“Sesso, ricatti e tonache arancioni. Il lato oscuro del buddismo thailandese” di Davide Romano



«La santità è come la verginità: si perde una volta sola, ma fa molto rumore» diceva Indro Montanelli. La Thailandia, dove quasi il 95% del popolo thailandese è buddista e dove tra i 200 e i 300.000 monaci vivono nei monasteri, si risveglia ancora una volta con un sapore amaro in bocca. Scoperte oltre 80mila immagini pornografiche che mostrerebbero una donna mentre fa sesso con religiosi di alto rango, il sangha buddista - quella comunità monastica che dovrebbe rappresentare la via dell'illuminazione - è nuovamente travolto da uno scandalo che ha dell'incredibile.

 

La seduttrice delle pagode

Una donna di 35 anni è stata arrestata per aver sedotto e ricattato numerosi monaci buddisti. L’immagine della religione dominante in Thailandia negli ultimi mesi ha sofferto dei molti scandali sessuali e finanziari che hanno coinvolto i monaci. Non è la prima volta che accade, né sarà forse l’ultima. Come diceva Oscar Wilde, “posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni”, e a quanto pare anche i monaci buddisti non sono immuni da questa debolezza umana.

 

La lunga storia degli scandali

Nel 2013, le autorità buddiste thailandesi hanno sospeso oltre trenta monaci di una provincia occidentale del Paese orientale colpevoli di aver utilizzato droghe illegali. Si moltiplicano i casi di religiosi libertini, dediti al gioco d'azzardo e al consumo di alcolici. Arrestati 19 monaci buddisti che coprivano con la tonaca un passato criminale.

La cronaca thailandese degli ultimi decenni è costellata di questi episodi che minano la credibilità di un’istituzione plurimillenaria. Come osservava Ennio Flaiano, “la situazione è grave ma non è seria”, e in effetti sembra che ogni scandalo venga metabolizzato dalla società thai con quella capacità di sopportazione tipicamente orientale.

 

I numeri del monachesimo thai

Per comprendere la portata di questi scandali, bisogna considerare i numeri. Passare un periodo temporaneo della propria vita in qualità di monaci è la norma tra buddhisti thailandesi; la maggior parte dei giovani, infatti, tradizionalmente sono ordinati solo per la durata di una stagione delle piogge. In Thailandia la maggior parte della popolazione, circa infatti il 95%, segue la corrente Theravada.

Le donazioni versate dai fedeli ai templi del Paese sono di gran lunga superiori al budget stanziato dallo Stato e ammontano a circa 3,6 miliardi di dollari americani. Un fiume di denaro che scorre nelle casse dei monasteri, creando inevitabilmente tentazioni e opportunità di corruzione.

 

Il paradosso del loto

Il voto di celibato (brahmacarya) è uno dei pilastri fondamentali della disciplina monastica buddista. Secondo il Vinaya, il codice disciplinare monastico, qualsiasi attività sessuale comporta l’espulsione permanente dal sangha. Non si tratta di un semplice peccato da espiare, ma di una frattura irreparabile nel cammino spirituale.

Buddha Shakyamuni, 2500 anni fa, aveva previsto tutto questo quando formulò gli Otto Sentieri Nobili e i Cinque Precetti. Il secondo precetto vieta esplicitamente di “prendere ciò che non è dato”, includendo non solo il furto materiale ma anche l’ppropriazione indebita di rispetto e venerazione. Il terzo precetto proibisce la cattiva condotta sessuale, che per i monaci significa qualsiasi forma di attività sessuale.

 

La modernità contro la tradizione

Il folklore thai viene a costituire la grande terza influenza sul buddismo thailandese; mentre gli osservatori occidentali hanno spesso tracciato una linea netta tra il buddismo e le pratiche religiose popolari, questa distinzione si riscontra raramente nei luoghi più rurali.

La rapida modernizzazione del paese, l'afflusso di turismo di massa e la crescente commercializzazione della religione hanno creato un ambiente dove le tentazioni mondane si moltiplicano. I social media, internet, la società dei consumi: tutto questo entra nelle celle monastiche attraverso smartphone e tablet che ormai anche i monaci possiedono.

 

I tre veleni del dharma

La tradizione buddista parla di tre veleni fondamentali: avidità (lobha), odio (dosa) e illusione (moha). In questo scandalo sembrano confluire tutti e tre: l’avidità per i piaceri carnali e il denaro, l’odio manifestato attraverso il ricatto, l’illusione di poter conciliare la vita monastica con comportamenti completamente opposti ai voti pronunciati.

