“Santo investimento, il Vaticano vola in borsa. Da San Pietro a Wall Street: il miracolo è quotato” di Davide Romano

 


Città del Vaticano – Preparatevi a rileggere due volte quello che sto per scrivere, perché anche a me è toccato farlo. Il Vaticano si quota in Borsa. No, non è uno scherzo di Carnevale in ritardo. La Santa Sede, quella che ci ha sempre spiegato quanto sia difficile per i ricchi entrare in Paradiso, ha deciso che è ora di provare ad entrarci dalla porta principale: Wall Street.

La notizia mi è arrivata ieri sera da una fonte che, per ovvi motivi, preferisce restare anonima ma che gira abitualmente per i Sacri Palazzi con una certa disinvoltura. "Stavolta l'hanno fatta grossa. ", mi ha detto con quel sorrisetto che ormai conosco bene, "Hanno capito che le monetine dei turisti non bastano più e hanno deciso di battere moneta sui mercati finanziari".

All'inizio ho pensato a uno scherzo. Poi ho telefonato in Vaticano e, dopo un balletto di passaggi da un ufficio all'altro che mi ha ricordato i bei tempi della burocrazia pontificia, sono riuscito a beccare monsignor Giuseppe Bilancini, fresco di nomina come Segretario per gli Affari Finanziari Straordinari (un titolo che già dice tutto). Parlando al telefono dalla sua scrivania in Vaticano, ha tagliato corto con i convenevoli: "Guardi, i tempi sono cambiati. Non possiamo più campare solo con l'Obolo di San Pietro e le offerte delle candele. Serve gente che capisca di mercati".

Gli ho fatto la domanda ovvia: cosa diranno i fedeli? Risposta secca: "Rendete a Cesare quel che è di Cesare. Se oggi Cesare si chiama Nasdaq, pazienza. Anche Cristo aveva Matteo come apostolo, e quello era un esattore delle tasse".

La società, che avrà il ticker "HOLY" sui mercati internazionali (un tocco di classe, bisogna ammetterlo), punterà su prodotti finanziari che definire innovativi è un eufemismo. Ho visto i prospetti: "Certificati di Indulgenza Plenaria" con scadenza variabile, "Obbligazioni della Provvidenza" garantite dall'Altissimo in persona, e persino dei "Futures sulla Beatificazione" per i più temerari.

Il cardinale Thomas O'Money - nome di battaglia perfetto per l'occasione - mi ha chiamato direttamente da Chicago. Voce squillante, accento americano che taglia l'aria: "Listen buddy, la Chiesa deve stare al passo. Non puoi più aspettare che la gente butti gli spiccioli nel cestino. Devi andare dove girano i veri soldi, e oggi girano tutti sui mercati".

Padre Giacomo Speculini, che gestisce i conti di San Pietro, mi ha fatto vedere i piani sul suo computer. "Stiamo lavorando sul VatiCoin, una criptovaluta garantita dalle reliquie. Pensa: un Bitcoin con la benedizione papale". Quando gli ho detto che suonava un po' blasfemo, mi ha guardato serio: "Blasfemo sarebbe sprecare quello che Dio ci ha dato. Abbiamo Michelangelo, Raffaello, Bernini. Perché non farli fruttare?"

Ho chiamato Goldman Sachs per una conferma. Un dirigente che preferisce non fare il nome mi ha confermato: "Stiamo valutando una partnership. Immagina un bancomat proprio sotto la Pietà. Dal punto di vista del marketing sarebbe fantastico". JP Morgan, dal canto suo, starebbe pensando a uno sportello dentro le Mura Leonine. "Investire e pregare nello stesso posto", ha commentato un analista. "Geniale".

Ovviamente non tutti sono d'accordo. Don Simplicius Pauper, parroco di periferia che fa i salti mortali per pagare le bollette, me l'ha detta chiara: "Questa è la Chiesa di Mammona, non quella di Cristo". Poi però ha aggiunto, abbassando la voce: "Però se mi regalano qualche azione, mica dico di no. Anche San Francesco prendeva le offerte".

Il Papa? Domenica all'Angelus ha fatto una battuta che è rimbalzata su tutti i giornali finanziari: "Anche Matteo era un pubblicano, e guardate come è finita". I vaticanisti si stanno ancora scervellando per capire se era un sì o un no mascherato.

La cosa che mi colpisce di più è la disinvoltura con cui se ne parla in Vaticano. Come se fosse normale che un'istituzione di duemila anni decida di sbarcare in Borsa. "Il Signore ci indica sempre la strada", mi ha detto un cardinale che conosco. "Se la strada passa per Wall Street, così deve essere".

L'IPO è fissata per ottobre. Il prospetto informativo che sono riuscito a leggere in anteprima è un capolavoro: "Rendimenti spirituali e materiali", "Investimenti per l'eternità", "Dividendi benedetti". Roba da far invidia ai migliori copywriter di Madison Avenue.

I mercati hanno già reagito. L'indice "Religious & Spiritual" del Nasdaq è schizzato del 15% appena è uscita la notizia. Gli analisti sono divisi: c'è chi parla di "operazione geniale che punta su un bene rifugio eterno come la fede" e chi invece teme la "bolla mistica". Marcus Goldstein, economista di peso, mi ha detto: "Investire nella fede? Finalmente qualcosa di solido in questo mercato pazzo".

Difficile dire se questa storia finirà bene o male per le casse vaticane. Una cosa è sicura: tra qualche mese vedremo "Vatican Corp. +2,5%" scorrere sui ticker delle borse accanto ad Apple e Microsoft. E francamente, in un mondo che ogni giorno ci stupisce un po' di più, nemmeno questo mi sembra poi così strano.

 

P.S. – Giusto mentre mando questo pezzo in redazione, mi arriva una soffiata: la prima azione vaticana è già stata venduta all'asta per 10mila euro. Comprata da un collezionista di Tokyo che ha dichiarato di voler "diversificare il portafoglio anche nell'aldilà". Chapeau.

 

 


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