Ho da poco concluso online il Corso di formazione per Direttori di Esercizi Spirituali Ignaziani. E già qui vedo qualcuno arricciare il naso: roba da preti, penserete. E invece no. O meglio: sì, roba da preti, ma anche da uomini e donne che hanno il coraggio – raro, rarissimo – di fermarsi un attimo e guardarsi dentro senza sconti. Un esercizio che oggi appare più arduo di una maratona a piedi scalzi sull’asfalto di luglio.
Non lo nascondo: le giornate di lavoro sono state impegnative. Altro che passeggiate meditative nel chiostro: ore e ore di studio, confronto, ascolto. Però fruttuose, feconde, come si dice in gergo ecclesiastico quando si vuol dare un senso alla fatica. Io il senso l’ho trovato davvero. Ho avuto l’impressione di entrare in una miniera d’oro: ogni pagina degli Esercizi di sant’Ignazio è una pepita che ti costringe a fare i conti con ciò che sei, non con l’immagine che ti ostini a dare di te stesso.
C’è un dettaglio che mi ha colpito più di tutti: l’equilibrio. Gli Esercizi sono infatti un miracolo di rigore e adattabilità. Due parole che di solito non vanno d’accordo, come il gatto e il cane, come il contribuente e il fisco. Invece Ignazio riesce a tenerle insieme. Da un lato, fedeltà a una tradizione cinquecentenaria, dall’altro, la capacità di parlare ancora oggi a chi vive con lo smartphone incollato alla mano e con le notifiche che gli bucano il cervello.
In quelle “aule virtuali” non ho trovato soltanto maestri, ma compagni di viaggio. Ho imparato che gli Esercizi non si insegnano dall’alto di una cattedra, si condividono. “Il corso non è stato soltanto formazione – ripeto a me stesso – ma anche occasione di confronto fraterno, di ascolto e di esercizio concreto nell’arte dell’accompagnamento”. Un’arte che non consiste nel distribuire consigli come caramelle, ma nello stare accanto in silenzio, a volte dicendo meno di quanto si vorrebbe.
Ora mi resta davanti il “Mese Ignaziano”. Non è una villeggiatura spirituale, come potrebbe sembrare, ma un cimento: mettere in pratica, nella polvere dei giorni comuni, quello che si è appreso nella quiete dello studio. E qui viene il bello, o il difficile. Perché non basta parlare di discernimento in aula: bisogna esercitarlo quando sei nel traffico, quando hai un vicino che ti toglie la pazienza, quando il mondo ti dice che devi correre e tu capisci che forse la tua salvezza sta nel fermarti.
Gli Esercizi mi hanno insegnato che la vera battaglia non si combatte con le armi, ma con il cuore. Ignazio lo sapeva bene: da soldato aveva visto il sangue, e da convertito aveva scoperto che il nemico peggiore non era l’avversario sul campo, ma le illusioni dentro di sé. È lì che bisogna distinguere, discernere, separare la voce di Dio dai rumori di fondo.
Non so se diventerò un buon direttore di Esercizi. So però che ne sono uscito con un’idea chiara: questa scuola non è per anime belle in cerca di emozioni religiose, ma per uomini e donne che vogliono essere liberi. Perché la libertà non è fare ciò che ci pare, ma scegliere il bene anche quando costa.
In un’epoca che ci vuole efficienti, performanti e sempre connessi, gli Esercizi sono una provocazione: fermati, ascolta, scegli. Tre verbi semplici, tremendi. Il mio vecchio parroco avrebbe sorriso, forse con un po’ di sarcasmo, ma alla fine – ne sono certo – avrebbe annuito.
Rendi orgoglioso chi ti vuol bene 🌻
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