domenica 5 maggio 2024

“Accogliere senza giudicare. La forza della compassione e dell'empatia” di Davide Romano, giornalista

Nell'ampio spettro della convivenza umana, la diversità brilla come una gemma dai molteplici colori. Ogni individuo è unico nel suo insieme di esperienze, valori e prospettive. Accogliere senza giudicare diventa, quindi, una virtù imprescindibile, un atto di gentilezza che illumina il cammino della convivenza armoniosa. Come disse la scrittrice Maya Angelou, “Possiamo essere l'unica nota di conforto in un mondo di caos e confusione. E non c'è niente di più confortante che essere accolti con gentilezza”.

La diversità è la tela su cui dipingiamo il mosaico della nostra società. Ogni individuo, con la sua storia unica, contribuisce ad arricchire il panorama culturale e sociale. Come affermò una volta il filosofo Johann Wolfgang von Goethe, “La diversità nella creazione è il risultato dell'amore infinito di Dio”. Accogliere la diversità significa riconoscere il valore intrinseco di ogni essere umano, indipendentemente da razza, religione, orientamento sessuale o background socio-economico.

Il giudizio, spesso radicato nei preconcetti e negli stereotipi, costituisce una barriera alla vera comprensione e inclusione. “Giudicare una persona non ti definisce; ti definisce come una persona”, affermò una volta la scrittrice e attivista Emma Goldman. Quando ci lasciamo influenzare dai nostri pregiudizi, ci priviamo dell'opportunità di conoscere realmente gli altri e di imparare da loro. Accogliere senza giudicare richiede un atto di volontà consapevole per superare le nostre barriere mentali e aprirci alle esperienze e alle prospettive degli altri.

Le istituzioni sociali, dalle scuole ai luoghi di lavoro, hanno un ruolo fondamentale nell'incoraggiare un ambiente di accettazione e tolleranza. “La vera diversità è poter accettare le persone per chi sono, senza giudicare o etichettare”, sottolineò la psicologa e autrice Ellen J. Langer. Promuovere la diversità e l'inclusione attraverso politiche e pratiche inclusive non solo crea un clima più positivo e produttivo, ma trasmette anche un messaggio importante: tutti sono benvenuti e valorizzati per ciò che sono.

L'empatia, la capacità di comprendere e condividere i sentimenti degli altri, è al cuore dell'accoglienza senza giudicare. “L'empatia è vedere con gli occhi degli altri, sentire con il cuore degli altri, e comprendere con la mente degli altri”, disse una volta Alfred Adler, psicologo e psichiatra austriaco. Mettersi nei panni degli altri ci permette di apprezzare le loro esperienze e sfide, e ci aiuta a sviluppare una connessione più profonda e autentica con loro. Praticare l'empatia ci rende più aperti e compassionevoli, e ci avvicina a una visione più inclusiva del mondo.

Accogliere senza giudicare non è solo un atto di gentilezza, ma una necessità morale e sociale. In un mondo spesso diviso da conflitti e divisioni, l'accettazione e il rispetto reciproco sono le fondamenta su cui costruire una società più giusta e solidale. Ogni giorno, possiamo fare la nostra parte per promuovere un ambiente di inclusione e tolleranza, in cui ogni individuo si senta accolto e rispettato per chi è. Come disse una volta il leader spirituale Dalai Lama, “La compassione è la nostra vera natura umana”.



giovedì 2 maggio 2024

Palermo, La Compagnia del Vangelo cerca volontari e cibo per il Boccone del Povero



“Cerchiamo uomini e donne di buona volontà che diano una mano per cucinare e servire i pasti ma anche cibo per la mensa gestita dalle suore Serve dei Poveri del Boccone del Povero di piazza San Marco 8, a Palermo”. È l’appello lanciato dal giornalista Davide Romano, fondatore della Compagnia del Vangelo, un gruppo informale ecumenico di cristiani unito dal solo desiderio di servire il Signore nei suoi poveri.

