“I politici italiani e la fede. Tra crocifissi in Parlamento e confessioni last minute” di Davide Romano
Parliamo di fede, che per i politici italiani è un po' come l'ombrello: lo tirano fuori solo quando piove. Quando serve. Quando si deve andare in televisione e fare appello alla “tradizione cristiana”, magari con una mano sul petto e un occhio ai sondaggi. Il rapporto tra i nostri rappresentanti e la fede è di quelli vaghi, incerti, pieni di pie intenzioni ma scarse azioni concrete. Tutti cristiani, almeno a parole, ma nei fatti… beh, nei fatti la fede è una comparsa di cui si ricordano solo nei momenti elettorali.
Fede di comodo
La
prima cosa che salta all’occhio è la strumentalità. Crocifissi e Bibbia
diventano simboli da sventolare a destra e a sinistra (ma soprattutto a
destra), utili per galvanizzare gli elettori di una certa età, quelli che non
si fidano dei politici “laici”. Si vedono ancora certi leader farsi il segno
della croce davanti alle telecamere, baciando rosari come se fossero talismani
elettorali. Già nel 1955, il grande teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer aveva
detto: “La fede non è un
paravento dietro cui nascondersi, ma una forza che ti costringe a guardare in
faccia la realtà”. Ma ai politici italiani, la fede come forza
morale non interessa: per loro è solo scenografia.
E
come non ricordare quella volta che Silvio Berlusconi, durante una visita
ufficiale in Israele, si definì "il miglior amico del popolo
ebraico", salvo poi farsi il segno della croce durante la conferenza
stampa? Doppio salto mortale teologico. Ma l’importante era non scontentare
nessuno. “Gli italiani sono
pronti a credere in tutto, purché non li si costringa a pensarci troppo”,
scriveva Umberto Eco, sintetizzando l’ambiguità di un popolo che vive la fede
con la stessa superficialità con cui segue una partita di calcio.
La fede come arma politica
Oggi,
la politica italiana si gioca anche sui simboli religiosi. C’è chi, come Matteo
Salvini, ha fatto della fede un brand, una sorta di crociata moderna contro il
relativismo e l'immigrazione. Con il rosario stretto tra le mani, Salvini si
presenta come il difensore dei "valori cristiani", nonostante, come
qualcuno gli ha ricordato, l’unico Vangelo che sembra conoscere sia quello
secondo sondaggi. Come scriveva il filosofo tedesco Max Weber: “La religione diventa una potenza
pericolosa quando diventa strumento del potere politico”. Salvini
ha colto al volo questo insegnamento, usando la fede come clava contro
avversari e nemici immaginari.
Ma
non è certo l’unico. Giorgia Meloni ha più volte dichiarato la sua fede
cattolica, pur mantenendo una certa distanza da cerimonie ostentate. “Dio, patria e famiglia”, è
lo slogan che riecheggia nelle piazze. Ma, come sottolinea il teologo Vito
Mancuso, “la fede non può
essere ridotta a un vessillo di appartenenza ideologica”. La
religione, per i politici italiani, è come una bandiera: la si sventola quando
fa comodo, ma poi si ripone nel cassetto fino alla prossima occasione.
La fede e la coerenza (che manca)
Ma
se andiamo oltre gli slogan, quanti politici italiani si comportano davvero da
credenti? Guardiamo ai fatti: le condotte personali, le inchieste giudiziarie,
la corruzione dilagante. Le parole di San Paolo, “la fede senza le opere è morta” (Lettera di
Giacomo 2:26), sembrano non aver mai raggiunto Montecitorio. Se la Bibbia ci
insegna qualcosa, è che non basta dichiararsi cristiani: bisogna vivere secondo
quei valori. Ma quanti dei nostri politici possono dire di farlo?
Ricordiamo
l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, che in pubblico si professava fervente
cattolico, mentre in privato veniva coinvolto in inchieste di malaffare. O
l’incredibile caso di Francesco Cossiga, il “picconatore”, che negli ultimi
anni di vita dichiarava di recitare ogni giorno il rosario. Cossiga era sicuramente
un personaggio complesso, e la sua fede, almeno quella finale, sembrava
sincera. Ma viene da chiedersi se non ci sia stato anche un tentativo di
redimere, post factum, una vita politica fatta di ombre e manovre oscure. Come
osservava il filosofo francese Blaise Pascal: “Gli uomini non fanno mai il male così completamente e con
tanto entusiasmo come quando lo fanno per motivi religiosi”.
I cattolici della domenica
Il
punto è che la fede, per i politici italiani, è spesso un fatto puramente
estetico. Si tirano in ballo i “valori cristiani” per giustificare politiche
securitarie o per opporsi ai diritti civili, ma poi tutto finisce lì. “I cattolici italiani sono i migliori nel
rispettare le tradizioni e i peggiori nel mettere in pratica il Vangelo”,
diceva con tagliente ironia lo scrittore Ignazio Silone. Ed è vero: la politica
italiana è piena di cattolici che amano fare sermoni, ma che alla prima
tentazione si dimenticano di essere cristiani.
Pensiamo
a quanti leader si sono espressi contro l’aborto, il divorzio, il matrimonio
tra persone dello stesso sesso, sempre in nome della “difesa dei valori
cristiani”. Ma quando poi si tratta di comportarsi secondo quei valori, magari
aiutando i più poveri, accogliendo i migranti o contrastando la corruzione, ecco
che improvvisamente la Bibbia diventa un testo un po’ meno rilevante. Come
scriveva il cardinale Carlo Maria Martini: “La
politica dovrebbe essere lo spazio dove si incarnano i valori della giustizia e
della solidarietà, ma in Italia la fede serve solo a costruire muri, non a
tendere la mano”.
La fede come specchio delle debolezze
I
politici italiani, in fondo, sono lo specchio del popolo che li vota. Un popolo
che si professa cristiano, ma che pratica la religione in modo distratto e
superficiale, limitandosi a qualche segno di croce e a una messa natalizia.
Come scriveva lo storico francese Jules Michelet: “Il cattolicesimo italiano è un gigantesco compromesso tra
il sacro e il profano”. E così è anche la fede dei nostri leader:
un compromesso tra ciò che si dice e ciò che si fa, tra il Vangelo predicato e
quello vissuto.
La
fede, per la politica italiana, è un abito che si indossa solo nelle occasioni
speciali. E se in campagna elettorale si parla di crocifissi e di radici
cristiane, subito dopo la vittoria quelle stesse radici vengono dimenticate. “Dio è una scusa che usiamo per fare il
nostro comodo”, diceva il grande scrittore siciliano Leonardo
Sciascia. Forse, mai parole furono più vere per descrivere la religione come
viene vissuta dalla classe politica italiana.
Ah, la fede in politica, quel bellissimo accessorio che si tira fuori solo in campagna elettorale, giusto per fare scena. Crocifissi e rosari, usati più per i selfie che per la salvezza dell’anima. I politici italiani sono maestri nel brandizzare la religione: Salvini con il rosario in mano come fosse un gadget, Meloni che sfodera Dio, patria e famiglia come slogan, ma poi la Bibbia la ripongono nel cassetto fino al prossimo comizio. La fede? Solo quando fa comodo, come una cravatta per l’occasione speciale.
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