"La Chiesa Anglicana al bivio, tra scismi africani e rinascita della vita monastica" di Davide Romano
Cari lettori, vi confesso che osservare la Chiesa Anglicana
in questo autunno del 2025 è come assistere a uno di quei drammi shakespeariani
dove tutti i nodi vengono al pettine contemporaneamente. E siccome gli inglesi
di Shakespeare se ne intendono, viene quasi da pensare che ci sia una simmetria
poetica in questa crisi che scuote un'istituzione nata, ricordiamolo, non per
questioni teologiche ma perché Enrico VIII voleva divorziare.
Il
terremoto di ottobre
Il 3 ottobre 2025 è accaduto qualcosa che avrebbe fatto rivoltare nella tomba non solo Enrico VIII, ma probabilmente anche i suoi sei arcivescovi di Canterbury: per la prima volta nella storia, una donna è stata eletta a reggere quella sede che da cinque secoli rappresenta il cuore dell'anglicanesimo. Sarah Elizabeth Mullally, 63 anni, ex infermiera del servizio sanitario nazionale diventata vescovo, sarà insediata ufficialmente il 25 marzo 2026. Succede a Justin Welby, dimessosi nel novembre 2024, e porta con sé un curriculum che sa più di corsia d'ospedale che di biblioteca teologica. Il che, a pensarci bene, non è necessariamente un male.
Ma se pensate che questa nomina abbia suscitato applausi unanimi, vi sbagliate di grosso. Tredici giorni dopo, il 16 ottobre, è arrivata una dichiarazione che ha il sapore di un atto di divorzio: la Gafcon (Global Anglican Future Conference), movimento conservatore fondato nel 2008 che rappresenta circa 40-50 milioni di fedeli anglicani, ha rifiutato di riconoscere gli "strumenti di comunione" tradizionali – arcivescovo di Canterbury compreso – accusandoli di aver "fallito nel sostenere la dottrina della Comunione anglicana".
A firmare era Laurent Mbanda, primate della Chiesa anglicana del Ruanda, un nome che ai più dirà poco ma che rappresenta qualcosa di straordinariamente significativo: l'Africa anglicana che dice no all'Occidente cristiano.
I
numeri che contano
Ora, fermiamoci un momento sui numeri, perché sono impietosi
e raccontano una storia che va ben oltre le questioni dottrinali. La Comunione
Anglicana conta oggi tra gli 85 e i 110 milioni di fedeli distribuiti in 38
Chiese nazionali. La Chiesa d'Inghilterra – quella originaria, la Chiesa madre
– ne ha circa 25 milioni. Ma attenzione: la Chiesa anglicana della Nigeria, da
sola, ne conta altrettanti, circa 25 milioni, e in più sono praticanti veri,
non nominali come spesso accade in Inghilterra.
La Gafcon sostiene di rappresentare l'85% degli anglicani praticanti nel mondo, soprattutto concentrati in Africa subsahariana: Nigeria, Uganda, Kenya, Ruanda. Capite il paradosso? Una chiesa nata nel cuore dell'Inghilterra, imposta da un re per questioni dinastiche, oggi ha il suo baricentro demografico in Africa. E questa Africa, giovane, in crescita demografica esplosiva, con tassi di frequenza alla messa del 92% in Nigeria, guarda all'Inghilterra progressista e dice: "No grazie, noi la Bibbia la prendiamo sul serio".
In Inghilterra il declino è evidente. Secondo un sondaggio della Bible Society, dal 2018 al 2024 gli anglicani praticanti sono passati dal 41% al 34% tra i cristiani che frequentano regolarmente la chiesa. Peggio ancora: tra i giovani dai 18 ai 34 anni, nel 2018 il 30% era anglicano, nel 2024 siamo scesi al 17%. La Chiesa madre perde figli, e li perde verso forme di cristianesimo più energiche, più emotive, meno compromesse con la modernità liquida.