“In una città che sprofonda ogni giorno di più nella miseria – commenta Romano – sono sempre più numerose le persone che fanno fatica a consumare pasti giornalieri decenti. Se le istituzioni continuano a rimanere indifferenti, non possiamo farlo noi se vogliamo continuare a definirci ancora cristiani”.

“Per questo motivo – continua - invito gli uomini e le donne di buona volontà a venire al convento di San Marco, sito nell’omonima piazzetta, a Palermo, per aiutare le suore Serve dei Poveri che, seguendo l’esempio del loro fondatore, padre Giacomo Cusmano, da anni portano avanti ogni pomeriggio una mensa aperta a tutti poveri della città”.

Per contatti e info: e-mail: bocconedelpoveropa@gmail.com; cell. +39 329 491 9286 (sr. Rosalia)

 


Perduto e ritrovato dall’amore di Dio



Sono nato in una famiglia cattolica come tante. Da bambino ho frequentato l’oratorio dei Salesiani e poi gli scout, il grande amore della mia vita. Dopo il liceo e la lettura di tanti testi religiosi, ho anche studiato teologia. Avevo fame di mondo e di vita. Sono anche diventato giornalista e ho viaggiato molto.

Cercavo di essere un buon cristiano e pensavo di cercare sinceramente il Signore. Ma, in verità, lo cercavo con paura e con rabbia. Forse dentro di me Dio era come mio padre, un uomo di formazione militare. A Dio, come a mio padre, bisognava solo ubbidire e l’obbedienza non era mai perfetta. Ubbidivo a Dio ma non lo amavo. Dentro di me anzi lo detestavo e lo maledicevo.

Mio padre era un uomo violento. E per me Dio era come lui. Per quanto mi sforzassi, non avrei mai meritato il suo amore. Mi sono sentito spesso come un cane randagio, costretto a mendicare carezze e cibo. Fuggivo da Dio così come avevo passato l’infanzia e l’adolescenza a fuggire dall’umore imprevedibile di mio padre. Pensavo di conoscere Dio, in fondo avevo studiato teologia! Ma lo conoscevo “per sentito dire”, come Giobbe (42,5). In verità, ero morto dentro. Formalmente un buon cristiano, vivevo una vita disordinata. Priva di amore, in continua e sorda ribellione.

Ma il Signore mi ha messo nel cuore una grande nostalgia e mi ha dato la forza di volgere i miei passi verso di Lui. Nell’estate del 2018 durante un corso di esercizi spirituali ho meditato la parabola del figliol prodigo. Ho urlato a Dio tutta la mia rabbia. Ma all’improvviso mi sono accorto della bellezza che mi circondava: il cielo terso, la luce dorata del sole, il mare e le colline. E ho sentito forte, avvolgente il suo amore che mi sanava il cuore. Scoppiavo di gioia!  Il Signore mi aveva riportato in vita. Mi aveva fatto sentire di essere figlio sempre amato, che Lui c’era sempre stato e che dovevo solo aprirgli la porta perché Lui entrasse nella mia vita e prendesse tutto il mio dolore e la mia rabbia.

Più di trent’anni fa, mio padre era spirato fra le mie braccia chiedendomi di perdonarlo per il male che mi aveva fatto. Lo avevo assistito, fin sulla soglia della morte, combattuto da sentimenti contrastanti. Non ero stato capace di perdonarlo. Solo oggi, a distanza di tanto tempo, posso di dire di averlo veramente perdonato.

Dal giorno della mia conversione, ho desiderato solo vivere e parlare di questo amore. Spero che la mia storia sia una piccola luce per chi ancora vive nelle tenebre della disperazione.

