Quando si pensa ad Agrigento,
l'immagine che si materializza nella mente è quella di colonne doriche
stagliate contro il cielo azzurro della Sicilia, templi millenari che hanno
sfidato i secoli, testimoni silenziosi di una civiltà che ha illuminato il
Mediterraneo. Eppure, questa città straordinaria si trova oggi a fare i conti
con una realtà ben diversa: strade dissestate, servizi pubblici inefficienti,
criticità infrastrutturali che sembrano stonare drammaticamente con il titolo
prestigioso di Capitale Italiana della Cultura 2025.
Ma è proprio questa apparente
contraddizione a rivelare una verità profonda: la grandezza di un luogo non
risiede soltanto nella sua gestione amministrativa contingente, ma nella
stratificazione millenaria di storia, arte e cultura che ha plasmato la sua
identità. Come scrisse Goethe nel suo celebre "Viaggio in Italia":
"Chi ha visto l'Italia, in particolare la Sicilia, possiede un'immagine
che non può essere cancellata". E Agrigento rappresenta forse più di ogni
altra città siciliana questa incancellabilità della memoria storica.
La Valle dei Templi, un patrimonio che parla
all'umanità
La Valle dei Templi non è
semplicemente un sito archeologico: è un libro di pietra che racconta tremila
anni di storia mediterranea. Qui, nel V secolo a.C., sorgeva Akragas, una delle
più potenti e ricche città della Magna Grecia. Il poeta Pindaro la definiva
"la più bella tra le città dei mortali", e chi ha avuto il privilegio
di passeggiare lungo la via Sacra al tramonto, quando la pietra calcarea dei
templi si tinge di oro, comprende che quelle parole non erano semplice
retorica.
Il Tempio della Concordia, uno degli
edifici dorici meglio conservati al mondo, rappresenta un capolavoro di armonia
architettonica che ha attraversato venticinque secoli praticamente intatto. La
sua sopravvivenza miracolosa - dovuta alla trasformazione in basilica cristiana
nel VI secolo - è essa stessa una metafora della resilienza culturale di questa
terra. Come scrisse lo storico dell'arte Cesare Brandi: "Il valore di
un'opera d'arte non sta solo nella sua materia, ma nel suo essere testimone del
passaggio dell'uomo sulla terra".
Il Tempio di Giunone, quello di
Ercole, i resti colossali del Tempio di Zeus Olimpico con i suoi telamoni -
figure antropomorfe alte sette metri e mezzo - tutto questo patrimonio non
appartiene soltanto ad Agrigento, ma all'intera umanità. Non a caso l'UNESCO ha
riconosciuto la Valle dei Templi come Patrimonio dell'Umanità nel 1997,
certificando un valore universale eccezionale che nessuna buca stradale o
problema di raccolta rifiuti può minimamente intaccare.
Una storia che attraversa i millenni
Ma Agrigento non è solo archeologia
greca. La città porta su di sé i segni tangibili di ogni civiltà che ha
dominato il Mediterraneo. Dopo la conquista romana nel 210 a.C., la città
conobbe un periodo di rinnovata prosperità. Il quartiere ellenistico-romano,
con le sue domus affrescate e i mosaici policromi, racconta di una società
cosmopolita e raffinata.
Poi vennero i bizantini, gli arabi, i
normanni, gli svevi, gli angioini, gli aragonesi: ogni dominazione ha lasciato
un'impronta indelebile. La Cattedrale di San Gerlando, fondata nel 1093 dal
vescovo normanno Gerlando, è un palinsesto architettonico dove si sovrappongono
stili diversi, dal normanno al gotico-catalano, dal barocco al neoclassico.
Come osservò lo storico Fernand Braudel: "Il Mediterraneo è mille cose
insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un
susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma civiltà accatastate le une sulle
altre".
Il centro storico medievale, con il
suo dedalo di vicoli stretti e ripidi, le chiese barocche, i palazzi nobiliari,
rappresenta un patrimonio monumentale di straordinario valore. La Chiesa di
Santa Maria dei Greci, edificata su un tempio dorico del V secolo a.C.,
sintetizza perfettamente questa stratificazione millenaria: le colonne doriche
sono ancora visibili all'interno della chiesa cristiana, in un abbraccio tra
paganesimo e cristianesimo che racconta la continuità della presenza umana in
questi luoghi.
