“Le parole del Papa su Gaza e la nostra coscienza assopita” di Davide Romano





C’è un momento in cui le parole diventano pietre. Non macigni che feriscono, ma pietre d’inciampo, capaci di fermarci sulla strada e costringerci a riflettere. Questo è quanto ha fatto Papa Francesco nel suo ultimo intervento sulla crisi di Gaza, contenuto nel libro “La speranza non delude mai”. E noi non possiamo permetterci di restare indifferenti.

Di fronte alle tragedie del Medio Oriente, il Papa non si nasconde dietro formule diplomatiche. La sua voce – come spesso accade – si leva con forza e ci invita a una presa di coscienza: «Ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio». Non è una condanna diretta, non è una verità assoluta, ma un invito all’indagine, un richiamo a guardare in faccia la realtà senza girare lo sguardo altrove.

Israele ha risposto duramente, rivendicando il diritto alla difesa dopo l’orrore del 7 ottobre 2023. Anche questa è una verità innegabile: le vite spezzate di cittadini israeliani meritano memoria e giustizia. Ma è proprio in questo groviglio di dolore che si rende necessario un dialogo onesto, che riconosca il valore di ogni vita umana. Il richiamo del Papa è un pungolo per tutti, israeliani, palestinesi, e il resto del mondo.

Non possiamo accettare che il conflitto venga raccontato solo come un gioco a somma zero, dove l’unico obiettivo è vincere sull’altro. Gaza è un grido che ci chiama a interrogarci su cosa significhi giustizia, su come sia possibile costruire pace laddove la sofferenza è la lingua dominante.

 

Il Mediterraneo, uno specchio inquietante

Queste parole del Papa non riguardano solo Israele e Palestina. Il Mediterraneo, mare che dovrebbe unire, è diventato uno specchio dei nostri fallimenti. È il teatro di tragedie umanitarie che vedono le nostre coste come spettatrici troppo spesso silenziose, talvolta persino complici.

Accogliere, proteggere, promuovere e integrare: Francesco non si limita a evocare un'utopia. Ci invita a comprendere le cause profonde dei flussi migratori, ad agire nei Paesi d’origine e a non voltarci dall’altra parte di fronte al dolore di chi bussa alle nostre porte. È un appello che interroga le coscienze, che chiede a ciascuno di noi se stiamo davvero facendo la nostra parte per un mondo più giusto.

 

La voce dei giovani e il grido della terra

C’è un filo rosso che attraversa tutto il messaggio del Papa: la necessità di ascoltare. I giovani che protestano per il clima, che si battono per un pianeta vivibile, non sono solo figli ribelli. Sono sentinelle che ci avvertono del tempo che scorre, del rischio di perdere il futuro. E noi, adulti, abbiamo il dovere di non tradirli.

Ecco il punto. Non possiamo continuare a vivere come se tutto questo non ci riguardasse. Gaza, le migrazioni, il cambiamento climatico: non sono “problemi degli altri”. Sono questioni che ci sfidano a guardare oltre il nostro piccolo orticello, a costruire ponti dove altri vorrebbero erigere muri.

 

Non restiamo afoni

Nelle redazioni una volta si diceva che il giornalista deve essere “il cane da guardia della democrazia”. Forse oggi dovremmo essere qualcosa di più: cani da guardia della nostra umanità. Il Papa ci ha ricordato che non possiamo restare afoni. Non davanti al dolore, non davanti all’ingiustizia. La sua voce non è un giudizio definitivo, ma un invito alla responsabilità. E, volenti o nolenti, siamo tutti chiamati a rispondere.

(Davide Romano)

Commenti


  1. Davide, il tuo commento è una potente riflessione sul coraggio di Papa Francesco, che si erge come una voce fuori dal coro, pronta a sfidare le ipocrisie di un Occidente spesso prigioniero dei propri interessi e silenzi. La forza delle sue parole, che chiami "pietre d’inciampo", risuona come un richiamo universale a guardare oltre il superficiale, a rompere con la narrazione dominante che troppo spesso semplifica e riduce il complesso a un banale gioco di schieramenti.

    Il Papa osa usare parole scomode, come "genocidio", per descrivere ciò che accade a Gaza, non per condannare, ma per spingere tutti – governi, società civile, opinione pubblica – a confrontarsi con una realtà che non può essere giustificata né ignorata. In un mondo in cui la politica preferisce la neutralità comoda e la stampa talvolta si accontenta di raccontare la superficie, Francesco ci chiede di andare a fondo, di mettere al centro la dignità e il valore di ogni vita umana, senza distinzioni.

    La tua osservazione sul Mediterraneo come specchio dei fallimenti dell’Occidente è altrettanto incisiva. Francesco non è solo un pastore che denuncia, ma un costruttore di ponti, che ci sfida a ripensare il nostro ruolo di fronte alla tragedia dei migranti e alla devastazione del pianeta. Hai saputo cogliere l'urgenza del suo messaggio, che non è mera utopia ma un invito a un'azione concreta, fatta di accoglienza e responsabilità.

    Infine, il tuo riferimento al giornalismo come "cane da guardia della nostra umanità" è una dichiarazione potente. È una chiamata alle armi per chiunque abbia voce o potere di narrazione, per non restare indifferenti o complici di fronte all’ingiustizia. La tua analisi, al tempo stesso lucida e appassionata, rende onore al coraggio di Papa Francesco e lancia un monito a tutti noi: il silenzio è il primo passo verso la complicità. Grazie per aver dato forza e profondità a questo messaggio.

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