“Il cuore oltre la tonaca. Un'inchiesta sui preti che lasciano il ministero per amore e su quelli che tornano” di Davide Romano

Nella penombra di un sobrio appartamento romano, un amico prelato, che è anche un
validissimo giornalista, mi mostra una cartellina che contiene numeri che fanno
riflettere. In trentacinque anni, dal 1990 a oggi, sono stati 11.213 i
sacerdoti che sono "tornati" al ministero attivo, a fronte di circa
57.000 che hanno ottenuto la dispensa dagli obblighi derivanti
dall'ordinazione. Un prete su cinque, dunque, ripensa alla sua scelta.
"Non è poco", commenta il sacerdote con quella pacatezza che da sempre
caratterizza gli uomini di Chiesa quando parlano delle loro ferite più
profonde.
Le storie dietro questi numeri sono tutte diverse, ma spesso hanno un
denominatore comune: l'amore per una donna. "Sarebbe sbagliato e ingiusto
ridurre tutto a una questione sentimentale", dichiara monsignor Francesco
Coccopalmerio, già presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi.
"Ma sarebbe altrettanto sbagliato negare che il cuore umano, anche quello
di un prete, può battere per ragioni che vanno oltre la vocazione
sacerdotale".
Il caso che ha fatto
discutere
Il caso più eclatante degli ultimi anni è quello di Xavier Novell Gomá,
vescovo emerito di Solsona, sospeso a divinis nel 2021 per aver contratto
matrimonio civile con una sessuologa autrice di romanzi erotici. Una storia che
ha fatto il giro del mondo e che, secondo alcuni vaticanisti, ha rappresentato
un punto di svolta nel modo in cui la Chiesa affronta questi casi.
"Il caso Novell ci ha insegnato che non si può più far finta di
niente", mi confida un alto prelato del Dicastero per il Clero che
preferisce rimanere anonimo. "La trasparenza è diventata un valore
irrinunciabile, anche quando si tratta di situazioni imbarazzanti".
Ma Xavier Novell non è il primo né sarà l'ultimo. Negli archivi vaticani si
conservano migliaia di richieste di dispensa, molte delle quali accompagnate da
lettere private che raccontano storie di uomini in tonaca alle prese con il
proprio cuore.
Le storie di chi se ne va
Don Marco (il nome è di fantasia per tutelare la privacy) aveva trentadue
anni quando ha incontrato Silvia durante una festa patronale nel suo paesino
dell'Umbria. Lei era la coordinatrice dell'oratorio, lui il parroco. "È
stato come un fulmine a ciel sereno", mi racconta al telefono da una città
del Nord Italia dove oggi lavora come insegnante. "Per mesi ho lottato
contro i miei sentimenti, poi ho capito che stavo mentendo a me stesso e ai
miei fedeli".
La sua storia è simile a quella di centinaia di altri sacerdoti che ogni
anno in Italia chiedono la dispensa dal celibato. Un fenomeno che, secondo i
dati del Ministero dell'Interno, coinvolge mediamente una quarantina di preti
all'anno, di cui la metà dichiara esplicitamente di voler contrarre matrimonio.
"La Chiesa ha sempre saputo che il celibato è una disciplina e non un
dogma", spiega il cardinale Luis Ladaria, prefetto emerito del Dicastero per la Dottrina della Fede. "Ma questo non significa che sia
una questione da prendere alla leggera. Ogni caso è una piccola tragedia umana
che va affrontata con misericordia e discernimento".
Chi torna indietro
Più sorprendente del fenomeno di chi se ne va è quello di chi torna. Don
Alberto (anche questo è un nome di fantasia) aveva lasciato il ministero per
sposare una vedova con due figli. Dopo cinque anni di matrimonio, ha bussato
alla porta del vescovo chiedendo di essere riammesso. "Non è che non
amassi mia moglie", spiega. "Ma sentivo che Dio mi stava chiamando di
nuovo, in modo ancora più forte di prima".
La sua storia non è isolata. Secondo le statistiche vaticane, il fenomeno
del "ritorno" interessa circa il 20% di chi ha ottenuto la dispensa.
"È un dato che fa riflettere", osserva il sociologo Marco Marzano,
autore di diversi studi sul clero italiano. "Suggerisce che la vocazione
sacerdotale abbia radici più profonde di quanto si possa immaginare".
Il caso di Ischia
Recentemente ha fatto discutere il caso di un parroco di Ischia, che ha
portato alla ribalta la questione dei preti sposati. Come spesso accade, dietro
le polemiche si nascondono storie umane complesse che meritano rispetto e
comprensione.
"Le polemiche non hanno senso quando c'è trasparenza", commentano
alcuni rappresentanti dei preti sposati, che vedono in questi casi
un'opportunità per aprire un dialogo costruttivo con la Chiesa. "Potremmo
essere ricchezza nella Chiesa", sostengono, proponendo un modello di
collaborazione che non metta in discussione il celibato ma che riconosca il
valore dell'esperienza matrimoniale.
Il magistero di Papa
Francesco
Papa Francesco aveva affrontato la questione del celibato sacerdotale con
l'equilibrio e l'onestà che lo caratterizzavano. In un messaggio ai seminaristi francesi aveva scritto: "L'esigenza del celibato non è innanzitutto teologica, ma
mistica: chi può capire, capisca!". Una frase che, secondo molti
vaticanisti, aveva aperto spazi di riflessione prima impensabili.
Il Pontefice aveva più volte ribadito che "il celibato sacerdotale non è
un dogma di fede ma una regola di vita", lasciando intendere che
avrebbero potuto esserci spazi per un ripensamento, almeno in casi particolari.