Lo
scisma che viene dall'Africa
Le cause di questa frattura sono note agli osservatori:
ordinazioni femminili, benedizioni per coppie omosessuali approvate dalla
Chiesa d'Inghilterra nel 2023, la consacrazione del vescovo gay Gene Robinson
negli Stati Uniti già nel 2003. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è
stata proprio la nomina di Sarah Mullally come arcivescovo di Canterbury,
seguita in luglio dalla nomina di Cherry Vann – che vive in una relazione
omosessuale – come arcivescovo del Galles. Per i conservatori africani è stato
troppo: "abbandono dell'autorità biblica", hanno dichiarato.
La Gafcon non si è limitata a protestare. Si è autoproclamata la vera "Comunione Anglicana Globale", ha annunciato che non riconoscerà più l'arcivescovo di Canterbury come figura di riferimento, e ha convocato una conferenza alternativa per marzo 2026 ad Abuja, in Nigeria, dove si eleggerà un proprio "primus inter pares" – un primo tra pari che guiderà simbolicamente le Chiese anglicane conservatrici. La Chiesa anglicana della Nigeria ha già istruito le sue diocesi a rimuovere ogni riferimento alla "comunione con Canterbury". Non è uno scisma minacciato: è uno scisma consumato.
Il 21 ottobre il vescovo Anthony Poggo, segretario generale della Comunione anglicana, ha tentato la mediazione con una lettera pastorale che invitava tutti a partecipare alla 19ª riunione del Consiglio consultivo anglicano a Belfast nel 2026. Ma è come cercare di ricucire una ferita con ago e filo quando il tessuto è già strappato in due. I conservatori vedono nella leadership occidentale un tradimento della Scrittura; i progressisti vedono nei conservatori africani un oscurantismo medievale.
E così l'anglicanesimo, che già non aveva un'autorità centrale come il papato cattolico, si trova ora privo anche di quella funzione simbolica che l'arcivescovo di Canterbury aveva sempre rappresentato per cinque secoli.
Il
paradosso del dialogo con Roma
E qui viene il bello. Mentre la Comunione Anglicana si
frantuma per questioni morali, i rapporti con la Chiesa cattolica mostrano
segni di disgelo impensabili. Il 23 ottobre 2025, per la prima volta dalla
Riforma del 1534 – pensate, cinque secoli – un sovrano britannico ha pregato in
pubblico con un Papa: re Carlo III ha celebrato con Papa Leone XIV nella
Cappella Sistina. Un evento che avrebbe fatto inorridire i suoi antenati Tudor,
ma che oggi è possibile proprio perché Carlo è anche "governatore supremo"
di una Chiesa anglicana che non sa più bene cosa governare.
Dal 1966 la Commissione internazionale anglicano-cattolica (Arcic) lavora per superare le divisioni dottrinali. Sono stati compiuti passi significativi su Eucaristia, ministero e autorità nella Chiesa. Rimangono, è vero, nodi critici: Roma non riconosce la validità delle ordinazioni anglicane (dichiarazione Apostolicae curae del 1896), e gli anglicani faticano ad accettare il primato universale del Papa. Ma il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell'unità dei cristiani, ha dichiarato che le due comunità sono "cresciute molto nella reciproca comprensione" dopo quasi sessant'anni di dialogo.
Il paradosso è evidente: mentre gli anglicani conservatori africani si allontanano da Canterbury accusandola di tradire la Bibbia, Canterbury si avvicina a Roma, cioè proprio a quella Chiesa da cui si era separata cinque secoli fa. È come se la storia facesse un giro completo, ma su un piano diverso, con protagonisti nuovi e motivazioni capovolte.
E c'è un dettaglio che rende tutto ancora più significativo: il 1° novembre 2025, Papa Leone XIV proclamerà Dottore della Chiesa John Henry Newman, il presbitero anglicano convertito al cattolicesimo nel 1845, fondatore del Movimento di Oxford che cercò di riportare l'anglicanesimo alle sue radici cattoliche. Newman sarà elevato a questa dignità proprio mentre la Chiesa da cui si allontanò vive la sua crisi più profonda. Un'ironia della storia che non sfugge a nessuno.
La
vita monastica anglicana: un ritorno inaspettato
Ora, voi direte: ma in tutto questo caos, che fine hanno
fatto i monaci e le monache anglicani? Esistono ancora? Eccome se esistono. E
la loro storia è singolare quanto tutto il resto.
