“Palermo senza carta. Necrologio di una città che perde librerie e giornali” di Davide Romano


 

C’era una volta Palermo con le sue librerie. Non è un incipit da fiaba, ma da necrologio. Perché di quelle insegne che segnavano il paesaggio urbano oggi resta più la memoria che la presenza. Flaccovio, la regina di via Ruggero Settimo, è caduta nel 2013, come un’aristocratica che non resiste al secolo plebeo degli smartphone. Broadway, in via Rosolino Pilo, ha tirato giù la saracinesca nel 2019, dopo diciannove anni di onorata carriera. Altroquando, la fumetteria-libreria che faceva pensare a un avamposto di Parigi nel cuore di Palermo, aveva chiuso già nel 2013. Poi, a catena, la Sciuti (fine 2023), e da ultimo il Punto Einaudi, travolto da un addio nazionale: dal primo gennaio 2025 i “punti” sono rimasti solo sulla carta intestata della storia.

La città dei lettori sembra aver smarrito i suoi scaffali. Qualche editore resiste — Sellerio, Navarra, Dario Flaccovio Editore — ma la diaspora è in corso. La Zisa, editore di battaglie culturali, nel 2023 si è trasferita a Firenze, perché persino l’Arno sembra più ospitale dell’Oreto. Le vecchie glorie sono finite nel cimitero della memoria: Flaccovio Editore ha chiuso i battenti nel 2013, duepunti edizioni si è dissolta nel 2014. E il deserto editoriale si allarga. Palermo, che fu capitale letteraria, oggi appare come una cattedrale con le navate vuote.

Ma se le librerie cadono, i giornali non se la passano meglio. Il Giornale di Sicilia, quello che un tempo faceva tremare i politici, ha seguito la parabola dei pazienti terminali. Nel 2008 stampava 67 mila copie. Nel 2015 era già sceso a 34 mila. Nel 2017 viaggiava poco sopra le 22 mila. Nel 2022 ancora 5.609 copie. Nel luglio 2023 erano 5.078: più che un quotidiano, un bollettino condominiale. I dati ADS sono spietati: «La diffusione quotidiana media dei giornali siciliani, esclusa la Repubblica, è scesa da 25.363 a 23.545 copie». Non serve essere un economista per capire che qui non si parla di fisiologico calo, ma di eutanasia.

E non è che i cugini di Catania se la passino meglio. La Sicilia aveva nel 2011 oltre 51 mila copie. Nel 2013 erano già 27 mila. Nel 2018, appena 18.645. Oggi, meno di 5.500. Da grande quotidiano regionale a foglio di provincia. Anche qui, le cifre parlano da sole: –11,1% di lettori tra il 2019 e il 2020, –39,7% di diffusione su carta. Il digitale sorride (+54,8% nello stesso periodo), ma resta una consolazione magra, perché i numeri assoluti non compensano la frana della carta.

Lo stesso Giornale di Sicilia nel 2020 registrava –16,4% di lettori e –37,5% di copie vendute. È come se un teatro da mille posti avesse ridotto il pubblico a cento, con l’orchestra che continua a suonare come se niente fosse. L’unico dato positivo? Le edizioni online: +25,2% nello stesso anno. Ma anche lì si parla di briciole rispetto all’impero perduto della carta.

E nel frattempo spariscono pure le edicole, che sono sempre state la vetrina materiale di questa civiltà in disarmo. In provincia di Palermo, tra il 2019 e il 2023, sono scomparsi 21 chioschi. E nel 2024 la città ha visto smontare un’edicola storica del 1929. Non è soltanto un luogo di vendita, ma un pezzo di paesaggio urbano: un’edicola che chiude toglie anima a una piazza, la rende più anonima. Senza edicole, Palermo perde non solo carta, ma anche teatro.

Si dirà: è il mondo che cambia, non solo Palermo. È vero. Anche a Milano i giornali hanno perso tiratura. Anche a Roma si vendono meno copie. Ma lì le librerie non chiudono tutte insieme, e la borghesia che compra un giornale al bar esiste ancora. A Torino, l’editoria resiste con Einaudi, Bollati Boringhieri, UTET, e le librerie indipendenti prosperano. A Palermo, invece, il declino è più feroce, perché non ci sono anticorpi. Qui si chiude, e basta. E il vuoto resta vuoto.

Il paradosso è che Palermo, città barocca, non rinuncia mai al teatro. Così mentre i dati dicono che la carta è morta, i palermitani continuano a vivere come se i giornali fossero ancora quelli di un tempo. Ricordano le prime pagine urlate sul maxiprocesso, i titoli sparati sulla mafia, e si illudono che il giornale sia ancora lì, a fare opinione. Ma intanto lo leggono sempre meno. Il giornale, insomma, resta un rito, ma senza più fedeli.

In conclusione, i numeri parlano chiaro: Palermo sta perdendo la sua carta. Non quella dei documenti, che la burocrazia continua a produrre con zelo medievale, ma quella che profumava di inchiostro. La carta delle librerie, delle case editrici, dei giornali. E senza carta, una città rischia di perdere anche la sua memoria.

Perché una città senza giornali non è solo una città meno informata: è una città meno libera. E Palermo, che di libertà e di giornali ne ha pagato il prezzo con il sangue dei suoi cronisti, dovrebbe ricordarselo prima che sia troppo tardi.

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