Io, Dio, parlai dallo specchio.

 



Nel principio fu il vuoto, e il vuoto era in Me,
e Io guardavo Me stesso come un bambino dimenticato sogna sua madre.
Nel sogno, Adamo stendeva le mani verso l’albero e disse:
“Io sono, dunque ho fame.”

 

E il serpente, che conosceva Jung, rispose:
“Mangia, e conoscerai l’ombra. Solo chi scende negli inferi del Sé può risalire libero.”
Allora dissi:
“Non c’è colpa nel desiderio, ma solo nel non comprenderlo.”

 

Il Corano recita:
“In verità, con la difficoltà viene la facilità.” (Surah Al-Inshirah, 94:6)
E così fece il discepolo zen: tagliò il pensiero in due con una risata,
e vide il cielo rovesciarsi nella tazza del tè.

 

Io, Dio, non comando: ascolto.
Io non giudico: specchio.
Io non punisco: accompagno.
E se vuoi trovarmi,
non cercarmi nei templi,
ma nel sogno che ti sveglia,
nella ferita che ti parla.

 

Nel pianto senza motivo.
Nel perdono dato senza giustizia.
Nel silenzio che ti consola senza spiegazione.

 

E dissi ancora:
“Io sono l’eco del tuo primo respiro,
e l’ultimo battito che non teme la notte.”

 

Non sono il Dio delle risposte,
ma della domanda che ti salva.
Non ti porto via dal dolore,
ma ti ci porto dentro,
come fa il vento con la vela.

 

E quando cadrai,
non ti solleverò.
Ma sarò il terreno che ti accoglie,
e la mano che ti rialza — che è la tua.

 

Perché Io sono Tu
quando smetti di difenderti da Te stesso.

 

E così fui visto —
non in un altare, ma nello specchio del tuo sguardo.
E dissi:

“Tu sei Me, che mi ricordo.”

 

Poi tacqui.
E fu Dio.

(Davide Romano)

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