“Non vedo l’intera immagine di questo mosaico per adesso,” mi scrive una suora amica. “Ma so che ogni persona incontrata è una tessera che Dio ha voluto.”
Le Sacramentine di via dei Ruffi sono state il primo incontro nel cuore nascosto
della città. Occhi limpidi e sorrisi accesi ci hanno accolto con una pace
silenziosa. “Abbiamo pregato per voi”, ci hanno detto, e l’abbiamo sentito. Più
che parlare, ci hanno consegnato la loro presenza. Qui padre Carmine Mazza,
provinciale dei Padri Teatini, artefice e guida di questo singolare
pellegrinaggio, ha celebrato la messa, e in quel momento sacro si sono
intrecciati canto e silenzio, parola e contemplazione. Le voci delle suore si
alzavano come incenso. Mentre Napoli fuori si risvegliava vociante dal suo
torpore notturno, loro dentro sussurravano Dio. La celebrazione eucaristica ha
trasformato quello spazio in una cattedrale dell’anima, dove ogni gesto
liturgico risuonava di un’intimità profonda.
“Mi ha lasciato un profondo senso di serenità e sicurezza”, mi ha confidato
Teresa al termine della visita. “Prima pensavo che le monache di clausura
avessero compiuto una scelta personale, quasi chiusa in se stessa. Ora invece
comprendo che il loro ruolo è prezioso: pregano per tutti noi, colmando con la
loro preghiera quel vuoto che spesso lasciamo, presi come siamo dalle nostre
occupazioni quotidiane”.
Poi le Carmelitane Scalze ai Ponti Rossi. Salita dura. Sudore. Sole che
spacca la pietra. Ma la fatica svanisce appena ci aprono. Una voce e un volto
sorridente ci accoglie. Da dietro la grata è la superiora del convento, suor Gigliola,
a parlarci. Sguardi chiari, voce sottile e una dolcezza che disarma. Le suore
vivono nel silenzio, ma quel silenzio è abitato. È denso, come l’incenso della
loro preghiera costante.
Terza tappa: le Passioniste. È qui che la luminosità cambia. Chiesa
moderna e baciata dal sole. Ci accoglie la superiora suor Giuliana. Ci parla dell’amore
crocifisso, ma lo fa col sorriso sulle labbra perché quella che narra è una
storia d’amore, non di morte. In una sala adiacente hanno imbandito una
ricchissima tavola per noi. Dolci, frutta e tanto altro. Le troviamo schierate
gioiose nei loro abiti neri. Siamo loro ospiti. Ridono, ci affidano alla
Vergine e ci chiedono preghiere. Per loro, per il mondo. E per chi ha sete di
senso. Mentre colmano la nostra sete e non solo d’acqua.
“Scherzando, ho detto a tutti che saremmo andati dalle suore ‘Passioniste’
che sono chiamate così perché coltivano molte passioni. Devo ammettere che, in
verità, non ci ero andata lontana. Quelle suorine col volto illuminato da un
infinito sorriso una passione divorante la coltivano: l’amore per il Signore.
Un amore vero, concreto che si tocca in ogni loro gesto e parola. Per me è
stata una grande sorpresa. Ho desiderato di rimanere con loro e chissà che un
giorno…” ha detto Rita, mentre ci lasciavamo alle spalle il loro monastero.
Scendendo, incontriamo le Urbaniste. La famiglia francescana ha molti rami. Monastero
antico, atmosfera raccolta, quasi sospesa nel tempo. Una delle sorelle, suor Antonietta,
con voce quasi flebile, ci racconta del loro carisma francescano: vivere in
povertà, fraternità e preghiera. Dietro la grata, parole leggere. “Il Signore
ci conduce”, ci dice. Anche qui, nessuna fretta, solo uno spazio in cui Dio può
parlare.
Quinta sosta: Santa Chiara, la regina dei chiostri. A pochi passi, i turisti
sciamano nel cortile maiolicato, ma a noi interessano le Clarisse. Da dietro la
grata si affacciano con il sorriso sul volto; insieme a loro, suor Nunzia, la
superiora, e una gioia contagiosa che riempie tutta la stanza. Raccontano, ma
soprattutto chiedono. Curiose di ognuno di noi e delle nostre storie. Aprono le
orecchie e anche il cuore. La loro preghiera è una presenza che abbraccia
tutto, come una fragranza nascosta. Qui, più che altrove, il mosaico comincia a
prendere forma: si intuisce che ogni frammento ha un posto, anche quelli che
sembrano insignificanti.
Ultima tappa: le Cappuccine delle Trentatré. Entriamo accolti con
gratitudine. La chiesa dallo stile austero è immersa nella penombra del
pomeriggio. Un po’ di frescura alla fine del nostro pellegrinaggio. Ci accoglie
una di loro, non ci parla da dietro una grata, ma è davanti a noi. Suor Pia ha
gli occhi vivaci come quelli di chi ha un’intelligenza mai paga. Spiega ma sollecita
anche domande. Al polso destro porta due braccialetti. Forse una piccola vanità
a cui non vuole rinunciare nel ritmo austero della vita del monastero. Sorride,
guarda, quasi scruta.
“Per me è stato un cammino di conoscenza. Di persone, di luoghi, di
sentieri... ma, soprattutto, di me stessa. Mai avrei immaginato di poter
percorrere tanta strada a piedi, sotto un sole cocente, accanto a persone che
nemmeno conoscevo. Eppure è successo. D’altronde, come dice Gesù: ‘Il mio giogo
è dolce e il mio peso è leggero.’ E davvero è così: la fatica, condivisa con
gli altri, si è trasformata in bellezza e gioia”, mi ha raccontato Anna, una
delle partecipanti, mentre affrontavamo l’ultimo pezzo di strada.
Durante il cammino, mi è tornato quanto detto da suor Maria Caterina, monaca
sacramentina, che spiegava con cura la storia e la missione delle loro
comunità: “Il fine escatologico della nostra vita è quello di sottolineare agli
uomini il fine della loro vita che è quello di entrare nell’amore del Padre.
Sant'Agostino, nostro padre, diceva ‘per correre bisogna conoscere la meta’ e
noi abbiamo il dovere di mostrare la meta perché il mondo corra verso la
comunione con Dio”.
Scriveva ancora la mia amica suora, quella dell’inizio di questa sgangherata
cronaca: “In Cristo, la vera vicinanza supera le parole, e la vita è un mosaico
formato da tutte le persone che Dio ci dona per accompagnarci nel cammino. Io
sono un mosaico di tutte le persone che ho incontrato. E lo sei anche tu. Noi
tutti lo siamo”.
E noi? Siamo tornati bruciati dal sole, certo. Ma anche segnati da quel bagliore
sottile. Più leggeri. Non più devoti, forse, ma più consapevoli. Di una verità
semplice: Dio sta componendo un mosaico. Non possiamo vederlo tutto, ma ci è
dato di esserne parte. Napoli ce l’ha insegnato. Con i suoi monasteri, le sue
grate, le sue suore luminose. Con il sole che scotta fuori… e scalda dentro.
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