Dario (il nome è di fantasia) me lo sono trovato davanti in
una mattina di primavera, seduto al tavolino di un caffè romano con quella che
io chiamo "la faccia dei sopravvissuti". Non è una ruga particolare,
non è lo sguardo - è qualcosa di più sottile, un'ombra che passa negli occhi di
chi ha attraversato l'inferno conservando abbastanza lucidità per raccontarlo.
Non sapevo ancora che mi avrebbe narrato la storia del suo
incontro con una delle più grandi organizzazioni umanitarie internazionali - di
quelle che vediamo in televisione quando c'è un terremoto o una carestia, con
tanto di logo riconoscibile e volontari sorridenti. Di quelle che raccolgono
fondi con la promessa di nutrire gli affamati e vestire gli ignudi. Quelle che,
insomma, si presentano come l'incarnazione terrena della carità cristiana.
"Sa qual è il paradosso delle sette moderne?", mi
dice Dario mescolando il caffè. "Non hanno più l'aspetto di culti strani.
Si nascondono dietro facciate rispettabilissime, sono organizzazioni
internazionali con imponenti bilanci e certificazioni. Esibiscono la carità
come un gioiello da vetrina, mentre nei retrobottega macinano anime."
Dario aveva costruito un'azienda in vent'anni di lavoro duro.
Un'attività solida, collaboratori fidati, un grazioso appartamento. Poi era
arrivata quella che lui chiama la "conversione", che come tutte le
conversioni autentiche aveva sconvolto la sua vita.
"È stato come essere colpito da un fulmine",
racconta. "Mi sono ritrovato a chiedermi cosa stessi facendo della mia
vita. Guadagnavo, spendevo, pagavo le tasse... ma qual era il senso? Volevo
servire qualcosa di più grande di me. Volevo dedicare il resto della mia
esistenza a Dio e al prossimo."
Fu in questo stato d'animo, fragile e ricettivo come solo un
neofita può essere, che ricevette quella lettera con tanto di sigillo e firma
importante. Gli promettevano di poter mettere le sue competenze al servizio di
una missione superiore, con un incarico rispettabile, un tetto, un'uniforme e
uno stipendio modesto ma dignitoso. La famosa organizzazione internazionale
sembrava l'incarnazione perfetta dei suoi nuovi ideali.
"Il responsabile nazionale mi guardò negli occhi con
quella sicurezza tipica di chi crede di parlare per conto dell'Altissimo",
ricorda Dario. "Mi fece sentire speciale, eletto. Mi disse: 'Abbiamo
bisogno di persone come lei, la sua esperienza ci sarà preziosa'. E io, nel pieno
del mio fervore spirituale, ci ho creduto."
Se fosse un film, qui inserirei una musica inquietante. Ma
Dario non aveva colonna sonora mentre smantellava pezzo per pezzo la sua
esistenza, liquidando l'azienda che aveva costruito in vent'anni, svuotando
l'appartamento, riducendo la sua vita a qualche scatolone impilato in casa di
sua madre. Come un monaco medievale, si spogliava dei beni terreni convinto di
rispondere a una chiamata divina. A differenza del monaco, però, non trovò
illuminazione ma una truffa ben orchestrata.
"Il contratto? Improvvisamente non era più valido",
mi racconta con un sorriso amaro. "Al suo posto mi offrirono generosamente
un 'tirocinio formativo'. Sa cosa significa? Lavorare gratis per
un'organizzazione che raccoglie milioni di euro in donazioni."
Secondo i dati del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove
Religioni), in Italia operano circa 500 gruppi che possono essere classificati
come movimenti religiosi alternativi. Di questi, almeno una sessantina
presentano caratteristiche settarie potenzialmente pericolose. E non parliamo
solo di strane sette in remote comuni rurali, ma anche di organizzazioni con
vetrine internazionali, rapporti con governi e istituzioni, bilanci milionari
se non miliardari.
Dario era entrato in uno di questi gruppi. Con le spalle al
muro - senza casa né lavoro - accettò quella che chiamavano
"opportunità": una stanza nel loro centro, pasti alla mensa dei
poveri o con gli avanzi delle donazioni destinate agli indigenti.
"Sedici ore di lavoro al giorno", mi dice mentre il
cameriere ci porta il conto. "Ho scaricato trecento chili di frutta in un
solo giorno, ho svuotato garage, pulito pavimenti. I miei studi, i miei
vent'anni di professione, la mia cultura... tutto sepolto sotto compiti
progettati per umiliarmi. E il tutto mentre sui loro manifesti promozionali
parlavano di dignità umana e rispetto."
Gli esperti la chiamano "deprogrammazione
dell'identità": prima ti spogliano di ciò che sei stato, poi ti ricreano a
loro immagine. "Dimentica chi eri nel mondo", gli ripeteva uno degli
anziani. "Qui sei rinato a nuova vita." Una "nuova vita"
che assomigliava più a morte dell'anima che a resurrezione.
