C'era una volta un popolo che sapeva dire di no. Un popolo che per
ottocento anni ha tenuto testa a papi e re, che ha resistito alle crociate e
alle conversioni forzate, che ha preferito l'esilio alla sottomissione. Erano i
valdesi, gli eretici delle valli alpine che dal XII secolo hanno incarnato la
più antica forma di resistenza religiosa d'Europa. Ma di quella tempra, di
quella fierezza che fece tremare le cancellerie vaticane e i palazzi sabaudi,
cosa resta oggi?
Poco, molto poco. Anzi, quasi nulla. Dove un tempo risuonavano gli inni
della fede riformata nelle baite di montagna, dove si nascondevano i barbetti
sfuggiti alle persecuzioni, dove si tramandavano di generazione in generazione
i versetti biblici tradotti in volgare, oggi siedono circa 30 mila valdesi in
territorio italiano, concentrati principalmente nelle valli del Piemonte.
Trentamila anime disperse in un oceano di secolarizzazione, numero che fa
impallidire persino le comunità ebraiche italiane.
Il paradosso è stridente: proprio nel momento in cui i valdesi hanno
raggiunto la piena legittimità sociale e istituzionale, quando nessuno più li
perseguita e quando perfino il Papa ha chiesto loro perdono nel 2015, essi si
dissolvono come neve al sole. Non li elimina l'Inquisizione, non li piega la
repressione sabauda, non li distrugge il fascismo: li consuma la
normalizzazione, li erode l'indifferenza, li spegne quella modernità che pure
avevano contribuito a preparare con la loro battaglia per la libertà di
coscienza.
Il declino demografico che affligge l'Italia intera ha colpito i valdesi
con particolare durezza. Non è solo questione di numeri: è la scomparsa di
un'identità. Nelle valli un tempo roccaforti del protestantesimo italiano, i giovani
emigrano verso le pianure e le città, attratti dalle opportunità che la
montagna non può più offrire. I matrimoni misti con cattolici si moltiplicano,
e spesso sono i figli a scegliere la religione maggioritaria. Le chiese si
svuotano, i pastori invecchiano, le tradizioni si perdono.
Eppure, paradossalmente, mai come oggi la Chiesa valdese è stata così
presente nel dibattito pubblico. 3620 sono state le richieste totali pervenute
nel 2024 per accedere ai fondi dell'otto per mille valdese, cifra che dimostra
quanto il loro impegno sociale sia riconosciuto. La loro opzione preferenziale
per i poveri, per i migranti, per i diritti civili li ha resi interlocutori
privilegiati di una società che cerca risposte ai propri dilemmi etici. Ma è un
successo che sa di congedo, come quello di un attore che riceve l'Oscar alla
carriera quando ormai non gira più film.
La modernizzazione teologica che ha investito la Chiesa valdese negli
ultimi decenni - dall'ordinazione femminile alla benedizione delle coppie
omosessuali - ha certamente avvicinato questa confessione alla sensibilità
contemporanea. Il sinodo valdese, a larga maggioranza, ha deliberato in favore
della benedizione delle coppie omosessuali, una scelta coraggiosa che ha fatto
di loro i pionieri dei diritti LGBT in ambito religioso italiano. Ma questa
apertura, per quanto encomiabile, non ha fermato l'emorragia di fedeli. Anzi,
talvolta l'ha accelerata, alienando i valdesi più conservatori senza riuscire a
conquistare nuovi adepti.
È la sindrome del protestantesimo europeo: più si adegua allo spirito del
tempo, più si svuota. Più abbandona le sue caratteristiche distintive per
mimetizzarsi con la cultura dominante, più perde la propria ragion d'essere. I
valdesi di oggi sono diventati, in fondo, dei cattolici progressisti senza
papa, dei cristiani sociali senza popolo, dei riformatori senza riforma da
compiere.