La cultura immateriale, Pirandello e l'anima
agrigentina
Agrigento non è soltanto pietre
antiche. È anche, e soprattutto, la patria di Luigi Pirandello, Premio Nobel
per la Letteratura nel 1934. Nato nel 1867 in contrada Caos, alle porte della
città, Pirandello portò con sé per tutta la vita l'imprinting di questa terra
aspra e luminosa. La sua opera - dai romanzi ai drammi teatrali - è pervasa da
quella che potremmo definire una "sicilianità esistenziale": il senso
del paradosso, la percezione dell'instabilità delle identità, la consapevolezza
della maschera sociale.
"Ciascuno si racconcia la verità
a modo suo", scrisse in "Così è (se vi pare)", e questa
relativizzazione della realtà ha forse radici proprio nell'esperienza di una
terra dove convivono grandezza monumentale e miseria quotidiana, splendore del
passato e difficoltà del presente. Come ebbe a dire lo stesso Pirandello:
"La vita o si vive o si scrive: io non l'ho mai vissuta, se non
scrivendola".
La casa natale di Pirandello, oggi
museo, e il "pino solitario" sotto cui volle essere cremato secondo
le sue ultime volontà, sono luoghi di pellegrinaggio letterario per studiosi e
appassionati da tutto il mondo. Questo patrimonio immateriale - la memoria di
un genio che ha rivoluzionato il teatro mondiale - vale quanto qualsiasi tempio
antico.
Leonardo Sciascia e lo sguardo critico sulla
Sicilia
Un altro figlio illustre di questa
terra, seppur nato nella vicina Racalmuto, fu Leonardo Sciascia, che ad
Agrigento visse e insegnò per anni. Scrittore scomodo, intellettuale rigoroso,
Sciascia dedicò la sua opera a una spietata analisi della società siciliana,
dei suoi mali endemici, delle sue contraddizioni. Libri come "Il giorno
della civetta", "A ciascuno il suo", "Todo modo" sono
pietre miliari della letteratura italiana del Novecento.
Sciascia non fu certo un cantore
acritico della Sicilia. Al contrario, ne denunciò con lucidità feroce i vizi,
l'omertà, il clientelismo, la corruzione. Eppure, proprio questo sguardo
critico rappresenta una forma superiore di amore per la propria terra. Come
scrisse ne "La Sicilia come metafora": "La Sicilia ha avuto la
sorte ritrovarsi a essere una metafora: della condizione umana a livello
universale, come luogo dell'anima, come esperienza compiuta".
Le difficoltà di oggi che Agrigento
si trova ad affrontare - dalla gestione urbana alle infrastrutture - erano già
presenti, in forme diverse, ai tempi di Sciascia. Eppure questo non impedì alla
città di continuare a produrre cultura, pensiero, bellezza. La letteratura di
Sciascia ci insegna che riconoscere i problemi non significa arrendersi ad
essi, ma è il primo passo per superarli.
Andrea Camilleri e la memoria collettiva
Anche Andrea Camilleri, il creatore
del Commissario Montalbano che ha fatto conoscere la Sicilia a milioni di
lettori in tutto il mondo, aveva legami profondi con Agrigento. Nato a Porto
Empedocle (la Vigàta dei suoi romanzi), Camilleri trasse da questa terra la
linfa per le sue storie: quel mix inconfondibile di tragedia e commedia, di
amarezza e ironia, di denuncia sociale e umanità profonda.
Camilleri scrisse: "La Sicilia è
una terra che non ti lascia scelta: o la ami o la odi. Ma anche se la odi, non
puoi fare a meno di pensarci". Questa ambivalenza - tra amore e
frustrazione, tra orgoglio e critica - è forse la chiave per comprendere il
rapporto tra Agrigento e il suo destino di Capitale della Cultura.
Il paradosso necessario, bellezza e degrado
Sarebbe ipocrita negare le criticità
che Agrigento si trova ad affrontare. I problemi sono reali, documentati, sotto
gli occhi di tutti: il dissesto idrogeologico che minaccia intere porzioni del
centro storico, le carenze nei servizi, le difficoltà di gestione del
territorio. Eppure, proprio questo contrasto stridente tra magnificenza del
patrimonio e insufficienze dell'amministrazione quotidiana può diventare un
elemento di riflessione culturale profonda.
