“La Russia nell'anima. Viaggio sentimentale tra boršč e Dostoevskij, tra Čajkovskij e nostalgia” di Davide Romano
C'è una Russia che vive nel mio cuore, una Russia fatta di pagine
ingiallite e di note che si alzano come preghiere verso il cielo grigio di San
Pietroburgo. È la Russia di Dostoevskij e Tolstoj, quella di Čajkovskij e
Rachmaninov, quella che ha dato al mondo alcune delle più profonde meditazioni
sull'anima umana che la letteratura e l'arte abbiano mai conosciuto.
Quando penso alla Russia, la prima immagine che mi viene in mente non è
quella delle cronache contemporanee, ma quella di un salotto moscovita del XIX
secolo, dove intellettuali dalle barbe incolte discutevano fino all'alba del
destino dell'umanità, mentre fuori la neve cadeva silenziosa sui tetti delle
case di legno. È una Russia che esiste ancora, sepolta sotto strati di storia
complessa, ma viva e pulsante come il cuore di Nataša Rostova nel più bello dei
romanzi di Tolstoj.
La tavola
russa, specchio dell'anima
La cucina russa è come la sua letteratura: sostanziosa, malinconica,
capace di riscaldare l'anima nei giorni più bui dell'inverno. Il boršč che
bolle lento nella pentola è una poesia liquida, rossa come il tramonto sulla
steppa, dolce e aspra insieme come la vita stessa. Ogni cucchiaiata racconta
una storia: quella delle nonne che tramandavano ricette segrete, quella dei
contadini che sapevano trasformare rape e cavoli in prelibatezze, quella di un
popolo che ha imparato a trovare la bellezza anche nella scarsità.
E poi c'è il pane nero, denso e profumato, che accompagna ogni pasto
come un amico fedele. Non è il pane leggero del Mediterraneo, ma qualcosa di
più serio, di più impegnativo, che richiede tempo per essere apprezzato. Come
la Russia stessa, del resto. Il salmone affumicato della Siberia, le aringhe
sotto la pelliccia che sembrano un quadro di Kandinskij sul piatto, il kvas che
rinfresca nelle giornate estive quando il sole di luglio non tramonta mai: ogni
sapore è una finestra su un mondo che ha fatto della resistenza alle avversità
una forma d'arte.
I giganti
della letteratura
Ma è nella letteratura che la Russia ha toccato le vette più alte dello
spirito umano. Dostoevskij, quel genio tormentato che ha scrutato negli abissi
dell'anima come nessun altro prima di lui, ci ha regalato personaggi che sono
più veri della realtà stessa. Raskol'nikov che vaga per le strade di San Pietroburgo
con il peso del delitto sulle spalle, Ivan Karamazov che interroga Dio sulla
sofferenza degli innocenti, il Principe Myškin che porta nel mondo la purezza
di un'anima cristiana: sono figure che continuano a parlarci, a interrogarci, a
scuoterci dalle nostre certezze borghesi.
Tolstoj, dall'altra parte, ci ha mostrato la grandezza epica della
storia umana attraverso le vicende di famiglie aristocratiche travolte dai
venti della Storia. "Guerra e pace" non è solo un romanzo, è un
cosmos intero dove si agitano passioni, ideali, disillusioni. Pierre Bezuchov
che cerca il senso della vita, Andrej Bolkonskij che scopre l'infinità del
cielo sopra Austerlitz, Nataša che danza con l'innocenza della giovinezza: sono
archetipi universali nati dalla penna di un conte russo che ha saputo vedere
l'eterno nel particolare.
E Čechov, il medico di provincia che ha trasformato la noia della vita
quotidiana in poesia pura. I suoi personaggi non fanno grandi gesti eroici, non
pronunciano discorsi sublimi: vivono, semplicemente, con quella malinconia
dolce che è forse il tratto più distintivo dell'anima russa. Le sue commedie
sono tragedie sussurrate, i suoi racconti sono haiku in prosa che colgono
l'essenza fugace dei sentimenti umani.
La musica
dell'anima slava
La musica russa ha la stessa profondità emotiva della sua letteratura.
Čajkovskij ha tradotto in note la passione struggente dell'anima slava: i suoi
concerti per pianoforte sono fiumi in piena di sentimento, le sue sinfonie sono
cattedrali sonore che si innalzano verso l'infinito. Il "Lago dei
cigni" è più di un balletto, è un poema sulla purezza tradita e
riconquistata, mentre "La bella addormentata" racconta fiabe con la
solennità di un oratorio sacro.
Rachmaninov ha portato il romanticismo russo alle sue estreme conseguenze:
le sue composizioni sono confessioni intime sussurrate al pianoforte, lettere
d'amore scritte con le note. Il secondo concerto per pianoforte è
un'autobiografia musicale dove ogni accordo rivela un frammento di cuore umano,
ogni melodia è un ricordo che si fa canto.
