“Agrigento capitale della cultura 2025, quando la storia riscatta il presente” di Davide Romano



Quando si pensa ad Agrigento, l'immagine che si materializza nella mente è quella di colonne doriche stagliate contro il cielo azzurro della Sicilia, templi millenari che hanno sfidato i secoli, testimoni silenziosi di una civiltà che ha illuminato il Mediterraneo. Eppure, questa città straordinaria si trova oggi a fare i conti con una realtà ben diversa: strade dissestate, servizi pubblici inefficienti, criticità infrastrutturali che sembrano stonare drammaticamente con il titolo prestigioso di Capitale Italiana della Cultura 2025.

 

Ma è proprio questa apparente contraddizione a rivelare una verità profonda: la grandezza di un luogo non risiede soltanto nella sua gestione amministrativa contingente, ma nella stratificazione millenaria di storia, arte e cultura che ha plasmato la sua identità. Come scrisse Goethe nel suo celebre "Viaggio in Italia": "Chi ha visto l'Italia, in particolare la Sicilia, possiede un'immagine che non può essere cancellata". E Agrigento rappresenta forse più di ogni altra città siciliana questa incancellabilità della memoria storica.

 

 

La Valle dei Templi, un patrimonio che parla all'umanità

La Valle dei Templi non è semplicemente un sito archeologico: è un libro di pietra che racconta tremila anni di storia mediterranea. Qui, nel V secolo a.C., sorgeva Akragas, una delle più potenti e ricche città della Magna Grecia. Il poeta Pindaro la definiva "la più bella tra le città dei mortali", e chi ha avuto il privilegio di passeggiare lungo la via Sacra al tramonto, quando la pietra calcarea dei templi si tinge di oro, comprende che quelle parole non erano semplice retorica.

 

Il Tempio della Concordia, uno degli edifici dorici meglio conservati al mondo, rappresenta un capolavoro di armonia architettonica che ha attraversato venticinque secoli praticamente intatto. La sua sopravvivenza miracolosa - dovuta alla trasformazione in basilica cristiana nel VI secolo - è essa stessa una metafora della resilienza culturale di questa terra. Come scrisse lo storico dell'arte Cesare Brandi: "Il valore di un'opera d'arte non sta solo nella sua materia, ma nel suo essere testimone del passaggio dell'uomo sulla terra".

 

Il Tempio di Giunone, quello di Ercole, i resti colossali del Tempio di Zeus Olimpico con i suoi telamoni - figure antropomorfe alte sette metri e mezzo - tutto questo patrimonio non appartiene soltanto ad Agrigento, ma all'intera umanità. Non a caso l'UNESCO ha riconosciuto la Valle dei Templi come Patrimonio dell'Umanità nel 1997, certificando un valore universale eccezionale che nessuna buca stradale o problema di raccolta rifiuti può minimamente intaccare.

 

 

Una storia che attraversa i millenni

Ma Agrigento non è solo archeologia greca. La città porta su di sé i segni tangibili di ogni civiltà che ha dominato il Mediterraneo. Dopo la conquista romana nel 210 a.C., la città conobbe un periodo di rinnovata prosperità. Il quartiere ellenistico-romano, con le sue domus affrescate e i mosaici policromi, racconta di una società cosmopolita e raffinata.

 

Poi vennero i bizantini, gli arabi, i normanni, gli svevi, gli angioini, gli aragonesi: ogni dominazione ha lasciato un'impronta indelebile. La Cattedrale di San Gerlando, fondata nel 1093 dal vescovo normanno Gerlando, è un palinsesto architettonico dove si sovrappongono stili diversi, dal normanno al gotico-catalano, dal barocco al neoclassico. Come osservò lo storico Fernand Braudel: "Il Mediterraneo è mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma civiltà accatastate le une sulle altre".

 

Il centro storico medievale, con il suo dedalo di vicoli stretti e ripidi, le chiese barocche, i palazzi nobiliari, rappresenta un patrimonio monumentale di straordinario valore. La Chiesa di Santa Maria dei Greci, edificata su un tempio dorico del V secolo a.C., sintetizza perfettamente questa stratificazione millenaria: le colonne doriche sono ancora visibili all'interno della chiesa cristiana, in un abbraccio tra paganesimo e cristianesimo che racconta la continuità della presenza umana in questi luoghi.