 

Davide Romano, giornalista

(Credere, n. 17, 28 aprile 2024)

giovedì 11 aprile 2024

“L’arte di ricominciare” di Davide Romano, giornalista

 


Scrive il noto biblista don Fabio Rosini: “La vita è una serie infinita di inizi. Talvolta ripartire può diventare difficile. Addirittura si può arrivare a pensare, dopo un fallimento o una dura prova, che ricominciare sia impossibile”. Ma è esattamente il contrario.

L'arte di ricominciare è un concetto che si riferisce alla capacità umana di affrontare e superare le sfide, le difficoltà e i fallimenti nella vita. Si tratta di un processo di rinascita, di rinnovamento e di crescita personale che coinvolge il superamento degli ostacoli e la trasformazione delle esperienze negative in opportunità di apprendimento e di miglioramento.

Ricominciare implica un atto di coraggio e di resilienza. Significa guardare avanti nonostante le delusioni del passato e avere fiducia nelle proprie capacità di affrontare nuove sfide. In questo senso, ricominciare è un'arte perché richiede creatività, determinazione e pazienza.

Uno degli aspetti cruciali dell'arte di ricominciare è la capacità di imparare dagli errori e dalle difficoltà incontrate lungo il percorso. Le esperienze negative possono fornire importanti lezioni di vita e diventare un trampolino di lancio per un nuovo inizio. Invece di lasciarsi abbattere dalle sconfitte, coloro che padroneggiano quest'arte sono in grado di trasformare le avversità in opportunità di crescita e di sviluppo personale.

Inoltre, ricominciare può coinvolgere anche un cambiamento di prospettiva e di atteggiamento nei confronti della vita. Può significare abbracciare la flessibilità, adattarsi ai cambiamenti e aprirsi a nuove possibilità. Spesso, le persone che riescono a ricominciare con successo sono quelle che mantengono una mente aperta e una visione ottimistica del futuro, nonostante le avversità incontrate.

Infine, l'arte di ricominciare può essere un processo continuo e in evoluzione. La vita è piena di alti e bassi, e ogni nuovo inizio può portare con sé nuove sfide e opportunità. Tuttavia, ciò che conta è la capacità di adattarsi, di crescere e di trasformarsi nel corso del tempo, continuando a guardare avanti con speranza e determinazione.

In sintesi, l'arte di ricominciare è un'abilità preziosa che può aiutarci a superare le difficoltà e a vivere una vita piena e significativa. Richiede resilienza, impegno e una mente aperta, ma può portare a una rinascita personale e a un nuovo inizio pieno di speranza e possibilità.

mercoledì 10 aprile 2024

Le lezioni ignorate del genocidio in Ruanda

 


di Francesca Sibani, giornalista di Internazionale

 

Dal 7 aprile i ruandesi ricorderanno il genocidio di trent’anni fa con una settimana di eventi commemorativi, a partire dalla visita del presidente Paul Kagame al memoriale del genocidio di Kigali, costruito sulle fosse comuni in cui furono seppellite 250mila vittime dei massacri. Seguirà una settimana di lutto nazionale, con le bandiere a mezz’asta, processioni, trasmissioni tv dedicate essenzialmente a film sul genocidio, racconta il sito Okayafrica.

Si stima che nel genocidio dei tutsi e degli hutu moderati, durato circa cento giorni, siano state uccise tra le 800mila e il milione di persone. Ancora oggi si continuano a trovare fosse comuni che erano state ben nascoste, come quella rinvenuta lo scorso ottobre nel distretto di Huye, con dentro 119 corpi.

Mai come quest’anno il passato sembra tutt’altro che sepolto, non solo per i ruandesi, ma anche per il resto del mondo. La parola “genocidio” (cos’è, come si annuncia, come prevenirlo) è tornata al centro del dibattito pubblico. Da Gaza al Sudan, infatti, il numero delle uccisioni di massa registrate è il più alto degli ultimi vent’anni, scrive l’Economist.