Quando Enrico VIII fece lo scisma, tra il 1536 e il 1540 soppresse tutti i monasteri e le abbazie d'Inghilterra, incamerando i loro beni e ridistribuendoli ai suoi sostenitori. Fu una distruzione sistematica: l'Abbazia di Westminster, Glastonbury, centinaia di comunità religiose che da secoli rappresentavano il cuore della cristianità inglese furono spazzate via. Per trecento anni l'anglicanesimo non ebbe vita monastica. Zero.
Poi, a metà Ottocento, con il Movimento di Oxford e la rinascita filo-cattolica guidata da figure come John Henry Newman ed Edward Bouverie Pusey, gli ordini religiosi tornarono in auge. Nel 1845 Pusey aiutò a fondare il primo convento anglicano moderno a Londra. Tra il 1841 e il 1855 nacquero diversi ordini femminili, tra cui la Community of St Mary the Virgin a Wantage e la Society of Saint Margaret a East Grinstead. Per gli uomini le cose andarono più lente: il primo ordine maschile, la Society of St. John the Evangelist (i "Cowley Fathers"), fu fondato solo nel 1866.
Oggi esistono circa 2.400 monaci e monache anglicani nella Comunione, di cui circa il 55% donne e il 45% uomini. Vivono secondo regole che richiamano quelle benedettine, francescane o agostiniane, pronunciano voti di povertà, castità e obbedienza (o stabilità), e conducono vite divise tra preghiera, lavoro e ministero. Alcune comunità sono contemplative, con clausura stretta; altre sono attive, impegnate in opere sociali. La Chiesa Episcopale degli Stati Uniti riconosce canonicamente 18 ordini tradizionali e 14 comunità cristiane.
C'è poi il fenomeno del "nuovo monachesimo", ispirato al teologo Dietrich Bonhoeffer che durante il nazismo parlava della necessità di "comunità di resistenza" che vivessero il Discorso della Montagna senza compromessi. Justin Welby, l'arcivescovo dimissionario, aveva fatto del rinnovamento della vita religiosa una priorità del suo episcopato, promuovendo la St Anselm Community presso Lambeth Palace, un'esperienza di vita comunitaria per giovani adulti anglicani da tutto il mondo.
Oggi queste "nuove comunità monastiche" si stanno moltiplicando nelle diocesi inglesi, alcune già in via di riconoscimento ufficiale come comunità religiose. Il paradosso qui è evidente: mentre la Chiesa Anglicana si lacera su questioni come il matrimonio gay o l'ordinazione femminile, i suoi monasteri – silenziosi, appartati, poco mediatici – continuano a crescere e ad attrarre vocazioni. Come se nel caos del mondo moderno ci fosse ancora spazio, anzi bisogno, di chi sceglie la preghiera, la clausura, la stabilità benedettina.
La
crisi del clero: numeri e vocazioni
Ma torniamo in Inghilterra, perché i numeri del clero anglicano raccontano una storia parallela a quella dello scisma africano. La Chiesa d'Inghilterra conta oggi circa 20.000 sacerdoti attivi, con un'età media di 52,5 anni. Un clero che invecchia, dunque, in una chiesa che perde giovani.
Eppure, qualcosa sta cambiando. Nel 2019, per la prima volta nella storia anglicana, sono state ordinate più donne (51%) che uomini. Il numero complessivo delle donne nel clero anglicano è salito al 32% nel 2019, rispetto al 28% di quattro anni prima. Tra le persone che hanno iniziato la formazione teologica, le donne rappresentano oggi il 54%. E attualmente ci sono 40 donne vescovo su 108 nella Chiesa anglicana.
Sono numeri che raccontano una rivoluzione silenziosa: l'anglicanesimo inglese si sta femminilizzando, non solo ai vertici (con Sarah Mullally arcivescovo di Canterbury) ma alla base, nelle parrocchie, nelle vocazioni. È una trasformazione che i conservatori africani vedono come la prova del tradimento occidentale; che i progressisti vedono come segno di giustizia e inclusione. Ma è soprattutto una trasformazione che cambia il volto stesso del ministero anglicano.
