C’è chi si scomoda a discorrere sul rapporto tra fede e
ragione, tra peccato e redenzione, e poi c’è chi, col fare da garzone della
spiritualità, decide di fondare la propria chiesa quando viene gentilmente — o
meno — accompagnato alla porta di quella cattolica, ortodossa o protestante che
sia. Una scena degna del miglior Totò: il pastore, anzi l'ex-pastore o
quasi-pastore, che si reinventa imprenditore della fede. Ma la chiesa la “crea
lui”, con tanto di dottrina personalizzata, non sia mai che l’umiltà del
vangelo possa fare troppa ombra.
L’ironia di Montanelli ci verrebbe a pennello: "Qui,
signori, non si tratta di religione. Si tratta di bottega". E che bottega.
Questi venditori di salvezza fai-da-te, espulsi dalle comunità ecclesiastiche
ufficiali per motivi non propriamente "angelici", si riorganizzano
come un rigattiere che, dopo esser stato chiuso dalla polizia per merce
contraffatta, riapre sotto falso nome. Ora la domanda è: il mercato c’è? Ahimè
sì, e non è piccolo.
In principio fu la menzogna
Il problema, caro lettore, è che costoro sanno vendersi bene
(alcuni un po’ meno, a giudicare dai numeri). Come diceva il teologo Dietrich
Bonhoeffer, “Il peccato più grande è sempre stato il tradimento della verità”.
Eppure, in questo nuovo credo fai-da-te, di verità ce n’è ben poca. Certo, il
vangelo resta citato qua e là, giusto per non far scadere la sceneggiata in
farsa del tutto. Ma è proprio l’uso selettivo e strumentale delle Scritture che
rende questo fenomeno una mascherata tragica.
Non c’è nessun Sant’Agostino che si battezza e redime, né
Tommaso d'Aquino che si interroga sull’essenza della fede. No, qui ci sono solo
abili venditori di illusioni. Il filosofo Søren Kierkegaard li avrebbe chiamati
“cavalieri della disperazione”, uomini senza la profondità della fede, ma che
sanno far leva sulla paura e sul bisogno di certezze facili. E così nascono i
“vescovi” e addirittura i “primati” autoproclamati. Figure grottesche che,
senza nessun mandato apostolico, si decorano con titoli altisonanti e croci
pettorali, pastorali e zucchetti, come se fosse una maschera di carnevale. E
chi osa sfidarli? Gli apostoli di questi circhi religiosi, armati di microfoni
e pulpiti improvvisati, o più comodamente della platea beona di Internet e dei
social, gridano alla persecuzione appena qualcuno li contraddice. La verità non
è solo ignorata, è travisata, calpestata.
La religione del
low-cost
E così si fondano chiese, con titoli pomposi: “Chiesa
Universale della Redenzione dell’Anima”, “Chiesa Evangelica Unita” o “Ministero
della Luce Divina”. Roba che al confronto la “Chiesa del Sacro Cuore” sembra
l’ufficio postale di quartiere. Ma come funziona il meccanismo? Semplice. Prima
si fa credere di avere ricevuto una rivelazione personale, o una conoscenza
assoluta e senza macchia della Verità, della Bibbia, poi si costruisce una
dottrina che serve a giustificare il potere del leader (che di solito si autoproclama vescovo o addirittura primate)
e infine si radunano i fedeli, pescando tra i più ingenui o disperati. Insomma,
un’accolita di allocchi.
E qui emerge il lato economico della faccenda. Questi pastori
in esilio non lavorano gratis, ovviamente. In genere, poi a bene vedere, non
hanno neppure un vero mestiere secolare. Anzi, la loro chiesa è sempre alla
ricerca di donazioni, decime, oblazioni e via discorrendo. E mentre predicano
la povertà cristiana, l’assoluta fedeltà al purissimo Evangelo, vivono una vita
che, se non è di lusso, vorrebbe diventarlo. Ricordiamo l’acuto G. K.
Chesterton, che diceva: “La Bibbia insegna che dobbiamo amare sia Dio sia il
nostro prossimo, ma oggi sembra che molti leader religiosi abbiano solo
imparato ad amare se stessi".
La chiesa che si crede
Dio
Non basta la scomunica, il richiamo all’ordine o la
confutazione teologica. Perché questi “vescovi” autoproclamati non temono
nemmeno il ridicolo. Anzi, ne fanno un’arma di propaganda. Come diceva il
teologo Hans Urs von Balthasar, “Ogni eresia nasce da una verità mal compresa o
male applicata”. Qui la verità è non solo fraintesa, ma anche distorta per
giustificare l’esistenza di questi teatrini religiosi.
Così, il "primate" di turno si autoproclama
salvatore di anime, con tanto di croce pettorale e zucchetto viola, senza
dimentica il pastorale e tutto il corredo, mentre la teologia diventa una scusa
per legittimare la propria autorità e, infatti, guai a contraddirlo o a mettere
in discussione la sua autorità perché allora la sua “sacra ira” si scatena
contro il malcapitato che diviene oggetto di vere e proprie contumelie e
falsità diffamatorie. Oltre naturalmente a venire espulso, sovente per
indegnità (non è più degno, infatti, di stare al cospetto dell’augusto
primate).
E il risultato? Una chiesa che non è più chiesa, un pastore
che non è più pastore, ma un attore che recita una parte scritta da lui stesso,
per un pubblico troppo disperato o ingenuo per accorgersene. Ma che importa,
finché il biglietto d’ingresso lo pagano… anche solo quello di
nutrire il suo ipertrofico ego. E noi? Seppelliamoli pure con una risata. Che
affoghino nel ridicolo!
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