Sono
nato in una famiglia cattolica come tante. Da bambino ho frequentato l’oratorio
dei Salesiani e poi gli scout, il grande amore della mia vita. Dopo il liceo e
la lettura di tanti testi religiosi, ho anche studiato teologia. Avevo fame di
mondo e di vita. Sono anche diventato giornalista e ho viaggiato molto.
Cercavo
di essere un buon cristiano e pensavo di cercare sinceramente il Signore. Ma,
in verità, lo cercavo con paura e con rabbia. Forse dentro di me Dio era come
mio padre, un uomo di formazione militare. A Dio, come a mio padre, bisognava
solo ubbidire e l’obbedienza non era mai perfetta. Ubbidivo
a Dio ma non lo amavo. Dentro di me anzi lo detestavo e lo
maledicevo.
Mio
padre era un uomo violento. E per me Dio era come lui. Per quanto mi sforzassi,
non avrei mai meritato il suo amore. Mi sono sentito spesso come un cane
randagio, costretto a mendicare carezze e cibo. Fuggivo da Dio così come avevo
passato l’infanzia e l’adolescenza a fuggire dall’umore imprevedibile di mio
padre. Pensavo di conoscere Dio, in fondo avevo studiato teologia! Ma lo
conoscevo “per sentito dire”, come Giobbe (42,5). In verità, ero morto dentro. Formalmente
un buon cristiano, vivevo una vita disordinata. Priva
di amore, in continua e sorda ribellione.
Ma
il Signore mi ha messo nel cuore una grande nostalgia e mi ha dato la forza di
volgere i miei passi verso di Lui. Nell’estate del 2018 durante un corso di
esercizi spirituali ho meditato la parabola del figliol prodigo. Ho urlato a
Dio tutta la mia rabbia. Ma all’improvviso mi sono accorto della bellezza che
mi circondava: il cielo terso, la luce dorata del sole, il mare e le colline. E
ho sentito forte, avvolgente il suo amore che mi sanava il cuore. Scoppiavo di
gioia! Il Signore mi aveva
riportato in vita. Mi aveva fatto sentire di essere figlio sempre amato, che
Lui c’era sempre stato e che dovevo solo aprirgli la porta perché Lui entrasse
nella mia vita e prendesse tutto il mio dolore e la mia rabbia.
Più
di trent’anni fa, mio padre era spirato fra le mie braccia chiedendomi di
perdonarlo per il male che mi aveva fatto. Lo avevo assistito, fin sulla soglia
della morte, combattuto da sentimenti contrastanti. Non ero stato capace di
perdonarlo. Solo oggi, a distanza di tanto tempo, posso di dire di averlo
veramente perdonato.
Dal
giorno della mia conversione, ho desiderato solo vivere e parlare di questo
amore. Spero che la mia storia sia una piccola luce per chi ancora vive nelle
tenebre della disperazione.
Davide
Romano, giornalista
(Credere,
n. 17, 28 aprile 2024)