favore della benedizione delle coppie omosessuali, una scelta coraggiosa che ha fatto di loro i pionieri dei diritti LGBT in ambito religioso italiano. Ma questa apertura, per quanto encomiabile, non ha fermato l'emorragia di fedeli. Anzi, talvolta l'ha accelerata, alienando i valdesi più conservatori senza riuscire a conquistare nuovi adepti.

È la sindrome del protestantesimo europeo: più si adegua allo spirito del tempo, più si svuota. Più abbandona le sue caratteristiche distintive per mimetizzarsi con la cultura dominante, più perde la propria ragion d'essere. I valdesi di oggi sono diventati, in fondo, dei cattolici progressisti senza papa, dei cristiani sociali senza popolo, dei riformatori senza riforma da compiere.

La loro storia è un romanzo d'avventura durato secoli. Pietro Valdo, il mercante di Lione che nel 1174 distribuì i suoi beni ai poveri e iniziò a predicare la parola di Dio in volgare, non immaginava certo che i suoi seguaci avrebbero resistito a otto secoli di persecuzioni. Non immaginava le Pasque piemontesi del 1655, quando le truppe sabaude massacrarono migliaia di valdesi nelle valli alpine. Non immaginava il Glorioso Rimpatrio del 1689, quando trecento esuli guidati dal pastore Enrico Arnaud riconquistarono con le armi le loro terre. Non immaginava che i suoi "poveri di Lione" sarebbero diventati i testimoni più coerenti della libertà religiosa in Europa.

Oggi quell'epopea è finita. Non con un bang, ma con un whimper. I valdesi del XXI secolo sono rispettabili borghesi che gestiscono ospedali e case di riposo, che pubblicano libri e organizzano convegni, che distribuiscono aiuti umanitari e promuovono il dialogo interreligioso. Fanno tutto questo molto bene, con competenza e dedizione. Ma non sono più quelli che facevano tremare i potenti, che sfidavano l'autorità costituita, che pagavano con la vita la loro fedeltà al Vangelo.

Il loro Otto per Mille, gestito con trasparenza esemplare, finanzia centinaia di progetti sociali in Italia e nel mondo. La loro università, la Facoltà valdese di Teologia, forma pastori e studiosi di livello internazionale. La loro casa editrice, Claudiana, pubblica opere di alta qualità culturale. La loro stampa, con "Riforma" e le altre testate del circuito NEV, informa e forma l'opinione pubblica protestante. Tutto questo è meritorio, tutto questo è necessario. Ma non basta a nascondere l'evidenza: i valdesi si stanno estinguendo.

Ad oggi, un terzo dei 45.000 valdesi del mondo risiedono in Piemonte, mentre il resto è sparso tra Argentina, Uruguay, Stati Uniti e Germania. Sono i discendenti di quelle ondate migratorie che tra Otto e Novecento portarono i valdesi delle valli a cercare fortuna oltre oceano. Lì, in contesti culturali diversi, le comunità valdesi hanno spesso mantenuto una vitalità maggiore rispetto alla madrepatria. Ma anche lì i numeri sono in calo, anche lì le nuove generazioni abbandonano la fede dei padri.

La verità è che i valdesi hanno vinto la loro battaglia storica e ora non sanno più perché combattere. Hanno ottenuto la libertà religiosa, l'uguaglianza giuridica, il riconoscimento sociale. Hanno visto la Chiesa cattolica accettare molti dei principi per cui i loro antenati sono morti: la traduzione della Bibbia in volgare, la partecipazione dei laici alla vita ecclesiale, l'importanza della coscienza individuale. Hanno assistito alla secolarizzazione della società, che ha reso irrilevanti molte delle loro rivendicazioni storiche.

In questo senso, i valdesi sono vittime del loro stesso successo. Come i partigiani che dopo la Liberazione non sapevano più cosa fare delle loro armi, come i sindacalisti che dopo la conquista dei diritti dei lavoratori hanno perso la loro funzione storica, i valdesi del XXI secolo sono dei rivoluzionari senza rivoluzione, dei dissidenti senza regime da combattere, dei resistenti senza occupazione da cui liberarsi.

Resta la nostalgia di un'epopea irripetibile, resta la memoria di una grandezza che non può essere tramandata perché figlia di circostanze storiche che non si ripeteranno mai più. Resta il rispetto per chi, in ottocento anni di storia, ha saputo dire di no quando era più facile dire di sì. Resta il rammarico per la fine di una delle più nobili avventure spirituali d'Europa.

I valdesi sono oggi l'ombra del loro passato glorioso. Ma che ombra magnifica.

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