 

 

La cultura immateriale, Pirandello e l'anima agrigentina

Agrigento non è soltanto pietre antiche. È anche, e soprattutto, la patria di Luigi Pirandello, Premio Nobel per la Letteratura nel 1934. Nato nel 1867 in contrada Caos, alle porte della città, Pirandello portò con sé per tutta la vita l'imprinting di questa terra aspra e luminosa. La sua opera - dai romanzi ai drammi teatrali - è pervasa da quella che potremmo definire una "sicilianità esistenziale": il senso del paradosso, la percezione dell'instabilità delle identità, la consapevolezza della maschera sociale.

 

"Ciascuno si racconcia la verità a modo suo", scrisse in "Così è (se vi pare)", e questa relativizzazione della realtà ha forse radici proprio nell'esperienza di una terra dove convivono grandezza monumentale e miseria quotidiana, splendore del passato e difficoltà del presente. Come ebbe a dire lo stesso Pirandello: "La vita o si vive o si scrive: io non l'ho mai vissuta, se non scrivendola".

 

La casa natale di Pirandello, oggi museo, e il "pino solitario" sotto cui volle essere cremato secondo le sue ultime volontà, sono luoghi di pellegrinaggio letterario per studiosi e appassionati da tutto il mondo. Questo patrimonio immateriale - la memoria di un genio che ha rivoluzionato il teatro mondiale - vale quanto qualsiasi tempio antico.

 

 

Leonardo Sciascia e lo sguardo critico sulla Sicilia

Un altro figlio illustre di questa terra, seppur nato nella vicina Racalmuto, fu Leonardo Sciascia, che ad Agrigento visse e insegnò per anni. Scrittore scomodo, intellettuale rigoroso, Sciascia dedicò la sua opera a una spietata analisi della società siciliana, dei suoi mali endemici, delle sue contraddizioni. Libri come "Il giorno della civetta", "A ciascuno il suo", "Todo modo" sono pietre miliari della letteratura italiana del Novecento.

 

Sciascia non fu certo un cantore acritico della Sicilia. Al contrario, ne denunciò con lucidità feroce i vizi, l'omertà, il clientelismo, la corruzione. Eppure, proprio questo sguardo critico rappresenta una forma superiore di amore per la propria terra. Come scrisse ne "La Sicilia come metafora": "La Sicilia ha avuto la sorte ritrovarsi a essere una metafora: della condizione umana a livello universale, come luogo dell'anima, come esperienza compiuta".

 

Le difficoltà di oggi che Agrigento si trova ad affrontare - dalla gestione urbana alle infrastrutture - erano già presenti, in forme diverse, ai tempi di Sciascia. Eppure questo non impedì alla città di continuare a produrre cultura, pensiero, bellezza. La letteratura di Sciascia ci insegna che riconoscere i problemi non significa arrendersi ad essi, ma è il primo passo per superarli.

 

 

Andrea Camilleri e la memoria collettiva

Anche Andrea Camilleri, il creatore del Commissario Montalbano che ha fatto conoscere la Sicilia a milioni di lettori in tutto il mondo, aveva legami profondi con Agrigento. Nato a Porto Empedocle (la Vigàta dei suoi romanzi), Camilleri trasse da questa terra la linfa per le sue storie: quel mix inconfondibile di tragedia e commedia, di amarezza e ironia, di denuncia sociale e umanità profonda.

 

Camilleri scrisse: "La Sicilia è una terra che non ti lascia scelta: o la ami o la odi. Ma anche se la odi, non puoi fare a meno di pensarci". Questa ambivalenza - tra amore e frustrazione, tra orgoglio e critica - è forse la chiave per comprendere il rapporto tra Agrigento e il suo destino di Capitale della Cultura.

 

 

Il paradosso necessario, bellezza e degrado

Sarebbe ipocrita negare le criticità che Agrigento si trova ad affrontare. I problemi sono reali, documentati, sotto gli occhi di tutti: il dissesto idrogeologico che minaccia intere porzioni del centro storico, le carenze nei servizi, le difficoltà di gestione del territorio. Eppure, proprio questo contrasto stridente tra magnificenza del patrimonio e insufficienze dell'amministrazione quotidiana può diventare un elemento di riflessione culturale profonda.