Il paradosso è che mentre in Inghilterra le vocazioni femminili crescono, le vocazioni maschili calano. E mentre il clero si femminilizza, le chiese si svuotano. C'è un legame? È difficile dirlo. Ma il dato resta: l'anglicanesimo inglese del futuro avrà sempre più sacerdoti donna, sempre meno fedeli nei banchi, sempre meno autorevolezza morale nel paese.
La
geografia della fede anglicana
Nel resto del mondo anglicano, soprattutto in Tanzania,
Sudafrica, Isole Salomone, Vanuatu e Papua Nuova Guinea, gli ordini religiosi
anglicani stanno crescendo in modo "notevole", come dichiarato dalla
stessa Chiesa d'Inghilterra. È un'altra ironia: mentre l'Occidente
secolarizzato svuota le chiese anglicane, il Sud globale le riempie e chiede
più monaci, più suore, più testimonianza radicale.
In Inghilterra e Galles, secondo dati del 2016, gli aspiranti alla vita religiosa (monaci e suore) erano aumentati rispetto agli anni precedenti, mentre i seminaristi diocesani calavano. Tendenza curiosa: la vita religiosa anglicana attira più del sacerdozio secolare. Forse perché offre una risposta più radicale, più integrale, a chi cerca autenticità.
La lezione che emerge dai numeri anglicani è chiara, anche se amara per chi crede nel compromesso tra fede e modernità: le Chiese che si adeguano allo spirito del tempo perdono fedeli. I giovani anglicani – paradossalmente – non cercano chiese cool, cercano chiese vere. Cercano radicalità evangelica, non comitati diocesani sulla sostenibilità ambientale. E quando non la trovano nell'anglicanesimo progressista, vanno altrove.
Il
caso Nigeria: il gigante anglicano d'Africa
La Nigeria merita un capitolo a parte. Con i suoi 20-25
milioni di anglicani, è la più grande Chiesa anglicana nazionale dopo quella
d'Inghilterra, e certamente la più vivace. La frequenza settimanale, come dicevamo, è del 92%,
un dato che farebbe impallidire qualsiasi diocesi europea. Il movimento di
preghiera anglicano nigeriano è "il più forte al mondo", stimolato
dalle tensioni con l'islam radicale di Boko Haram e da un genuino desiderio di
rinascita spirituale. 
Alcuni dei più grandi raduni di preghiera della storia anglicana si sono tenuti a Lagos: circa 3 milioni di persone. La Chiesa Anglicana della Nigeria è organizzata in 165 diocesi con migliaia di parrocchie attive, rappresenta un modello di anglicanesimo vitale, missionario, radicato nelle comunità locali. Un cristianesimo che non teme di essere visibile, pubblico, testimoniale.
Per la Chiesa Anglicana della Nigeria il messaggio è chiaro: noi siamo il futuro numerico dell'anglicanesimo, e non accettiamo lezioni morali dall'Inghilterra secolarizzata. Quando il primate Mbanda firma la dichiarazione della Gafcon, parla a nome di milioni di anglicani africani che vedono nell'Occidente cristiano un tradimento della fede.
Ma c'è anche un altro aspetto da considerare. Questa Nigeria anglicana così vitale, così numerosa, così conservatrice, sta davvero preservando l'essenza dell'anglicanesimo? O sta piuttosto trasformandolo in qualcosa di diverso, un cristianesimo identitario, culturalmente africano, che usa la teologia come arma contro l'Occidente? È una domanda scomoda, ma necessaria.
Dove
sta andando l'anglicanesimo
Eccoci dunque al punto. La Comunione Anglicana, nata da uno
scisma politico-matrimoniale nel 1534, si trova oggi lacerata da uno scisma
dottrinale-morale. Il Nord progressista perde fedeli anglicani e autorevolezza;
il Sud conservatore cresce demograficamente ma rischia di trasformare
l'anglicanesimo in identitarismo culturale. I monasteri anglicani rinascono, ma
sono isole in un mare di confusione.
Canterbury si avvicina a Roma proprio mentre perde l'Africa anglicana. Forse la vera questione non è teologica, ma antropologica. L'Occidente secolarizzato ha svuotato l'anglicanesimo di ogni pretesa di verità assoluta, riducendolo a etica umanitaria con un po' di liturgia. L'Africa, l'Asia, l'America Latina anglicane hanno ancora fame di sacro, di miracoli, di certezze. E quando si trovano davanti una Chiesa che benedice ciò che la Bibbia condanna (secondo la loro lettura), non ci stanno.