La loro storia è un romanzo d'avventura durato secoli. Pietro Valdo, il
mercante di Lione che nel 1174 distribuì i suoi beni ai poveri e iniziò a predicare
la parola di Dio in volgare, non immaginava certo che i suoi seguaci avrebbero
resistito a otto secoli di persecuzioni. Non immaginava le Pasque piemontesi
del 1655, quando le truppe sabaude massacrarono migliaia di valdesi nelle valli
alpine. Non immaginava il Glorioso Rimpatrio del 1689, quando trecento esuli
guidati dal pastore Enrico Arnaud riconquistarono con le armi le loro terre.
Non immaginava che i suoi "poveri di Lione" sarebbero diventati i
testimoni più coerenti della libertà religiosa in Europa.
Oggi quell'epopea è finita. Non con un bang, ma con un whimper. I valdesi
del XXI secolo sono rispettabili borghesi che gestiscono ospedali e case di
riposo, che pubblicano libri e organizzano convegni, che distribuiscono aiuti
umanitari e promuovono il dialogo interreligioso. Fanno tutto questo molto
bene, con competenza e dedizione. Ma non sono più quelli che facevano tremare i
potenti, che sfidavano l'autorità costituita, che pagavano con la vita la loro
fedeltà al Vangelo.
Il loro Otto per Mille, gestito con trasparenza esemplare, finanzia
centinaia di progetti sociali in Italia e nel mondo. La loro università, la
Facoltà valdese di Teologia, forma pastori e studiosi di livello
internazionale. La loro casa editrice, Claudiana, pubblica opere di alta
qualità culturale. La loro stampa, con "Riforma" e le altre testate
del circuito NEV, informa e forma l'opinione pubblica protestante. Tutto questo
è meritorio, tutto questo è necessario. Ma non basta a nascondere l'evidenza: i
valdesi si stanno estinguendo.
Ad oggi, un terzo dei 45.000 valdesi del mondo risiedono in Piemonte,
mentre il resto è sparso tra Argentina, Uruguay, Stati Uniti e Germania. Sono i
discendenti di quelle ondate migratorie che tra Otto e Novecento portarono i
valdesi delle valli a cercare fortuna oltre oceano. Lì, in contesti culturali
diversi, le comunità valdesi hanno spesso mantenuto una vitalità maggiore
rispetto alla madrepatria. Ma anche lì i numeri sono in calo, anche lì le nuove
generazioni abbandonano la fede dei padri.
La verità è che i valdesi hanno vinto la loro battaglia storica e ora non
sanno più perché combattere. Hanno ottenuto la libertà religiosa, l'uguaglianza
giuridica, il riconoscimento sociale. Hanno visto la Chiesa cattolica accettare
molti dei principi per cui i loro antenati sono morti: la traduzione della
Bibbia in volgare, la partecipazione dei laici alla vita ecclesiale,
l'importanza della coscienza individuale. Hanno assistito alla secolarizzazione
della società, che ha reso irrilevanti molte delle loro rivendicazioni
storiche.
In questo senso, i valdesi sono vittime del loro stesso successo. Come i
partigiani che dopo la Liberazione non sapevano più cosa fare delle loro armi,
come i sindacalisti che dopo la conquista dei diritti dei lavoratori hanno
perso la loro funzione storica, i valdesi del XXI secolo sono dei rivoluzionari
senza rivoluzione, dei dissidenti senza regime da combattere, dei resistenti
senza occupazione da cui liberarsi.
Resta la nostalgia di un'epopea irripetibile, resta la memoria di una
grandezza che non può essere tramandata perché figlia di circostanze storiche
che non si ripeteranno mai più. Resta il rispetto per chi, in ottocento anni di
storia, ha saputo dire di no quando era più facile dire di sì. Resta il
rammarico per la fine di una delle più nobili avventure spirituali d'Europa.
I valdesi sono oggi l'ombra del loro passato glorioso. Ma che ombra
magnifica.
Complimenti 🌻
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