«Signore, facci vivere la nostra vita, non come un gioco di scacchi dove ogni mossa è calcolata, non come una partita dove tutto è difficile, non come un teorema rompicapo, non come un debito da pagare ma come una festa senza fine dove l’incontro con Te si rinnova come una danza, fra le braccia della tua grazia, nella musica universale dell’Amore. Signore, vieni ad invitarci!» (Madeleine Delbrêl)
Quando Dio si diverte
C'è un pregiudizio duro a morire: quello secondo cui
la religione e l'umorismo sarebbero incompatibili come l'acqua e l'olio. Dio
sarebbe un severo contabile celeste, sempre pronto a prendere appunti sui
nostri peccati, e i santi sarebbero individui così immersi nell'estasi da non
accorgersi nemmeno se gli cade il cappello. Niente di più falso. Basta aprire
la Bibbia o sfogliare le vite dei santi per scoprire che il Padreterno ha un
senso dell'umorismo raffinatissimo, e che molti dei suoi migliori amici sulla
terra sono stati dei veri e propri mattacchioni.
Cominciamo dall'inizio. Adamo ed Eva si nascondono
dietro gli alberi dopo aver fatto il pasticcio con la mela. Arriva Dio che fa
una passeggiata nel giardino - evidentemente aveva l'abitudine di fare due
passi la sera per digerire - e chiama: «Adamo, dove sei?» (Gen 3,9). Domanda
retorica, naturalmente. L'Onnisciente sapeva benissimo dove si trovavano i due fuggiaschi.
Ma voleva vedere fino a che punto potevano spingersi nel ridicolo. E infatti
Adamo, invece di battere un dignitoso mea culpa, se ne esce con la perla: «La
donna che tu mi hai messo accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato»
(Gen 3,12). Tradotto: è colpa sua, anzi è colpa tua che me l'hai data. Il primo
caso di scaricabarile della storia umana. Dio doveva essere scoppiato a ridere,
anche se i teologi non lo dicono.
Abramo e la risata di Sara
Ma il vero campione dell'umorismo divino è Abramo.
Novantanove anni, moglie Sara di novanta, e Dio che gli promette un figlio. La
reazione di Abramo è da manuale: «Si prostrò con la faccia a terra e rise» (Gen
17,17). Ride prostrato, che è un'acrobazia non da poco. E pensa tra sé: «A uno
di cento anni può nascere un figlio? E Sara all'età di novanta anni potrà
partorire?». Domanda legittima, direi.
Quando poi i tre angeli confermano la notizia, Sara -
che origliava dietro la tenda - «rise dentro di sé» (Gen 18,12). Ride dentro,
mica fuori. Aveva ancora un briciolo di educazione. Ma Dio la sente lo stesso e
chiede: «Perché ha riso Sara?». Lei nega: «Non ho riso». E Dio: «Sì, invece hai
riso» (Gen 18,13-15). Scena da commedia, con tanto di battibecco tra il
Creatore e la creatura. Quando poi nasce il bambino, lo chiamano Isacco, che
significa "riso". Il primo bambino della storia il cui nome celebra
una barzelletta divina.
G.K. Chesterton, che di umorismo se ne intendeva,
scrisse: «Gli angeli possono volare perché si prendono alla leggera». Forse
aveva ragione. Di certo, Dio si prende alla leggera le nostre pretese di
serietà.
Elia e i profeti di Baal: satira
biblica
Ma il campione assoluto dell'ironia biblica è il
profeta Elia. Siamo sul monte Carmelo, sfida all'ultimo sangue tra il profeta
del Signore e i 450 profeti di Baal. Questi ultimi preparano il loro sacrificio
e cominciano a invocare il loro dio perché mandi il fuoco. Niente. Gridano più
forte. Niente. Si feriscono con coltelli e lance. Niente.
A questo punto Elia non resiste e attacca: «Gridate
più forte, perché è un dio! Forse è soprappensiero o indaffarato o è in
viaggio; o forse dorme e bisogna svegliarlo» (1Re 18,27). Tradotto in termini
moderni: forse il vostro dio è in bagno, o in riunione, o in vacanza, o sta
facendo la pennichella. Sarcasmo puro, che avrebbe fatto invidia a Voltaire.
