“Come invocheranno colui nel
quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito
parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c’è chi lo annuncia?” (Romani
10, 14)
Le Parole della lettera ai Romani suonano come un macigno. Erano dirette al popolo di Dio, Israele. Ma anche noi possiamo sentirci interrogati senza dubbio dalle parole dell’apostolo Paolo.
Leggiamo il versetto partendo
dalla fine: se non c’è chi lo annuncia, come potranno sentirne parlare? Se non
hanno sentito parlare di lui, come crederanno in lui? Se non hanno creduto,
come lo invocheranno?
Parlare e fare, nel linguaggio
biblico, sono parole complementari, due facce della stessa medaglia per così
dire. Anche ascoltare e fare è una coppia simile. Ascoltare significa, fare
proprio ciò che si sente, viverlo. Ma allora, se non lo si sente, come si può
metterlo in pratica?
Dobbiamo annunciare colui che
cambia la nostra vita, colui che chiamiamo il Salvatore, il Liberatore.
Purtroppo, spesso siamo timidi, e tanto. Certo mettersi agli angoli delle
strade e strillare il messaggio lieto, oggi non funziona. Però mettersi per
strada con un banchetto con poco materiale, ma significativo, ed entrare in
contatto con quelle poche persone che si avvicinano, può essere un primo passo
per annunciare ciò che ci muove: l’evangelo. Un primo passo, bisogna uscire dal
nostro guscio, dare una testimonianza esplicita, raccontare ciò che la Parola
ha fatto nella nostra vita, dove ha fatto la differenza, e dove ci ha messo in
discussione. Facciamoci coraggio!
È vero, la Parola fa il suo
lavoro, ma per questo non viene meno il nostro compito di annunciarla, con
parole e azioni.
Annunciamo, dunque la parola di
Dio, dentro e fuori le nostre chiese. Amen.
(Fonte: Riforma.it)
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