C'è qualcosa di tragicamente poetico nel sapere che
la Sicilia, terra che ha dato i natali a Pirandello e Sciascia, a Tomasi di
Lampedusa e a Camilleri, sia oggi la regione d'Italia dove si legge di meno. È
come scoprire che Stratford-upon-Avon abbia bandito Shakespeare o che a Parigi
abbiano chiuso il Louvre per mancanza di interesse. Ma i numeri, si sa, sono
testardi quanto la realtà che fotografano, e l'indagine dell'Associazione
Italiana Editori condotta da Pepe Research non lascia spazio a interpretazioni
benevole.
I dati sono impietosi: solo il 56% dei siciliani
sopra i 15 anni ha letto almeno un libro nell'ultimo anno, diciassette punti
percentuali sotto la media del Centro-Nord che si attesta al 73%. La Sicilia
condivide questo primato negativo con Abruzzo e Molise, piazzandosi al fondo
della classifica nazionale della lettura. È uno spaccato amaro di un'isola che
sembra aver voltato le spalle alla propria stessa grandezza culturale.
Ma il dato che più di tutti fotografa la dimensione
del disastro è questo: per ogni libro che viene preso in prestito da un
cittadino siciliano, ventiquattro ne vengono presi in prestito da un cittadino
del Centro-Nord. I prestiti per mille abitanti sono 31 in Sicilia contro i 741
nel Centro-Nord. Ventiquattro a uno. Non è una sconfitta, è una resa
incondizionata alla mediocrità. È il certificato di morte di una civiltà che un
tempo illuminava il Mediterraneo con la sua cultura.
Leonardo Sciascia, che di questa terra conosceva
ogni piega dell'anima, aveva già intuito il dramma quando scriveva della
"dilagante stupidità di oggi" e dell'attitudine siciliana a relegare
se stessa in un particolarismo sterile. Il grande scrittore di Racalmuto - che
oggi, come ci ricorda una recente inchiesta dell'Espresso, vede la sua casa
natale ridotta quasi all'abbandono - aveva capito che la vera tragedia della
Sicilia non stava nella povertà economica ma in quella culturale.
L'infrastruttura del libro in Sicilia è al collasso.
Metà delle biblioteche siciliane (47,4%) non ha nemmeno un bibliotecario
professionalmente qualificato, contro il 25% del Centro-Nord. Pensateci: luoghi
deputati alla conservazione e diffusione del sapere affidati al caso, all'improvvisazione,
alla buona volontà di qualche volontario. È come affidare un ospedale a chi ha
solo letto qualche articolo di medicina su internet. Le biblioteche siciliane
hanno il 28% di strutture in meno rispetto al Centro-Nord in rapporto alla popolazione
e possiedono in media il 16% di libri in meno: 2.738 volumi contro 3.244.
Trecentocinque comuni siciliani – il 78% del totale
– non hanno nemmeno una libreria. Sono 203 le librerie operative nell'intera
regione: 4,2 per 100mila abitanti contro le 6,4 del Centro-Nord. Oltre un
milione e mezzo di siciliani (1.506.000 abitanti, per la precisione) vive in
territori dove non esiste un luogo fisico dedicato al libro, dove non si può
sfogliare una novità, partecipare a una presentazione, incontrare un autore. Il
31% dei cittadini siciliani non ha modo di accedere nel proprio territorio
comunale a una libreria. Sono città e paesi che hanno deciso, più o meno
consapevolmente, di vivere in un deserto culturale.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel suo immortale Gattopardo,
aveva descritto con lucidità spietata l'immobilismo siciliano: "Se
vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Ma oggi
nemmeno il cambiamento apparente sembra interessare più. La Sicilia ha smesso
di fingere, si è arresa all'inerzia culturale. Le parole del Principe di Salina
risuonano profetiche: quella terra "condannata a una continua
infelicità" sembra aver fatto della propria condanna una scelta
consapevole.
Luigi Pirandello, che aveva intuito la complessità
dell'animo siciliano meglio di chiunque altro, scriveva della necessità di
uscire dall'isola per affermarsi: "Cu nesci, arrinesci" - chi esce,
riesce. Ma oggi si potrebbe aggiungere: chi resta, si spegne. E si spegne
nell'ignoranza, nella rinuncia alla curiosità, nell'abbandono di quel
patrimonio di conoscenza che i grandi siciliani del passato avevano costruito
con fatica e genio.