Poi tocca a Elia. Fa scavare un fossato intorno
all'altare, ci versa sopra tanta acqua che il fossato si riempie, e invoca il
Signore. Fuoco dal cielo, sacrificio consumato, acqua evaporata. Spettacolo
pirotecnico garantito. I profeti di Baal fanno una brutta fine, ma la lezione
di comunicazione è servita. Elia aveva capito che per convincere la gente
bisogna prima farla sorridere.
Gesù e l'umorismo divino
Chi pensa che Gesù fosse un personaggio tutto lacrime
e sospiri non ha mai letto attentamente i Vangeli. Il Figlio di Dio aveva un
senso dell'umorismo sottile e penetrante, fatto di ironia intelligente e di
paradossi illuminanti.
Prendiamo la famosa frase sulla trave e la pagliuzza:
«Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non ti
accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Mt 7,3). L'immagine è volutamente
comica: uno che cammina con una trave infilata nell'occhio e fa il pignolo per
una pagliuzza. Gesù voleva che la gente ridesse, per poi riflettere.
O la parabola del cammello e della cruna dell'ago: «È
più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel
regno di Dio» (Mt 19,24). I suoi ascoltatori dovevano immaginare un dromedario
che cerca di infilarsi in un buco microscopico. Immagine surreale, che però fa
centro meglio di qualsiasi trattato di teologia morale.
E che dire di Zaccheo? «Cercava di vedere chi era
Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura»
(Lc 19,3). Piccolo di statura ma grande di curiosità. Così si arrampica su un
sicomoro. Gesù lo vede e gli dice: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a
casa tua». Scena da film comico: il pubblicano che scende dall'albero tutto
imbarazzato e la folla che mormora scandalizzata.
Henri Bergson, il filosofo del riso, osservò che «il
riso nasce quando si scorge qualcosa di meccanico incrostato sul vivente». Gesù
aveva capito che l'umorismo è una forma di intelligenza, e che far ridere la
gente è il modo migliore per farla pensare.
I santi e l'arte del sorriso
Se Dio ha senso dell'umorismo, i suoi amici migliori
non potevano essere da meno. La letteratura agiografica è piena di santi che
praticavano quello che si potrebbe chiamare "umorismo mistico": la
capacità di ridere di se stessi, delle proprie debolezze, e persino delle
proprie virtù.
San Filippo Neri, il santo della gioia, era un maestro
in questo genere. Quando la gente lo venerava troppo, lui si metteva a ballare
per strada o si faceva radere mezza barba per ridicolizzarsi. Una volta, per
umiliare un suo penitente troppo orgoglioso, gli ordinò di portare una coda di
volpe attaccata al cappello mentre attraversava Roma. Il poveretto protestò:
«Padre, mi prenderanno per matto!». E Filippo: «Appunto. È quello che voglio».
Un'altra volta, alcuni giovani aristocratici lo
presero in giro perché giocava con i bambini. Lui non si scompose e disse:
«Figlioli, è meglio giocare con le noci che con i vizi». Risposta che li zittì
all'istante. Filippo aveva capito che l'umorismo può essere un'arma
potentissima contro l'ipocrisia e la presunzione.
Santa Teresa d'Avila, la grande mistica spagnola,
aveva un carattere vivacissimo e un senso dell'umorismo tutto andaluso. Quando
le monache si lamentavano del cibo scadente, lei rispondeva: «Tra i piatti di
cucina passeggia anche il Signore». Una volta, cadendo da cavallo nel fango
durante un viaggio, esclamò: «Signore, se è così che tratti i tuoi amici, non
c'è da stupirsi se ne hai così pochi!». Preghiera poco ortodossa, ma
efficacissima.
San Francesco e l'umorismo della
povertà
San Francesco d'Assisi trasformò la povertà in una
forma d'arte comica. Chiamava il suo corpo «fratello asino» e lo trattava con
ironia affettuosa. Quando i frati si lamentavano del freddo, lui diceva: «Se
avessimo un cavallo, anche il cavallo avrebbe freddo». Logica ineccepibile.
