A Borgo Vecchio, un minuscolo
paese circondato da colline verdi e filari di viti, non succedeva mai nulla di
straordinario. Le giornate scorrevano tranquille, tra il campanile che batteva
le ore e il profumo del pane appena sfornato che si diffondeva per le strade
strette. Era un posto dove le novità arrivavano come il treno del pomeriggio:
lentamente e con molte fermate.
Eppure, un mattino di fine
estate, il tranquillo equilibrio del paese venne sconvolto dall'arrivo di una
famiglia "straniera". Straniera, per i paesani, voleva dire chiunque
venisse da più lontano di Parma, ma questa volta, il forestiero era addirittura
un uomo dalla pelle scura, con una moglie dagli occhi a mandorla e due bambini
che parlavano una lingua musicale e misteriosa.
Il sindaco, il ragionier
Bertolini, che aveva ereditato la carica come si eredita un vecchio ombrello
bucato, venne subito assalito da richieste e lamentele. La maestra Loredana,
con un tono che non ammetteva repliche, voleva sapere come avrebbe dovuto
gestire quei bambini "esotici" nella sua aula; il parroco, Don
Peppino, si chiedeva se avrebbe dovuto insegnare loro il catechismo; e il
macellaio, il signor Amadeo, era preoccupato che avrebbero chiesto carne
"strana", compromettendo la reputazione della sua macelleria.
Ma fu l'oste del paese, il buon
vecchio Pinuccio, a riassumere il pensiero comune con una frase semplice:
"Qua la gente ha già abbastanza problemi con i forestieri di Milano, figuriamoci
con quelli che vengono dall'altro lato del mondo!"
Il giorno successivo, alle otto
in punto, il ragionier Bertolini si presentò davanti alla scuola, tirato a
lucido come per la festa del patrono. La famiglia straniera, Amadou e Mei con i
loro due figli, era stata convocata per un colloquio ufficiale. Amadou, alto e
sorridente, vestito con una giacca che sembrava fatta di un tessuto mai visto
prima in paese, strinse la mano del sindaco con un calore che il ragionier
Bertolini trovò quasi imbarazzante.
"Buongiorno, signor
sindaco!" disse Amadou in un italiano impeccabile ma con un accento che
lasciava indovinare la sua provenienza. Mei, più riservata, fece un leggero
inchino, mentre i due bambini, Kofi e Amina, guardavano il sindaco con occhi
curiosi e vivaci.
Il ragionier Bertolini, per
quanto abituato a fare discorsi solenni, si trovò per un attimo senza parole.
In paese si parlava molto di accoglienza, ma nessuno si era mai aspettato di
doverla mettere in pratica davvero.
"Buongiorno a voi,
benvenuti a Borgo Vecchio," riuscì a dire infine, con un tono che cercava
di essere caloroso. "Ehm... Siamo un piccolo paese, ma cerchiamo di fare
del nostro meglio per accogliere chiunque venga qui."
Amadou annuì, ancora
sorridente. "Ne sono certo, signor sindaco. Siamo molto felici di essere
qui. Io lavorerò nella fabbrica a pochi chilometri da qui, e mia moglie... beh,
è un'ottima cuoca. Forse potrete assaggiare qualcosa della nostra cucina."
La parola "cucina"
fece breccia nei pensieri del sindaco. Già si immaginava i commenti dei paesani
di fronte a piatti dai nomi impronunciabili. Ma Bertolini, nel suo cuore, era
un uomo buono. E poi, come sua madre diceva sempre, "Una mano lava l'altra
e tutte e due lavano il viso."
Quella sera, su invito di
Pinuccio, la famiglia di Amadou si recò all'osteria del paese. L’oste, che era
uomo di spirito e di pancia generosa, li accolse con un certo riserbo, ma colto
da curiosità, decise di offrire loro il suo miglior piatto: tortelli di zucca,
seguiti da un brasato con polenta.
Amadou e Mei assaporarono ogni
boccone, e i bambini si comportarono in maniera impeccabile, nonostante Kofi
avesse guardato con sospetto la polenta gialla, così diversa dal riso a cui era
abituato.
A un certo punto, però, Amadou
si avvicinò al bancone e disse: "Pinuccio, questa polenta è davvero buona.
Mi ricorda un piatto che faceva mia nonna in Africa. Sai, potremmo preparare
qualcosa insieme, una sera? Io potrei cucinare il nostro 'fufu' e tu la tua
polenta. Potremmo fare una serata di scambio."
L’oste, colpito da quell'idea,
scoppiò a ridere. "Ah, ma questa sì che è buona! Uno scambio culturale a
Borgo Vecchio! Chissà cosa dirà la gente!"
"Magari impareremo
qualcosa di nuovo, no?" rispose Amadou con una luce negli occhi.
Pinuccio si grattò la testa,
pensieroso. "Forse hai ragione. Facciamolo, Amadou. Vediamo cosa ne viene
fuori."
La notizia della serata
"Fufu e Polenta" si diffuse come il vento. All'inizio, molti erano
scettici, ma la curiosità vinse su ogni resistenza. Quella sera, l’osteria di
Pinuccio era gremita come non mai. C'era chi era venuto per assaggiare, chi per
criticare, ma tutti, in fondo, erano lì per partecipare a qualcosa di nuovo.
Amadou, con un grembiule legato
in vita, preparò il fufu con una tale destrezza che persino la signora Margherita,
la più severa delle cuoche del paese, si fermò a guardare con ammirazione. Mei
intanto serviva piccoli assaggi di un dolce di cocco e zenzero che fece leccare
i baffi a più di uno.
Quando fu il turno di Pinuccio
di servire la sua polenta, accompagnata da brasato, Amadou e Mei applaudirono
per primi, seguiti dagli altri paesani. E poi, successe qualcosa di
straordinario: Kofi e Amina, i due piccoli, iniziarono a giocare con i figli di
Pinuccio e degli altri presenti. Risate, corse e giochi si mischiarono come in
una grande festa.
Da quella sera, a Borgo
Vecchio, il "fufu e polenta" divenne un appuntamento fisso, un
simbolo di unione e amicizia. Il paese non cambiò improvvisamente, certo, ma
piano piano, il colore della pelle, l'accento diverso, e le tradizioni lontane
persero importanza di fronte alla bontà di una tavola condivisa.
Il ragionier Bertolini, il
giorno dopo, passeggiando per il paese, notò che la vita continuava come
sempre, ma con un leggero, quasi impercettibile cambiamento nell'aria. Una
consapevolezza che, forse, accogliere il nuovo non era poi così spaventoso, e
che, in fondo, eravamo tutti parte della stessa grande famiglia.
E mentre il sole tramontava
sulle colline, si poteva sentire l’eco delle risate dei bambini che giocavano
insieme, senza più barriere.
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