 

Come scrisse il filosofo Walter Benjamin: "Non c'è documento di cultura che non sia al tempo stesso documento di barbarie". Agrigento incarna questa dialettica in modo paradigmatico. La sua nomina a Capitale della Cultura non è un premio per l'efficienza amministrativa, ma il riconoscimento di un valore culturale oggettivo, stratificato, indiscutibile.

 

Il titolo di Capitale della Cultura dovrebbe essere visto come un'opportunità, un catalizzatore di cambiamento. Non si tratta di nascondere i problemi sotto il tappeto della retorica celebrativa, ma di usare la cultura come leva per il riscatto. Come disse Antonio Gramsci: "La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità".

 

 

Il ruolo della cultura nel riscatto sociale

La storia ci insegna che le grandi trasformazioni urbane e sociali sono spesso partite proprio dal riconoscimento del valore culturale. Pensiamo a città come Matera, anche essa un tempo simbolo di arretratezza e degrado, che attraverso il riconoscimento UNESCO e poi la nomina a Capitale Europea della Cultura 2019 ha vissuto una rinascita straordinaria. O Palermo, che nel 2018, proprio come Capitale Italiana della Cultura, ha avviato processi virtuosi di recupero e valorizzazione.

 

Agrigento ha in sé tutte le potenzialità per seguire un percorso simile. Il suo patrimonio artistico e archeologico è di valore immenso, il paesaggio culturale unico al mondo. La sfida è trasformare questo patrimonio in un motore di sviluppo sostenibile, che crei occupazione qualificata, attiri investimenti intelligenti, migliori la qualità della vita dei residenti.

 

Come sosteneva l'economista Giacomo Becattini, teorico dei distretti industriali: "Lo sviluppo locale nasce dalla capacità di una comunità di valorizzare le proprie risorse specifiche, quelle che la rendono unica e irripetibile". E cosa rende Agrigento unica se non la sua storia millenaria?

 

 

Uno sguardo al futuro

Il 2025 come Capitale della Cultura rappresenta per Agrigento un appuntamento con la storia. Non si tratta di un premio già acquisito, ma di una responsabilità da onorare. Le criticità attuali non cancellano tremila anni di grandezza, ma costituiscono la sfida da affrontare con gli strumenti della cultura.

 

Come scrisse Salvatore Quasimodo, altro Nobel siciliano: "Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera". La brevità del tempo umano rispetto alla lunga durata della storia ci ricorda che le difficoltà del presente sono transitorie, mentre il patrimonio culturale resta. I templi di Agrigento hanno attraversato guerre, terremoti, dominazioni, incuria: sono ancora lì, testimoni perenni di una civiltà che non muore.

 

 

Capitale della cultura nonostante le sue criticità

Agrigento merita il titolo di Capitale della Cultura non nonostante i suoi problemi, ma in un certo senso anche grazie ad essi. Perché questa città ci insegna che la cultura vera, profonda, stratificata nei secoli, non è questione di efficienza amministrativa o di perfezione gestionale. È questione di identità, di memoria collettiva, di tracce indelebili lasciate dall'umanità nel suo passaggio sulla terra.

 

Le insufficienze e le criticità di oggi sono contingenti, modificabili, superabili. La Valle dei Templi, l'opera di Pirandello, la memoria di Sciascia, la stratificazione di civiltà che hanno fatto di questa terra un crocevia del Mediterraneo: tutto questo è permanente, costitutivo, irrinunciabile.

 

Come scrisse Gesualdo Bufalino, ancora un altro grande intellettuale siciliano: "La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo... Ma è anche il paese dove, in pieno centro, si alzano colonne di templi greci... ". In questa coesistenza di natura e cultura, di difficoltà e bellezza, di passato glorioso e presente complicato, sta l'essenza di Agrigento.

 

Il titolo di Capitale della Cultura 2025 non cancella i problemi, ma li colloca nella giusta prospettiva: sono ostacoli da superare, non condanne definitive. Perché una città che ha attraversato tremila anni di storia, che ha dato i natali a un Premio Nobel, che custodisce uno dei patrimoni archeologici più importanti al mondo, che è stata cantata da poeti e pensatori di ogni epoca, ha in sé le risorse spirituali per rigenerarsi.

 

La cultura è resistenza, è memoria, è identità. E Agrigento, con tutte le sue contraddizioni, è cultura nella sua forma più pura e autentica.

 

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