Un giorno, un frate gli chiese il permesso di avere un
salterio. Francesco rispose: «Quando avrai il salterio, desidererai un
breviario. E quando avrai il breviario, ti siederai sul trono come un gran
prelato e dirai al tuo fratello: "Portami il breviario!"». Poi prese
un pugno di cenere, se lo versò in testa e disse: «Io breviario, io
breviario!». Il frate non osò più chiedere nulla.
Francesco aveva capito che l'umorismo è una forma di
libertà. Chi sa ridere di se stesso non può essere schiavo di nulla, nemmeno
delle proprie virtù. Charles Péguy, il poeta francese, scrisse di lui:
«Francesco ha fatto ridere la povertà, e per questo l'ha resa attraente».
Don Bosco e l'educazione allegra
San Giovanni Bosco trasformò l'educazione in una festa
permanente. Il suo sistema educativo si basava su tre pilastri: ragione,
religione e amorevolezza. Ma il collante era l'allegria. «Fate tutto quello che
volete», diceva ai suoi ragazzi, «ma divertitevi». Pedagogia rivoluzionaria per
l'epoca.
Una volta, un ispettore ministeriale gli chiese: «Dove
sono le vostre punizioni?». Don Bosco rispose: «Le punizioni sono là», e indicò
il cortile dove i ragazzi giocavano a pallone. «Non capisco», disse
l'ispettore. «Semplice: qui i ragazzi si divertono talmente che la punizione
peggiore è mandarli a casa».
Don Bosco sapeva che l'umorismo è il linguaggio
universale dell'amore. Un giorno, un ragazzo particolarmente vivace gli chiese:
«Don Bosco, ma lei va mai in collera?». «Sì», rispose il santo, «ma quando vado
in collera, rido». Saggezza educativa concentrata in una battuta.
Padre Pio e l'ironia mistica
Anche Padre Pio, il santo delle stimmate, aveva un
senso dell'umorismo tutto pugliese. I suoi confratelli raccontano che durante
la ricreazione era un intrattenitore formidabile. Imitava i vari tipi di
penitenti, i dialetti delle diverse regioni, i tic dei confratelli. «Rideva
tanto che ci faceva ridere tutti», ricordava un testimone.
Una volta, una signora gli chiese: «Padre, mio marito
non crede. Cosa devo fare?». Padre Pio rispose: «Signora, preghi per lui. E
soprattutto, gli faccia da mangiare bene. La strada per il paradiso passa anche
per lo stomaco». Consigli matrimoniali con umorismo incluso.
Un altro giorno, un penitente si confessò dicendo:
«Padre, ho fatto una scappatella». Padre Pio: «Una scappatella? E dove è
scappato?». Il poveretto, spiazzato, dovette spiegare meglio. L'umorismo come
forma di direzione spirituale.
Papa Giovanni XXIII: il sorriso sul
trono di Pietro
Papa Giovanni XXIII portò il sorriso sul trono di
Pietro. Le sue battute sono diventate leggendarie. Quando gli chiesero quante
persone lavoravano in Vaticano, rispose: «Circa la metà». A chi gli domandava
se fosse difficile essere Papa, replicava: «Difficile? No. Basta non prendersi
troppo sul serio».
Durante il Concilio Vaticano II, quando alcuni vescovi
protestarono perché i lavori andavano per le lunghe, Giovanni XXIII disse:
«Cari fratelli, abbiate pazienza. Quando il Signore iniziò la creazione, lavorò
sei giorni e il settimo si riposò. Voi volete fare tutto in una settimana?».
Una volta, ricevendo un gruppo di bambini, uno di loro
gli chiese: «Santo Padre, ma lei è davvero infallibile?». Papa Giovanni
rispose: «Sì, figliolo, ma solo quando parlo ex cathedra. Quando parlo con la
mia mamma, sbaglio come tutti gli altri».