Non si tratta solo di numeri, naturalmente. Dietro
ogni statistica c'è una scelta, spesso inconsapevole ma sempre drammatica. C'è
la decisione di preferire il rumore alla riflessione, l'apparenza alla
sostanza, il consumo alla conoscenza. C'è una società che ha smesso di credere
che la cultura possa essere una leva di riscatto, un'arma contro l'ignoranza e
la rassegnazione.
Il presidente dell'Associazione Italiana Editori,
Innocenzo Cipolletta, prova a essere ottimista parlando delle risorse
disponibili: "Le risorse ci sono: il Piano nazionale cultura per le
regioni del Mezzogiorno destina 151 milioni di euro alle imprese culturali e
creative e 177 milioni a favorire la partecipazione culturale". Ma i
soldi, da soli, non fanno miracoli. Servono visione, competenza, passione.
Serve soprattutto la volontà di cambiare, di rompere con un presente che
condanna al sottosviluppo culturale.
Cipolletta definisce "preoccupanti" questi
dati, sottolineando come "la mancanza di infrastrutture per la lettura,
biblioteche e librerie in primis, siano strettamente correlate ai bassi indici
di lettura". L'auspicio è che "nei prossimi mesi istituzioni, operatori
privati e terzo settore lavorino assieme perché questo possa tradursi in un
rafforzamento delle infrastrutture del libro". Ma l'auspicio, senza una
rivoluzione culturale profonda, rischia di rimanere tale.
La verità è che la Sicilia ha smesso di essere
curiosa. Ha rinunciato al piacere della scoperta, all'emozione
dell'apprendimento, alla fatica dolce del pensiero. Si è accontentata di vivere
di rendita su un passato glorioso, come un aristocratico decaduto che vive
vendendo i quadri di famiglia. Ma i capolavori di Verga e Pirandello non
possono nutrire per sempre l'orgoglio di un popolo che ha smesso di alimentare
la propria intelligenza.
C'è qualcosa di profondamente melanconico nel
pensare che in quella stessa Sicilia dove Archimede scoprì il principio che
porta il suo nome, dove Federico II creò la prima università laica d'Europa,
dove nacque la Scuola Poetica Siciliana che diede origine alla letteratura
italiana, oggi si faccia fatica a trovare una libreria aperta o una biblioteca
funzionante. È la parabola di una civiltà che ha dimenticato se stessa.
Come ebbe a dire Michele Placido, "dobbiamo
ricordare che la Sicilia è terra di Archimede non terra di mafia". Ma per
ricordarlo bisogna prima saperlo, e per saperlo bisogna leggere, studiare, coltivare
la mente. Invece la Sicilia di oggi sembra aver scelto l'ignoranza come forma
di identità, scambiando l'incultura per autenticità e la rassegnazione per
saggezza.
Non serve a nulla puntare il dito contro il Nord,
invocare le differenze storiche, tirare in ballo la questione meridionale. La
cultura non conosce geografia, non ha bisogno di infrastrutture miliardarie per
fiorire. Ha bisogno di curiosità, di fame di sapere, di rispetto per la
conoscenza. Cose che non si possono comprare con i fondi europei o regalare con
i decreti ministeriali.
La Sicilia che non legge è una Sicilia che ha
rinunciato al futuro. Perché senza libri non c'è immaginazione, senza
immaginazione non c'è progetto, senza progetto non c'è speranza. E una terra
senza speranza è solo un pezzo di roccia circondato dal mare, bella da vedere
ma sterile da vivere.
Forse è tempo di ammettere che il vero dramma del
Mezzogiorno non sta nella mancanza di lavoro o nelle carenze infrastrutturali.
Sta nell'aver perso la voglia di crescere, di migliorarsi, di sognare
attraverso le pagine di un libro. Sta nell'aver scambiato la rassegnazione per
saggezza e l'ignoranza per autenticità.
Grazie per la sua acuta riflessione , lei sa bene che la crisi è italiana benché ci siano regioni come quella siciliana segnate da un drastico calo della lettura. Sarebbe interessante sapere nelle regioni più disamorate verso il valore libro a quale età si diventa dipendenti dallo smartphone . Di certo so che a Palermo se ad aprile/maggio hai bisogno di un nuovo telefono , perché magari il vecchio ti ha abbandonato all'improvviso , rimani tranquillamente senza ....perché il regalo più richiesto per le prime comunioni è proprio lo smartphone (ovviamente di ultima generazione)!
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