Molti tornano a guardare indietro, ad analizzare ancora una volta gli errori commessi per capire perché non si siano imparate le lezioni del passato. In un articolo intitolato “Perché l’occidente si rifiutò di fermare il genocidio ruandese”, Roméo Dallaire, che nel 1994 era il comandante della missione dei caschi blu Unamir in Ruanda, torna sulle accuse che dalla prima ora aveva rivolto alle Nazioni Unite e alle potenze mondiali. Sul magazine canadese The Walrus scrive che “per la maggior parte degli osservatori esterni, l’Africa era teatro di crisi sociali ed economiche generalizzate, accentuate da carestie, guerre civili e atrocità di massa. I paesi occidentali consideravano l’Africa un continente da compatire, non una fonte di potenziale; di certo non era una priorità”. Difficile sostenere che oggi l’Africa sia vista in modo molto diverso.

Dallaire bacchetta anche l’incapacità dell’Onu di intervenire. Solo dopo sei settimane e cinquecentomila morti, il consiglio di sicurezza approvò l’invio di cinquemila caschi blu di rinforzo per fermare quello che si era deciso a considerare un genocidio. Ma le prime truppe misero piede in Ruanda solo ad agosto, dopo la fine dei massacri.

Inoltre, anche allora la comunità internazionale dimostrò di applicare due pesi e due misure a seconda del colore della pelle delle vittime, sostiene Dallaire, secondo il quale ci si mobilitò con più decisione per l’ex Jugoslavia che per il Ruanda, dove “furono stuprate, uccise e sfollate più persone in tre mesi che in quattro anni di guerra in Bosnia”.

“Un genocidio dovrebbe essere importante. Dovremmo preoccuparci. Ma nessuna nazione volle investire le risorse per fermare il bagno di sangue. A quanto pare, alcuni esseri umani non sono degni delle protezioni offerte dalle convenzioni sui diritti umani elaborate dai paesi ricchi, che invece dovrebbero essere applicate universalmente”, conclude Dallaire.

La parola “genocidio” appare molte volte anche nelle lettere, negli appelli e negli articoli scritti in quegli anni dalla ricercatrice e attivista statunitense Alison De Forges, che era la referente dell’ong Human rights watch in Africa. De Forges era in contatto costante con persone sul campo in Ruanda e cercò di far capire al resto del mondo che si stava preparando un disastro.

Di recente l’organizzazione in difesa dei diritti umani ha pubblicato un archivio di materiali sul genocidio in Ruanda, molti dei quali raccolti e prodotti dalla ricercatrice. Hrw insiste sul tema della responsabilità e della giustizia: “Il trentesimo anniversario del genocidio ruandese è il momento opportuno per fare il punto sui progressi compiuti, a livello sia nazionale sia internazionale, nel chiamare a rispondere le persone sospettate di aver pianificato, ordinato ed eseguito le atrocità. È urgente accelerare questi sforzi visto che alcune delle menti dietro il genocidio non ci sono più e uno – Félicien Kabuga, finanziatore della famigerata radio Mille Collines – è stato dichiarato non idoneo a sostenere un processo”.

C’è infine un altro motivo per cui non possiamo considerare storia passata il genocidio del Ruanda: quell’evento ha innescato un conflitto enorme che continua ancora oggi nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Secondo il ricercatore Christoph Vogel, questa crisi “sta entrando nel quarto e forse più pericoloso decennio, con il forte rischio di un’escalation regionale.

Il conflitto, che attualmente coinvolge un centinaio di gruppi armati diversi, ha causato milioni di morti e sfollati nel corso degli anni. Dal 2021 è entrato in una nuova fase, segnata dal ritorno dei ribelli del Movimento 23 marzo (M23, che secondo il governo congolese e alcuni rapporti dell’Onu sono sostenuti da Kigali). Compagnie di sicurezza private e stati confinanti si sono uniti alla mischia e la vasta gamma di combattenti si è divisa su due fronti ben definiti: uno allineato con Kinshasa, l’altro con l’M23. La situazione deteriora di giorno in giorno e le prospettive di pace sono più lontane che mai”.