Come scrisse Curzio Malaparte, “gli orientali hanno inventato la saggezza per sopportare la propria follia”. E in effetti, di fronte a questi scandali ricorrenti, la società thailandese sembra aver sviluppato una sorta di rassegnata accettazione.

 

Il peso della venerazione

In Thailandia, i monaci godono di un rispetto sociale quasi assoluto. Ricevono offerte quotidiane, vengono serviti per primi nei ristoranti, hanno posti riservati sui mezzi pubblici. Questa venerazione incondizionata crea inevitabilmente una distanza dalla realtà che può favorire abusi e comportamenti scorretti.

 

La rete del ricatto digitale

La protagonista di questa vicenda ha ammesso di aver ricattato altri monaci per ottenere denaro, utilizzato poi per mantenere un’attività di gioco d'azzardo online. Un perfetto circolo vizioso dove la tradizione millenaria del buddismo Theravada si scontra con la modernità digitale più degradata.

Le 80mila immagini sequestrate raccontano di un sistema ben organizzato, non di episodi isolati. Come osservava Ennio Flaiano, “la pornografia è l'erotismo degli altri”, ma qui siamo di fronte a qualcosa di più grave: la prostituzione del sacro.

 

Il risveglio necessario

«Ogni scandalo è come un temporale: spaventa, ma poi l'aria si fa più pulita» scriveva Indro Montanelli. E la Thailandia si trova ora di fronte a un bivio cruciale. Da un lato, la tentazione di minimizzare gli scandali per preservare l’immagine turistica del paese. Dall'altro, la necessità di una riforma profonda che restituisca credibilità al sangha.

Il dibattito è aperto e divide la società thailandese. I progressisti chiedono maggiore trasparenza e controlli più severi sui monasteri. I conservatori temono che un eccessivo controllo possa danneggiare una tradizione millenaria.

 

la lezione del loto

Come insegna la stessa dottrina buddista, la sofferenza nasce dall’attaccamento e dall’ignoranza. Forse questi scandali, per quanto dolorosi, rappresentano un necessario momento di purificazione, un’opportunità per il sangha thailandese di ritrovare la sua autenticità perduta.

Il buddismo ha attraversato nei secoli crisi ben più profonde di questa. La sua forza risiede nella capacità di adattamento e rinnovamento, sempre mantenendo saldi i principi fondamentali.

La Thailandia, terra del sorriso e delle pagode, ha ancora molto da insegnare al Mondo. A cominciare da questa lezione difficile ma necessaria: che la santità non è un privilegio acquisito una volta per tutte, ma una conquista quotidiana, fragile e preziosa come un fiore di loto che sboccia ogni mattina nelle acque torbide del tempio.

Commenti

  1. Davide il sesso nel buddismo non è intrensicamente vietato. Nel buddismo si coglie un invito a praticare il sesso in modo consapevole e responsabile, e ciò per evitare attaccamento ma sofferenza a sé stessi e agli altri. Al di là delle derive possibili, che emergono nel buddismo come il qualsiasi religione , la risposta del buddismo al tema del sesso è più aperta di quanto la sua lettura lasci capire.

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  2. Gentile interlocutore,
    grazie per il tuo commento, anche se — a differenza mia — scegli di non firmarti. Vorrei però invitarti a una lettura più attenta dell’articolo, perché la tua osservazione sembra fraintendere il contenuto.

    Non ho mai scritto che il buddismo, in generale, vieta il sesso. Né mi riferisco ai laici che seguono il Dharma nella vita quotidiana. L’articolo è chiaramente incentrato sulla vita monastica buddista, in cui il celibato è una delle regole fondamentali. Non è una mia opinione personale, ma un dato storico e dottrinale.

    Nel Vinaya — la raccolta delle regole monastiche — il divieto di qualunque attività sessuale è assoluto per i monaci e le monache. È una scelta radicale, consapevole, che fa parte del cammino verso la liberazione dalla sofferenza, svincolandosi dal desiderio e dall’attaccamento.

    Naturalmente, come tu stesso dici, il buddismo propone ai laici un'etica del desiderio più aperta, orientata alla consapevolezza e alla compassione. Ma questo non è in contraddizione con quanto ho scritto: si tratta semplicemente di due livelli diversi della stessa via spirituale.

    In definitiva, non è corretto affermare che “la risposta del buddismo al tema del sesso è più aperta di quanto la sua lettura lasci capire”, se per “sua” si intende l’articolo. Forse è più giusto dire che la tua lettura dell’articolo è meno attenta di quanto meriterebbe.

    Cordialmente,
    Davide Romano

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