Il problema è che entrambe le parti anglicane hanno ragione e torto insieme. I progressisti hanno ragione nel voler rispondere alle sfide moderne, nell'includere chi è stato escluso, nel leggere la Scrittura con gli occhi del presente. Ma hanno torto se pensano di poterlo fare senza perdere l'essenza del messaggio cristiano anglicano, che è sempre stato anche scomodo, contro-culturale, esigente.
I conservatori hanno ragione nel difendere la fedeltà alla Scrittura secondo la tradizione anglicana, nel non piegare la fede alle mode del momento. Ma hanno torto se confondono la fedeltà con l'immobilismo, se usano la Bibbia come un'arma ideologica, se dimenticano che lo stesso anglicanesimo nacque come rottura della tradizione.
Il
futuro anglicano è monastico?
E allora che fare? Forse la risposta, come spesso accade
nella storia anglicana, sta nel margine. Sta nei 2.400 monaci e monache
anglicani che pregano in silenzio mentre il mondo urla. Sta nelle nuove
comunità monastiche anglicane che nascono non per imporre una linea teologica,
ma per vivere il Vangelo in modo radicale. Sta nel fatto che, paradossalmente,
mentre le gerarchie anglicane si dividono, le basi si cercano.
I monasteri anglicani, risorti dopo tre secoli di assenza, testimoniano che è possibile una terza via per l'anglicanesimo. Non progressista, non conservatrice, ma contemplativa. Non politica, ma profetica. Non compromessa col mondo, ma nemmeno contro il mondo. Semplicemente altra.
Se c'è un futuro per l'anglicanesimo, forse passa da lì. Da chi sceglie la regola benedettina in un'epoca senza regole. Da chi pronuncia voti di stabilità anglicani in un mondo liquido. Da chi cerca Dio nel silenzio mentre tutti cercano visibilità nei social media.
Sarà sufficiente per salvare l'unità anglicana? Non lo so. Ma so che nella storia del cristianesimo, ogni volta che tutto sembrava perduto, è ripartito dai monasteri. Dalle comunità che hanno conservato non solo i libri, ma il fuoco. E forse anche questa volta, nel caos dell'anglicanesimo contemporaneo, quei piccoli focolai accesi nei monasteri anglicani di Inghilterra, Africa, America, continueranno a bruciare. Anche se nessuno li guarda.
La proclamazione di Newman a Dottore della Chiesa il 1° novembre 2025 ci ricorda una cosa: a volte le risposte non stanno nel difendere le posizioni, ma nel lasciare che la verità ci porti dove non avremmo mai immaginato. Newman lasciò l'anglicanesimo per Roma non per tradire, ma per seguire. Forse l'anglicanesimo di oggi ha bisogno di questo stesso coraggio: non di difendere il territorio, ma di seguire la verità ovunque essa conduca. Anche se significa riconoscere che forse, dopo cinque secoli, lo scisma di Enrico VIII sta finalmente giungendo al termine. Non per sconfitta, ma per maturazione.
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Fonti
- Avvenire, "Chiese 'divergenti' e giovani in calo: le
sfide per la comunione anglicana", 24 ottobre 2025
- Vatican News, "Per la prima volta una donna alla
guida della Chiesa d'Inghilterra", 3 ottobre 2025
- Riforma.it, "Rottura insanabile nella Comunione
anglicana?", 22 ottobre 2025
- Church of England, "The Religious Life" (sito
ufficiale)
- Church of England, "Ministry Statistics 2019"
- Anglican Religious Life Yearbook (arlyb.org.uk)
- Wikipedia, voci "Anglican religious order",
"Chiesa anglicana", "Cristianesimo in Nigeria"
- AgenSIR, "Regno Unito: l'altalena delle
vocazioni", 30 maggio 2017
- EWTN, "Che cos'è la Chiesa d'Inghilterra", 15
novembre 2024
- Vatican News, "Newman Dottore della Chiesa",
ottobre 2025

Complimenti ottima analisi della religiosità dei nostri tempi. AL
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