E Stravinskij, il rivoluzionario che ha cambiato il volto della musica
moderna, non ha mai dimenticato le sue radici russe. "L'uccello di
fuoco" e "Petruška" attingono al folklore della sua patria,
trasformando antiche leggende popolari in linguaggio musicale d'avanguardia.
La
profondità del pensiero russo
La filosofia russa ha sempre avuto un carattere particolare, diverso da
quella occidentale: meno sistematica, forse, ma più esistenziale, più legata ai
problemi concreti dell'esistenza umana. Berdjaev, Solov'ëv, Šestov hanno posto
al centro della loro riflessione non tanto i problemi logici quanto quelli
spirituali: il senso della vita, il rapporto con Dio, il destino dell'uomo
nella storia.
La "filosofia della storia" russa ha sempre cercato di
comprendere il ruolo particolare che la Russia doveva svolgere nel concerto
delle nazioni. Gli slavofili vedevano nella Russia ortodossa il custode dei
valori spirituali che l'Occidente razionalista aveva smarrito; gli
occidentalisti, al contrario, spingevano per un'integrazione con l'Europa
illuminista. È un dibattito che attraversa tutta la cultura russa e che ancora
oggi, in forme diverse, continua ad agitare gli spiriti.
L'arte
che sfida il potere
L'arte russa ha sempre avuto un rapporto complesso con il potere. Dalle
icone bizantineggianti del Medioevo alle avanguardie del primo Novecento, gli
artisti russi hanno saputo creare bellezza anche sotto i regimi più oppressivi.
Kandinskij e Chagall hanno rivoluzionato la pittura mondiale partendo dalle
loro radici russe; Tarkovskij ha fatto del cinema una forma di preghiera laica;
Ejzenštejn ha trasformato la propaganda in arte pura.
Anche nei periodi più bui, quando la censura sembrava soffocare ogni
voce libera, la cultura russa ha trovato il modo di esprimersi. I romanzi
"dal cassetto" di Grossman e Šalamov, le poesie di Achmatova e
Brodskij, la musica di Šostakovič che nascondeva messaggi di resistenza nelle
sue sinfonie: la creatività russa ha sempre saputo trovare sentieri segreti per
raggiungere le coscienze.
La
nostalgia per un dialogo interrotto
Ed è qui che il cuore si stringe di amarezza. Questa Russia che amo,
quella dei grandi romanzi e delle sinfonie immortali, quella che ha dato al
mondo alcune delle più profonde meditazioni sulla condizione umana, oggi sembra
lontanissima. I rapporti tra la Russia e l'Occidente si sono deteriorati fino a
raggiungere livelli di tensione che ricordano i giorni più bui della Guerra
Fredda.
Eppure, sotto la superficie delle cronache politiche, quella Russia
culturale continua a vivere. Nelle biblioteche di Mosca si leggono ancora
Puškin e Lermontov; nei conservatori di San Pietroburgo risuonano ancora le
note di Mussorgskij; nei teatri si rappresentano ancora le commedie di Čechov
che parlano dell'eterno nell'effimero.
È una tragedia che due civiltà che hanno tanto da dirsi, tanto da
condividere, tanto da imparare l'una dall'altra, si trovino oggi separate da
muri di incomprensione e diffidenza. La cultura russa ha sempre avuto una
vocazione universale: i suoi scrittori, i suoi musicisti, i suoi pensatori si
sono sempre rivolti all'umanità intera, non solo al loro popolo.
La
speranza di un nuovo incontro
Forse un giorno torneremo a dialogare, a confrontarci, a imparare gli
uni dagli altri. Forse torneremo a vedere nella Russia non solo l'attore
geopolitico delle cronache contemporanee, ma anche l'erede di quella
straordinaria tradizione culturale che ha arricchito l'umanità intera. Forse
torneremo a leggere insieme Dostoevskij per capire qualcosa di più sull'anima
umana, ad ascoltare insieme Čajkovskij per commuoverci di fronte alla bellezza,
a discutere insieme di Tolstoj per interrogarci sul senso della storia.
Nell'attesa, continuo ad amare quella Russia eterna che vive nei libri
e nella musica, nelle tele dei pittori e nelle riflessioni dei filosofi. È una
Russia che appartiene a tutti noi, che fa parte del patrimonio spirituale
dell'umanità, che nessuna contingenza politica potrà mai cancellare.
Perché in fondo, come scriveva Pasternak, "l'arte è sempre,
costantemente, preoccupata di due cose. Medita continuamente sulla morte e
continuamente crea con ciò la vita". E la Russia, nella sua grande arte,
ha sempre saputo trasformare le sofferenze della storia in semi di speranza per
il futuro.
Complimenti per la sua riflessione che tocca il sentimento religioso sotto diverse prospettive, non da ultimo per mano della musica di Čajkovskij che per ironia della sorte non solo ha sempre cercato risposte alle domande esistenziali dell’uomo ma anche suscitato vividi interrogativi sulla umanità verso i feriti ed i deboli di guerra (Ouverture 1812). Davvero un bell'articolo!
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