Questo testo è tratto della newsletter Africana.

martedì 9 aprile 2024

In libreria: Ernesto Buonaiuti, “Apologia del cattolicesimo”, a cura di Davide Romano, prefazione di Francesco Armetta, Edizioni La Zisa

 


L’Apologia del cattolicesimo venne pubblicata per la prima volta a Roma nel 1923 all’interno della collana Apologie, creata e diretta da Angelo Fortunato Formiggini. L’Apologia e il saggio di apologetica religiosa intitolato Verso la luce, guadagnarono al Buonaiuti la scomunica papale e la messa all’indice di tutte le sue opere. Le argomentazioni, così come affrontate dal Buonaiuti nell’Apologia, non si basavano più sui precetti della filosofia scolastica ma erano impregnate di un misticismo che diede vita ad una sorta di antitetico individualismo dell’anima. È lo stesso Buonaiuti a chiarire sin dall’inizio la sua tesi apologetica: «il movimento religioso, scaturito dalla predicazione del Vangelo, rappresenta la perfezione soprannaturale nello sviluppo della religiosità umana, e che del cristianesimo, sigillato e consacrato dalla luce incontaminata di un divino afflato rivelatore, il cattolicismo costituisce in una completa identità sostanziale la logica realizzazione nella storia».

 

Ernesto Buonaiuti (1881-1946), illustre esponente della corrente modernista italiana, presbitero e accademico, nei suoi studi indagò ogni aspetto e ogni figura appartenente alla storia cristiana. Oltre all’Apologia possiamo ricordare, tra i suoi scritti più significativi, Lutero e la Riforma religiosa in GermaniaGioacchino da FioreStoria del cristianesimo e l’autobiografia dal titolo Pellegrino di Roma.

lunedì 8 aprile 2024

“Vivere filosoficamente” di Davide Romano, giornalista




Vivere filosoficamente significa adottare un approccio esistenziale alla vita basato sulla riflessione critica, la ricerca di significato e la pratica di virtù etiche. Piuttosto che limitarsi a esistere passivamente, vivere filosoficamente implica un impegno attivo nel comprendere se stessi, il mondo circostante e il significato dell'esistenza umana.

Chi vive filosoficamente tende a porre domande profonde su temi quali la natura della realtà, la conoscenza, l'etica, il senso della vita e il bene comune. Questa ricerca di conoscenza e saggezza non è solo un'esercitazione intellettuale, ma un percorso che guida le azioni quotidiane e le scelte morali.

Vivere filosoficamente richiede un costante esame di sé e del mondo, un'apertura alla diversità di pensiero e un impegno verso la coerenza tra le proprie convinzioni e il proprio comportamento. Implica anche un'attenzione particolare all'etica e alla giustizia sociale, poiché la filosofia non riguarda solo la ricerca della verità, ma anche il perseguimento del bene e della virtù.

Questo modo di vivere può manifestarsi in diverse forme, a seconda delle tradizioni filosofiche e delle convinzioni personali. Alcuni potrebbero trovare ispirazione nel pensiero di filosofi come Socrate, Epitteto o Kant, mentre altri potrebbero seguire tradizioni spirituali o etiche che incoraggiano una vita contemplativa e riflessiva.

In definitiva, vivere filosoficamente significa adottare un approccio consapevole e critico alla vita, cercando di vivere in armonia con i propri valori, di perseguire la saggezza e di contribuire al bene comune. È un impegno continuo verso la crescita personale e il miglioramento del mondo che ci circonda, attraverso la riflessione, l'azione e la compassione.


“Accogliere senza giudicare. La forza della compassione e dell'empatia” di Davide Romano, giornalista

Nell'ampio spettro della convivenza umana, la diversità brilla come una gemma dai molteplici colori. Ogni individuo è unico nel suo insi...