Lo scandalo degli abusi sessuali che ha travolto le comunità evangeliche
francesi, portato alla luce da Mediapart con l'articolo intitolato “#MeToo: i
protestanti francesi esaminano la loro coscienza”, ha scosso profondamente il
fragile equilibrio del protestantesimo transalpino. La Federazione Protestante
di Francia (Fpf) ha reagito con un comunicato che, tra doverosi mea culpa e
promesse di riforme, tenta di salvare la faccia di fronte all'opinione
pubblica.
«La sofferenza delle vittime non può essere ignorata», proclama la Fpf, che
nel suo comunicato rende omaggio al coraggio di chi ha denunciato. Belle
parole, certo. Ma il rischio che restino solo parole è alto, se non
accompagnate da azioni concrete. È troppo comodo, infatti, dichiararsi solidali
senza interrogarsi seriamente su come sia stato possibile che certi crimini si
consumassero all'interno delle loro comunità.
Per dimostrare il proprio impegno, la Fpf ha annunciato una serie di
misure: un numero telefonico dedicato per le vittime, corsi di formazione
sull'etica dell'autorità e sessioni di sensibilizzazione interreligiose. Una
risposta tardiva, forse, ma necessaria. La vera domanda è se queste iniziative
saranno sufficienti a cambiare una cultura che, in alcuni ambienti protestanti,
sembra aver chiuso troppo spesso gli occhi di fronte agli abusi.
Il silenzio e la complicità: un
problema strutturale
Non si può negare che la pedofilia sia una piaga che ha colpito non solo il
mondo cattolico ma anche le comunità protestanti, nonostante queste ultime
abbiano spesso denunciato gli scandali della Chiesa cattolica con un certo
compiacimento. Tuttavia, ciò che emerge dallo scandalo francese è un sistema di
silenzi e complicità che non può essere ignorato. La decentralizzazione tipica
delle comunità protestanti, che è spesso vista come un punto di forza in
termini di autonomia e responsabilità, si è rivelata in questo caso un punto
debole. La mancanza di strutture gerarchiche rigide ha reso più difficile il
monitoraggio e l'intervento tempestivo in caso di sospetti o denunce.
Un altro elemento critico è rappresentato dalla figura del pastore, che
nelle comunità evangeliche riveste spesso un ruolo carismatico e centrale.
Questo status può creare un clima di sudditanza psicologica, rendendo ancora
più arduo per le vittime trovare il coraggio di parlare. «L’abuso di potere non
è solo un problema cattolico», ha dichiarato lo storico Jean Baubérot, esperto
di protestantesimo francese. «È un fenomeno trasversale che colpisce ogni
ambiente in cui si conferisce un’autorità incontestabile a una figura leader».
Un confronto con il mondo cattolico
Anche il mondo cattolico, che purtroppo conosce bene le ferite inflitte
dagli scandali pedofili, osserva con attenzione. Papa Francesco, nel condannare
duramente gli abusi, ha più volte sottolineato l'importanza di agire con
fermezza e trasparenza: «Non basta chiedere perdono; bisogna garantire che
simili crimini non accadano mai più». La Chiesa cattolica ha avviato negli
ultimi anni una serie di riforme, istituendo commissioni indipendenti e
introducendo obblighi di denuncia per i membri del clero.
Il protestantesimo francese, che rappresenta circa il 3% della popolazione
e comprende una varietà di denominazioni, può trarre spunto da queste
esperienze. Le comunità evangeliche, in particolare, hanno conosciuto una
crescita significativa negli ultimi decenni, ma episodi come questi rischiano
di compromettere la loro credibilità. Non basta avere chiese piene; occorre che
siano luoghi sicuri e rispettosi della dignità umana.
La sfida della trasparenza
La Fpf ha dichiarato di voler collaborare con esperti indipendenti per
analizzare le falle sistemiche che hanno permesso gli abusi, ma la strada è
lunga. Come ha osservato la sociologa Danièle Hervieu-Léger, «La fiducia non si
ricostruisce con dichiarazioni, ma con azioni concrete e coerenti nel tempo».
La fiducia, infatti, è il pilastro su cui si fondano le comunità di fede.
Perdere questa fiducia significa minare le basi stesse del messaggio cristiano.
Il mondo protestante ha davanti a sé una sfida epocale: dimostrare che la
fede non può essere usata come scudo per proteggere gli abusi, ma come forza
per combatterli. La vera testimonianza cristiana non risiede nella perfezione,
ma nella capacità di affrontare con umiltà e determinazione i propri errori,
garantendo giustizia alle vittime e prevenendo future tragedie. È un percorso
doloroso ma necessario, che richiede non solo cambiamenti strutturali, ma anche
un profondo rinnovamento culturale.
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