Come scrisse il filosofo Walter
Benjamin: "Non c'è documento di cultura che non sia al tempo stesso
documento di barbarie". Agrigento incarna questa dialettica in modo
paradigmatico. La sua nomina a Capitale della Cultura non è un premio per
l'efficienza amministrativa, ma il riconoscimento di un valore culturale
oggettivo, stratificato, indiscutibile.
Il titolo di Capitale della Cultura
dovrebbe essere visto come un'opportunità, un catalizzatore di cambiamento. Non
si tratta di nascondere i problemi sotto il tappeto della retorica celebrativa,
ma di usare la cultura come leva per il riscatto. Come disse Antonio Gramsci:
"La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa
di possesso della propria personalità".
Il ruolo della cultura nel riscatto sociale
La storia ci insegna che le grandi
trasformazioni urbane e sociali sono spesso partite proprio dal riconoscimento
del valore culturale. Pensiamo a città come Matera, anche essa un tempo simbolo
di arretratezza e degrado, che attraverso il riconoscimento UNESCO e poi la
nomina a Capitale Europea della Cultura 2019 ha vissuto una rinascita
straordinaria. O Palermo, che nel 2018, proprio come Capitale Italiana della
Cultura, ha avviato processi virtuosi di recupero e valorizzazione.
Agrigento ha in sé tutte le
potenzialità per seguire un percorso simile. Il suo patrimonio artistico e
archeologico è di valore immenso, il paesaggio culturale unico al mondo. La
sfida è trasformare questo patrimonio in un motore di sviluppo sostenibile, che
crei occupazione qualificata, attiri investimenti intelligenti, migliori la
qualità della vita dei residenti.
Come sosteneva l'economista Giacomo
Becattini, teorico dei distretti industriali: "Lo sviluppo locale nasce
dalla capacità di una comunità di valorizzare le proprie risorse specifiche,
quelle che la rendono unica e irripetibile". E cosa rende Agrigento unica
se non la sua storia millenaria?
Uno sguardo al futuro
Il 2025 come Capitale della Cultura
rappresenta per Agrigento un appuntamento con la storia. Non si tratta di un
premio già acquisito, ma di una responsabilità da onorare. Le criticità attuali
non cancellano tremila anni di grandezza, ma costituiscono la sfida da
affrontare con gli strumenti della cultura.
Come scrisse Salvatore Quasimodo,
altro Nobel siciliano: "Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da
un raggio di sole: / ed è subito sera". La brevità del tempo umano
rispetto alla lunga durata della storia ci ricorda che le difficoltà del
presente sono transitorie, mentre il patrimonio culturale resta. I templi di
Agrigento hanno attraversato guerre, terremoti, dominazioni, incuria: sono
ancora lì, testimoni perenni di una civiltà che non muore.
Capitale
della cultura nonostante le sue criticità
Agrigento merita il titolo di
Capitale della Cultura non nonostante i suoi problemi, ma in un certo senso
anche grazie ad essi. Perché questa città ci insegna che la cultura vera,
profonda, stratificata nei secoli, non è questione di efficienza amministrativa
o di perfezione gestionale. È questione di identità, di memoria collettiva, di
tracce indelebili lasciate dall'umanità nel suo passaggio sulla terra.
Le insufficienze e le criticità di
oggi sono contingenti, modificabili, superabili. La Valle dei Templi, l'opera
di Pirandello, la memoria di Sciascia, la stratificazione di civiltà che hanno
fatto di questa terra un crocevia del Mediterraneo: tutto questo è permanente,
costitutivo, irrinunciabile.
Come scrisse Gesualdo Bufalino,
ancora un altro grande intellettuale siciliano: "La Sicilia è il paese
delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un
profumo... Ma è anche il paese dove, in pieno centro, si alzano colonne di
templi greci... ". In questa coesistenza di natura e cultura, di difficoltà
e bellezza, di passato glorioso e presente complicato, sta l'essenza di
Agrigento.
Il titolo di Capitale della Cultura
2025 non cancella i problemi, ma li colloca nella giusta prospettiva: sono
ostacoli da superare, non condanne definitive. Perché una città che ha
attraversato tremila anni di storia, che ha dato i natali a un Premio Nobel,
che custodisce uno dei patrimoni archeologici più importanti al mondo, che è
stata cantata da poeti e pensatori di ogni epoca, ha in sé le risorse
spirituali per rigenerarsi.
La cultura è resistenza, è memoria, è
identità. E Agrigento, con tutte le sue contraddizioni, è cultura nella sua
forma più pura e autentica.
Complimenti!
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