Durante il Sinodo Panamazzonico, la proposta di ordinare sacerdoti uomini
sposati per far fronte alla carenza di clero aveva trovato ascolto, anche se poi
non era stata implementata.
"Francesco ha avuto il merito di aver riportato la discussione sul piano
pastorale", osserva il vaticanista Andrea Tornielli. "Non si tratta
di abolire il celibato, ma di affrontare con realismo le situazioni concrete
che si presentano".
Il nuovo pontefice, Leone XIV, non ha ancora avuto modo di toccare l’argomento, avendo iniziato da poco il suo ministero, ma siamo curiosi di sapere quale sia il suo pensiero in merito.
La formazione, questo è il
problema
Tutti gli esperti che ho interpellato concordano su un punto: il problema
non è il celibato in sé, ma la formazione. "Troppo spesso i seminaristi
arrivano all'ordinazione senza aver mai fatto i conti seriamente con la propria
affettività", spiega lo psicologo Amedeo Cencini, dell'Università
Gregoriana.
La conferma arriva dai numeri: la maggior parte delle crisi avviene nei
primi dieci anni di ministero, quando il prete si trova a confrontarsi con la
realtà parrocchiale e con le proprie fragilità umane. "È in questo periodo
che emergono le carenze formative", osserva monsignor Coccopalmerio.
Un dibattito aperto
La discussione sui preti sposati non è più un tabù. "Che problema c'è?", si chiede qualcuno. "Il matrimonio è un sacramento. Il celibato è una disciplina e non una dottrina di fede. Ordinare preti persone sposate idonee non annulla la presenza di preti celibi", dichiarata un prelato impegnato da anni in terra di missione.
È una posizione che trova sostenitori anche all'interno della Chiesa, soprattutto tra chi lavora in territori di missione dove la carenza di sacerdoti è drammatica. "Il celibato rimane un carisma molto apprezzato. Sono due scelte diverse, e una non va contro l'altra", gli fa eco un collega anche lui impegnato ina partibus infidelium da molto tempo.
Ma c'è anche chi difende strenuamente la tradizione. "Il celibato non
è solo una disciplina", spiega il cardinale Robert Sarah, prefetto emerito
della Congregazione per il Culto Divino. "È un segno della radicalità
evangelica, una testimonianza che la Chiesa non può permettersi di
perdere".
Le donne nell'ombra
Dietro ogni storia di prete che lascia il ministero c'è spesso una donna
che ha accettato di condividere un percorso difficile e pieno di incognite.
Silvia, la compagna di don Marco, mi racconta al telefono: "Non è stato
facile. Le persone ti guardano come se fossi una tentatrice, come se avessi
rovinato la vita a un santo. Ma l'amore non si comanda".
Anche le mogli degli ex preti che sono tornati al ministero hanno le loro
storie da raccontare. Maria, ex moglie di don Alberto, ha accettato
l'annullamento del matrimonio religioso e oggi è catechista nella sua
parrocchia. "Non provo rancore", dice. "Ho capito che quello era
il suo destino. E in qualche modo sono orgogliosa di aver fatto parte del suo
cammino".
I figli dimenticati
Un aspetto spesso trascurato è quello dei figli nati da questi matrimoni.
Secondo le stime, si tratterebbe di alcune migliaia di bambini e ragazzi che
vivono la peculiare condizione di essere figli di ex preti. "È una realtà
di cui la Chiesa dovrebbe occuparsi di più", osserva la sociologa Roberta
Ricucci, dell'Università di Torino.
Alcuni di questi ragazzi crescono con un rapporto particolare con la fede,
altri se ne allontanano definitivamente. "Dipende molto da come i genitori
gestiscono la situazione", spiega la psicologa dell'età evolutiva Anna
Oliverio Ferraris.
Le prospettive future
Cosa succederà nei prossimi anni? Le opinioni sono divise. C'è chi prevede
un'apertura graduale, almeno in alcuni contesti geografici, e chi invece è
convinto che il celibato rimarrà una caratteristica distintiva del clero
latino.
"La Chiesa cambia, ma cambia lentamente", osserva il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.. "È possibile che in futuro si trovino soluzioni più articolate, che tengano conto delle diverse esigenze pastorali".
Una cosa è certa: il dibattito è aperto e coinvolge non solo i teologi ma
anche i fedeli. "È giusto che se ne parli", dice don Antonio, parroco
di una grande parrocchia romana. "Purché si faccia con rispetto per la
Chiesa e per le persone coinvolte".
Epilogo
Mentre scrivo queste righe, penso alle tante storie che ho raccolto in
queste settimane di inchiesta. Storie di uomini e donne che hanno cercato di
conciliare l'amore umano con quello divino, non sempre riuscendoci. Storie che
parlano di fragilità, ma anche di grandezza d'animo.
La Chiesa, come sempre, si trova a dover navigare tra tradizione e
innovazione, tra fedeltà al Vangelo e compassione per le debolezze umane. È una
navigazione difficile, che richiede saggezza e tempo. Ma è anche una
navigazione necessaria, perché dietro ogni numero, dietro ogni statistica, ci
sono volti e cuori che meritano rispetto e comprensione.
"Dio scrive diritto anche sulle righe storte", dicevano i nostri
nonni. Forse è proprio questo il senso di queste storie apparentemente
contraddittorie: la testimonianza che l'amore, in tutte le sue forme, può
essere una strada verso la verità. Anche quando quella strada passa attraverso
errori e ripensamenti che, visti con gli occhi della fede, potrebbero non
essere errori ma tappe di un cammino più grande di noi.
Va' dove ti porta il cuore...
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