In principio fu l’invenzione più rivoluzionaria dai tempi della stampa a caratteri mobili. Doveva essere il faro della conoscenza, la piazza dell’incontro, lo strumento che avrebbe abbattuto le distanze, azzerato le ingiustizie dell’informazione. Oggi, a distanza di qualche decennio, Internet è anche altro: un’arena di livori repressi, dove le frustrazioni trovano sfogo nel silenzio protetto da un nickname.
“La libertà è la possibilità di
dubitare, di sbagliare, di cercare e di sperimentare, di dire di no a ogni
autorità letteraria, artistica, filosofica, religiosa, sociale e anche
politica” scriveva Ignazio Silone. E cosa c’è di più “libero” dell’oceano
virtuale dove ciascuno si arroga il diritto di esprimere, senza alcun filtro,
la propria opinione? Peccato che, come notava già Thomas Hobbes, “l’uomo è lupo
per l’uomo”. Sul web, quest’istinto primordiale non si ferma. Si scatena con
una ferocia che, dietro la protezione dell’anonimato, si rende ancora più
pericolosa.
Lontani i tempi in cui si pensava
che il libero accesso alla rete avrebbe elevato il livello culturale delle
masse. “Sapere aude!”, incitava Kant, spronando gli uomini a liberarsi dalla
pigrizia intellettuale. Ebbene, il web ha paradossalmente realizzato l’esatto
contrario: non ci siamo emancipati, ma imprigionati in uno zoo di aggressioni
verbali, disinformazione e insulti. Le bacheche dei social network, le sezioni
dei commenti, le chatroom sono diventate valvole di sfogo per pulsioni che
altrimenti resterebbero compresse nelle pieghe dell’esistenza quotidiana.
Giovanni Sartori, in un’epoca non
sospetta, coniò il termine “homo videns” per indicare l’uomo che vive
attraverso le immagini, perdendo il contatto con la realtà tangibile. Ma oggi
potremmo parlare di “homo digitalis”, un essere che, schermato dietro uno
schermo, si trasforma. Non più un volto, non più un’identità vera, ma solo una
maschera. “Se vuoi conoscere la vera natura di un uomo, dagli una maschera”,
diceva Oscar Wilde. Ed eccolo, l’homo digitalis: senza volto, svela il peggio
di sé.
Se guardiamo ai forum, ai social,
troviamo un campionario di rabbia e disperazione, un esorcismo virtuale contro
l’insicurezza, l’invisibilità, il fallimento personale. Chi mai urlerebbe insulti
al vicino di casa? Eppure sul web, nascosti dietro nomi fittizi, diventiamo
tutti coraggiosi. Sartre aveva ragione quando diceva che “l’inferno sono gli
altri”, ma mai avrebbe potuto immaginare che questi “altri” potessero essere
milioni, connessi tra loro, in uno scambio continuo di ferocia anonima.
Il sociologo Zygmunt Bauman
parlava della “società liquida”, dove i legami sono sempre più fragili, le
relazioni sempre più virtuali. Internet ne è l’emblema: una relazione senza
contatto fisico, senza empatia. Schiavi della nostra immagine digitale, ci
trasformiamo in giudici e carnefici, pronti a scaricare il nostro disagio sugli
altri. “Internet è diventato il nuovo circo romano”, diceva Umberto Eco. Non ci
sono leoni, ma ci sono i leoni da tastiera.
E non pensiamo che questa
aggressività sia limitata agli ignoranti, a chi non ha strumenti culturali per
riflettere. Anche gli “intellettuali” si trasformano in bestie feroci, pronti a
sbranare chiunque dissenta dalle loro posizioni. Perché, come ammoniva Friedrich
Nietzsche, “chi lotta con i mostri deve fare attenzione a non diventare lui
stesso un mostro”. E nel web, tutti possiamo cadere in questa trappola.
La soluzione? Forse, come diceva
Platone, dovremmo tutti imparare a conoscerci meglio prima di parlare. O
meglio, prima di scrivere. Ma in un’epoca in cui la riflessione è scambiata per
debolezza e l’aggressività per forza, forse ci siamo già persi.
In fondo, come diceva ancora
Wilde, “le bugie più crudeli sono spesso dette nel silenzio”. Ma su Internet,
quel silenzio è rotto da miliardi di tastiere che non smettono mai di
ticchettare.
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