Nel 2024, secondo l'Osservatorio Antiplagio, i casi di
manipolazione mentale in contesti settari sono aumentati del 18% rispetto
all'anno precedente. La pandemia ha accelerato il fenomeno, creando terreno
fertile per chi propone certezze in tempi incerti. E le organizzazioni che si
autodefiniscono caritatevoli non sono immuni da questo fenomeno - a volte ne
sono addirittura i principali veicoli.
"Dopo mesi di lavoro gratuito mi rispedirono da mia
madre come un pacco postale", continua Dario, guardando oltre la mia
spalla, come se vedesse quei giorni proiettati sul muro del caffè. "Poi mi
richiamarono offrendomi uno stipendio che avrebbe fatto arrossire un
mendicante. Non avevo alternative. Nel frattempo, i loro dirigenti si
spostavano in auto di lusso e partecipavano a conferenze in hotel a cinque
stelle."
La storia di Dario prosegue come un manuale di psicologia
dell'abuso: una stanza così sporca da causargli problemi respiratori, un
materasso che gli provocava dolori lancinanti, umiliazioni pubbliche, processi
a porte chiuse basati su "voci" mai specificate. Il direttore
sembrava trarre particolare piacere nel degradarlo: "Sembri un
cattolico", gli diceva davanti a tutti, come se pronunciasse la più
terribile delle condanne.
"La loro ipocrisia era stomachevole", mi spiega.
"Nei materiali promozionali parlavano di accoglienza e fratellanza
universale, ma all'interno praticavano discriminazione religiosa sistematica.
Costruivano un linguaggio proprio, un gergo che divide gli 'eletti' dagli
'esterni'. Se saltavo una funzione religiosa, ricevevo messaggi o rimproveri.
La stessa organizzazione che raccoglieva fondi per combattere la povertà
trattava i propri dipendenti come servi della gleba."
Secondo un recente rapporto dell'Università La Sapienza, il
72% degli ex membri di sette religiose riporta sintomi di stress
post-traumatico a distanza di anni. Il 58% ha sviluppato forme di depressione
cronica. Dati che non compaiono nei telegiornali ma testimoniano un'epidemia
silenziosa di abusi psicologici.
L'umiliazione finale per Dario arrivò con un'email che
annunciava il suo licenziamento, inviata a tutti i dipendenti
dell'organizzazione in Italia e all'estero. Un'esecuzione pubblica per
distruggere quel poco di dignità che gli restava, orchestrata dalla stessa
organizzazione che nei suoi opuscoli parlava di "rispetto della persona
umana".
"Mi hanno fatto credere di servire una causa
nobile", conclude Dario mentre usciamo dal caffè, "mentre servivo
solo l'arroganza di persone che usano il nome di Dio e la facciata della carità
per giustificare la loro meschinità. È questa la vera oscenità: usare i più
alti ideali umani come maschera per i più bassi istinti di dominio."
Oggi Dario vive ancora in quella stanza a casa della madre.
Gli scatoloni che contengono i frammenti della sua vita precedente sono ancora
lì, alcuni ancora sigillati. Ha perso tutto: l'azienda di vent'anni, la casa, i
collaboratori, la fiducia nelle persone e, cosa più dolorosa, anche buona parte
della sua fede.
La sua storia non è unica. Secondo l'ultimo rapporto
dell'EURISPES, in Europa almeno 1,2 milioni di persone sono coinvolte in gruppi
con dinamiche settarie. Il danno economico causato da queste organizzazioni è
stimato in almeno 5 miliardi di euro annui, tra patrimoni sottratti, lavoro non
retribuito e costi sociali per la riabilitazione delle vittime. E molte di
queste organizzazioni operano sotto l'insegna della carità e della filantropia.
Mentre ci salutiamo, Dario mi lascia con una riflessione che
ha il sapore amaro dell'esperienza: "La vera spiritualità non si trova in
gerarchie rigide o in obbedienza cieca, ma nella libertà di cercare Dio con
cuore sincero, senza intermediari che pretendono di parlare in Suo nome mentre
servono solo se stessi. E la vera carità non ha bisogno di vetrine né di
bilanci faraonici - si pratica in silenzio, senza attendersi nulla in cambio,
tantomeno potere sugli altri."
Parole sagge. Peccato che per apprenderle abbia dovuto pagare
un prezzo così alto. E peccato che mentre scrivo, migliaia di manifesti di
quella stessa organizzazione continuino a tappezzare le nostre città,
invitandoci a donare per salvare il mondo, mentre dentro le loro mura qualcun
altro sta forse vivendo lo stesso inferno di Dario.
Commenti
Posta un commento