Jacques Maritain, il filosofo francese, scrisse di
lui: «Papa Giovanni ha dimostrato che si può essere santi e insieme
profondamente umani. Il suo sorriso era una forma di preghiera».
L'umorismo come forma di Sapienza
Che cosa ci insegna tutto questo? Che l'umorismo
autentico non è il contrario della santità, ma una delle sue espressioni più
alte. Chi sa ridere di se stesso ha già fatto un passo importante verso la saggezza.
Chi sa far ridere gli altri senza ferirli ha capito qualcosa dell'amore.
San Tommaso d'Aquino, che non era esattamente un
comico, dedicò però una questione della Summa Theologica alle virtù legate al
gioco e al divertimento. Secondo l'Aquinate, esiste una virtù che consiste nel
«dire e fare cose divertenti». Chi non sa scherzare mai è un burbero. Chi
scherza sempre è un buffone. La virtù sta nel mezzo: saper ridere al momento
giusto, nel modo giusto, con le persone giuste.
Voltaire, che di santi se ne intendeva poco ma di
umorismo molto, scrisse: «Dio ha dato il riso all'uomo per consolarlo della sua
intelligenza». Forse aveva ragione, anche se non sapeva di averla. L'umorismo è
davvero una consolazione divina, un modo per sopportare il peso dell'esistenza
senza perdere la speranza.
Il riso escatologico
C'è un aspetto dell'umorismo cristiano che spesso
viene trascurato: la sua dimensione escatologica. I santi ridono perché sanno
come va a finire la storia. Sanno che alla fine vincerà il bene, che l'amore
trionferà sull'odio, che la vita sconfiggerà la morte. È il «riso di Dio» di
cui parla il Salmo 2: «Colui che sta nei cieli ride, il Signore si fa beffe di
loro».
Non è un riso crudele, ma liberatorio. È il riso di
chi sa che le apparenze ingannano, che il male non ha l'ultima parola, che la
storia ha un senso anche quando sembra non averlo. San Paolo lo esprime
magistralmente: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i
sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti»
(1Cor 1,27). È la divina commedia dell'esistenza, dove i primi diventano ultimi
e gli ultimi primi.
Dante, che di commedie divine se ne intendeva, non a
caso chiama "Commedia" la sua opera maggiore. Comincia con l'inferno
ma finisce con il paradiso. Comincia con il pianto ma finisce con il riso.
«L'amor che move il sole e l'altre stelle» è anche l'amore che fa sorridere i
beati. Perché il sorriso è il linguaggio dell'eternità.
Conclusione: ridere per non piangere
In un mondo che spesso sembra aver perso il senso
dell'umorismo, la testimonianza dei santi e la sapienza biblica ci ricordano
che ridere non è solo un diritto, ma un dovere. Un dovere verso noi stessi, per
non prendere troppo sul serio le nostre piccole tragedie quotidiane. Un dovere
verso gli altri, per alleggerire il peso della vita comune. Un dovere verso
Dio, per riconoscere che anche nei momenti più bui c'è sempre spazio per la
speranza.
Oscar Wilde, che di paradossi se ne intendeva,
scrisse: «Se vuoi dire la verità alla gente, falla ridere, altrimenti ti
ammazza». I santi lo avevano capito prima di lui. Avevano capito che l'umorismo
è una forma di carità, che far sorridere è una forma di apostolato, che la
gioia è una forma di preghiera.
Forse è per questo che il cristianesimo, nonostante
duemila anni di persecuzioni, crisi e scandali, è ancora vivo. Perché i
cristiani, nel fondo, sono gente che sa ridere. Ridere dei propri difetti,
ridere delle proprie pretese, ridere persino delle proprie virtù. E quando si
sa ridere, si sa anche sperare. Perché il riso è l'ultima forma di resistenza
contro l'assurdo. È il modo più elegante per dire al mondo: «Tu non mi farai
mai paura, perché io so come va a finire la storia».
E la storia, per chi ci crede, finisce sempre bene.
Con una risata di Dio che dice: «Bravi, avete capito la barzelletta».
Molto interessante e ricca di spunti di meditazione
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